Uccisi negli ospedali bombardati mentre curavano i feriti e malati. Al Manzoni un presidio per i sanitari di Gaza

Anche parte del personale dell’ospedale Manzoni di Lecco ha voluto far sentire la propria voce di solidarietà con la Palestina, ricordando proprio medici e infermieri morti mentre facevano il loro mestiere negli ospedali di Gaza bombardati dagli israeliani. In contemporanea con altri 230 ospedali italiani, ieri sera lungo la scalinata che da via dell’Eremo sale al piazzale di accesso, sono stati letti i nomi dei sanitari morti a Gaza: 1677 secondo un calcolo non aggiornato agli ultimi giorni e pertanto suscettibile di essere ritoccato all’insù. Con loro, gli altri 230 reclusi nelle carceri israeliane. 
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Al momento di iniziare la manifestazione, è arrivato davanti all’ospedale il corteo che un paio di ore prima era partito dal centro cittadino passando per la Fiocchi Munizioni di Belledo.
''Luci sulla Palestina. Cento ospedale per Gaza'', il titolo dell’iniziativa organizzata a a livello nazionale. Della lista dei 1677 nomi, in ogni regione ne è stata letta una parte: 107 quelli scelti per la Lombardia e che appunto sono stati nominati a uno a uno e poi trascritti su foglietti appesi alla recinzione dell’ospedale.
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Al microfono si sono alternati operatori dell’ospedale e non solo. Ed è stato ricordato come i medici e infermieri di Gaza ''siano stati uccisi mentre garantivano ai pazienti il loro diritto a essere curati e siano parte viva della nostra coscienza collettiva. Non può continuare questo dolore, le menomazioni senza anestetici o analgesici, la mancanza di attrezzature e medicinali, i bombardamenti. E andrebbero anche fatti i nomi di quelli mai nominati e cioè i nomi dei pazienti, anch’essi morti sotto le bombe ma anche i neonati deceduti perché non hanno cibo, i malati oncologici che non possono più essere curati, quelli che muoiono per una semplice tonsillite o un infarto''.
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''Mentre medici e infermieri, cadono a terra in corsia per la fame. E’ inaccettabile che gli ospedali siano un bersaglio. In qualsiasi situazione. In qualsiasi guerra. E’ il fallimento della medicina perché le viene tolto il respiro. Ma dobbiamo anche ricordare che ciò avviene con la complicità dell’Occidente e degli altri Paesi arabi perché con quanto sta succedendo in Palestina ci guadagnano. E’ una questione di soldi. I nostri Stati hanno commesse miliardarie con Israele e perciò sono collusi. Vorremmo vedere se qualcuno un giorno andasse a casa loro e gli intimasse di andarsene perché quella casa non gli appartiene più''.

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Sono state anche ricordare alcune aziende lecchesi che hanno collaborato con Israele nella fabbricazione di armi e proiettili e l’invito è stato quello ''di continuare a manifestare, di non mollare la Palestina al suo destino. Perché la Palestina ha bisogno di tutte e di tutti''.
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Dopo l’elenco dei nomi sono state lette testimonianze di medici palestinesi o stranieri che hanno operato in Palestina. Ed è stato letto anche un’angosciante vecchia lettera pubblica di Vik Arrigoni, l’attivista bulciaghese ucciso in Palestina nel 2011: raccontava di un suo incontro proprio con un medico che gli diceva di rinchiudere alcuni gattini in una scatola e poi di saltarci sopra finché non sentisse le ossa scricchiolare e fino all’ultimo miagolio. Di fronte a un episodio del genere tutto il mondo sarebbe inorridito e si sarebbe ribellato. Gli animalisti avrebbero scatenato polemiche. Ecco – gli diceva quel medico – forse era meglio nascere animali che palestinesi. Poi, aveva aperto uno scatolone sporco di sangue nel quale erano stati raccolti gli arti amputati in quei giorni. 
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''Come sanitari – hanno detto infine gli organizzatori – non potevamo stare in silenzio. L’idea è nata fra poche persone e francamente non pensavano potesse arrivare a raccogliere un’adesione così vasta: appunto 230 ospedali e 25 mila adesioni che probabilmente sono di più…''.
D.C.
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