All'ombra della Grignetta celebrato il 50° della conquista del Baltoro, con i protagonisti

Celebrato il cinquantesimo della conquista della Cattedrale del Baltoro, in Karakorum (Pakistan) da parte dei “Ragni” nel 1975, un’impresa che anticipò una delle svolte nella storia dell’alpinismo, forse senza che i suoi stessi protagonisti se ne rendessero pienamente conto e che tra l’altro ebbe strascichi dolorosi visto che portò a una scissione tra i “maglioni rossi”, con la gran parte dei componenti di quella spedizione che avrebbero dato vita a un altro importante gruppo d’alpinismo d’élite, i “Gamma”.
Notiziario_del_CAI_nazionale_1975.jpg (180 KB)
L’occasione è stata una delle serate dell’estate ai Piani Resinelli promosse dalla Comunità Montana, quella di ieri. Serata fortunosa per via di un acquazzone che ha costretto gli organizzatori a spostare in fretta e furia l’appuntamento in altra sede, rimediando mezzi tecnici alla bell’e meglio.  A cominciare dal filmato dell’impresa conservato in una chiavetta portata da Carlo Duchini, uno degli alpinisti che partecipò a quella memorabile scalata. Presente con altri tre compagni di quell’impresa: Pierino Maccarinelli, Sergio Panzeri e Amabile Valsecchi detto “Pai”. Ospite d’onore, Filippo Fiocchi, venuto appositamente da Ginevra per ricordare la figura del nonno Giulio che di quella spedizione era il capo.
Alberto_Benini__1_.JPG (352 KB)
Alberto Benini

A introdurre la serata Alberto Benini (storico dell’alpinismo, autore tra l’altro di una storia dei “Ragni” e di una dei “Gamma”) e Serafino Ripamonti (egli stesso “ragno” e anch’egli autore di una più recente storia dei maglioni rossi).
«Negli anni Settanta – ha esordito Benini – il mondo stava cambiando e cambiavano anche le spedizioni alpinistiche. Ma quando si era in quella temperie non ci si rendeva bene conto di quanto stava accadendo».
La spedizione – promossa dalla sottosezione di Belledo del Cai lecchese, sciolta d’imperio proprio dopo quel successo – inizialmente mirava alla straordinaria Torre Grande di Trango, ma il governo pakistano, che da poco aveva riaperto i propri confini alle spedizioni alpinistiche internazionali per richiuderli poi quasi subito, negò il permesso perché su quella vetta avevano già messo gli occhi gli inglesi. Il ripiego dei lecchesi fu appunto la Cattedrale Grande del Baltoro. Undici gli alpinisti lecchesi: oltre a Duchini, Maccarinelli, Sergio Panzeri, Valsecchi e al capospedizione Fiocchi, c’erano Daniele Chiappa, Giacomo Stefani, Giuseppe Lanfranconi, Gianluigi Lanfranchi, Ernesto Panzeri e Benvenuto Laritti, più il medico (Alberto Sironi) e un rocciatore torinese unitosi al gruppo, Arnaldo Colombari. 
baltoropubblico.JPG (832 KB)
Affrontando la parete, a un certo punto la spedizione decise di dividersi in due e già questa scelta – è stato detto – era una cosa che fino ad allora non si era mai fatta. Si optò infatti per un doppio obiettivo: la Cattedrale Grande del Baltoro da una parte e il Thumno Peak dall’altra. La prima venne conquistata l’8 luglio, la seconda il 10. Una doppia vittoria. E ciò si aggiungeva alla meta che rappresentava una novità e che tra coloro che la indicavano c’era un giovane arrampicatore che sarebbe diventato uno dei più grandi di tutti i tempi, Reinhold Messner. E cioè vette al di sotto di quegli ottomila metri che ancora costituivano il grande mito dell’alpinismo mondiale. Ma il mondo, appunto, stava cambiando. E quelle vette “minori” rivelarono difficoltà estreme in certi casi ben più rilevanti, una sfida esaltante per le nuove generazioni. E fu in quel contesto che si cominciò ad abbandonare la strada delle spedizioni “pesanti” per imboccarne una nuova.
Serafino_Eipamonti__2_.JPG (564 KB)
Serafino Ripamonti

Eppure – hanno detto i relatori – si tornava sui grandi passi precedenti, su quel ghiacciaio erano passati Riccardo Cassin e Ardito Desio nel 1953 per le ricognizioni in vista dell’assalto al K2 ed erano passati ancora Cassin, Carlo Mauri e Walter Bonatti diretti al Gasherbrum IV nel 1958. Posti, dunque, che erano noti, magari solo per i racconti. Perché a quell’epoca lontana e poco tecnologica, la dimensione del racconto rivestiva un’importanza fondamentale. Ripamonti, per esempio, ha citato Roberto Chiappa che ricordava i racconti di Carlo Mauri e quei racconti spalancavano finestre su orizzonti vastissimi.
I_quattro_con_Benini_e_Ripamonti.JPG (728 KB)
I quattro partecipanti alla spedizione presenti alla serata, con Benini e Ripamonti

Mauri era uno degli ispiratori del Cai Belledo che in quegli anni – ha detto lo stesso Ripamonti – era un’autentica fabbrica dei sogni che ospitava periodicamente alpinisti di grande levatura: Messner, appunto, e poi Renato Casarotto e tanti altri. E quelle influenze esterne convinsero i lecchesi a ritornare nel Karakorum. 
Si trattò di una spedizione all’avanguardia certamente in Italia, ma forse anche a livello internazionale. Gli annali ci dicono che la spedizione che ha cambiato la storia dell’alpinismo sia stata quella degli inglesi Jo Taskel e Peter Broadman al Changabang sempre in Karokorum. E risale al 1976. Ciò un anno dopo che i lecchesi avevano scritto le stesse pagine. Che allora, appunto, non furono immediatamente comprese. Del resto, quando i lecchesi arrivano lì «trovarono il mondo» per dirla con Benini. Trovano proprio Messner e trovano altre spedizioni: americani, inglesi, giapponesi. «Il contesto storico – ha sottolineato Ripamonti – era quello lì». E cioè un mondo che stava cambiando.
«Poi – ha proseguito Benini - al ritorno nacque un pasticcio e si arrivò alla scissione e quasi tutti gli alpinisti di quella spedizione al Baltoro sono quelli che avrebbero fondato il gruppo dei Gamma.». Allora fu un momento drammatico per l’alpinismo lecchese, ma «a vederla oggi, visto che non ci sono stati morti e non ci sono avvelenamenti, probabilmente è stata una svolta positiva». Vale a dire – la chiosa di Ripamonti – che la concorrenza stimola.
Filippo_Fiocchi__1_.JPG (737 KB)
Filippo Fiocchi

E’ poi intervenuto Filippo Fiocchi che ha ricordato il nonno Giulio, «per me una figura di riferimento anche se ho potuto frequentarlo solo per tredici anni. Ma ha condiviso con me molti aneddoti e molti valori: l’importanza dell’amicizia, il senso di comunità, la tenacia. Diceva sempre “passo passo sempre avanti” e questo è stato il suo insegnamento». Ha ricordato come si sentisse profondamente lecchese, oltre ad alcuni episodi della sua vita: la notizia della morte del padre ricevuta mentre era al fronte, poteva essere congedato, ma preferì una licenza di pochi giorni per poi tornare con i suoi alpini in Russia: la prigionia in un campo infernale dove fra tifo e tubercolosi perse un polmone; l’arrampicata su un campanile per raggiungere un nido di rondini. «Era convinto – la conclusione – che in montagna fosse importante resistere sia fisicamente che con la testa e sono sicuro che questo pensiero lo ha aiutato a sopravvivere nei moneti più difficili».
Quattro_dei_conquistatori_del_Baltoro_con_Ripamonti.JPG (814 KB)
A fine serata, Duchini ha voluto regalare a Fiocchi la chiavetta con il filmato.
Il video venne girato con i mezzi di allora: a darsi il cambio alla cinepresa lo stesso Duchini e Daniele Chiappa. Ci sono il Pakistan, un Paese che allora rappresentava uno choc per un europeo, c’è la lunga marcia di avvicinamento alla montagna, ci sono i problemi con i portatori locali come quella volta che non arrivarono i soldi per pagarli e si temette una rivolta, evitata grazie a foglietti di carta strappati da un’agenda a fungere da improvvisate cambiali che inopinatamente quei poveri pakistani analfabeti accettarono. Si indugia sulla gioia per l’arrivo della posta da casa, le lettere da leggere e quella cartolina della Grignetta che i lecchesi mostrarono ai portatori che rimasero delusissimi quando seppero che è alta poco più di duemila metri. E poi via in parete: i sei giorni per conquistare la Cattedrale Grande, gli otto per il Thumno Peak.
Infine l’incontro con i quattro protagonisti presenti. Qualcuno degli altri non c’è più (Fiocchi, Laritti, Chiappa), qualcuno non ha potuto intervenire. Come non ha potuto partecipare Renato Frigerio, nominato molte volte nel corso della serata, lui che all’epoca aveva avuto intuizioni geniali e rappresentava l’anima del Cai Belledo.
D.C.
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.