Lecco: il PM chiede 6 anni e mezzo per la 'cartomante' a giudizio per circonvenzione

Sei anni e sei mesi, oltre al pagamento di una multa pari a 1.500 euro. E' la richiesta di condanna formulata nel tardo pomeriggio di ieri, in Tribunale a Lecco, dal vice procuratore onorario Caterina Scarselli, all'esito dell'istruttoria dibattimentale che vede a processo L.V., classe 1977, chiamata a rispondere dei reati di maltrattamenti, circonvenzione di incapace, appropriazione indebita, sostituzione di persona e indebito utilizzo di carte di credito. 
Una serie di contestazioni molto pesanti quelle mosse nei confronti della donna dalla Procura; secondo le risultanze dell'attività di indagine svolta dalla Questura cittadina l'imputata avrebbe infatti ''circuito'' un sessantenne lecchese - costituitosi parte civile - cagionandogli importanti danni patrimoniali, oltre che morali. 
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I due si erano inizialmente conosciuti per via dell'attività di cartomante che avrebbe svolto la donna; il rapporto di amicizia (o di quel che appariva tale), con il trascorrere del tempo si sarebbe fatto sempre più stretto. La parte civile aveva acconsentito a dare ospitalità a L.V. nella propria residenza cittadina; peccato che dopo un primo periodo, l'imputata avrebbe cominciato a dettare regole e condizioni, come se l'uomo fosse ''di troppo'' nella sua stessa abitazione (ne avevamo parlato QUI e QUI). 
Ieri mattina al cospetto del giudice in ruolo monocratico Martina Beggio è comparsa l'imputata che per la prima volta ha varcato l'ingresso dell'aula (aveva presenziato solo alle udienze preliminari davanti al Gup ndr), prendendo così parte al processo che la vede coinvolta. 
Nelle spontanee dichiarazioni rese per quasi un'ora, L.V. ha fornito una versione dei fatti completamente diversa dall'impianto accusatorio sostenuto dalla Procura e da quanto emerso in queste settimane nel corso dell'istruttoria dibattimentale. La donna ha infatti affermato di essere rimasta turbata dalla denuncia della parte civile, che considerava un amico sincero e una figura di riferimento nella sua vita. 
''Lo conosco da più di 15 anni: c'è sempre stato un rapporto stretto. Ci sostenevamo a vicenda. Per me era un factotum: mi aiutava con i cani, mi portava la legna da ardere, si occupava di spese e commissioni e io l'ho sempre retribuito. Gli ho persino dato le chiavi di casa mia, quando vivevo in provincia di Bergamo'' ha dichiarato l'imputata, spiegando di aver trascorso parecchio tempo all'estero per sottoporsi ad una serie di cure. In quel periodo segnato da continui spostamenti, tenendo conto anche della pandemia, non era riuscita a rinnovare il contratto di affitto e così aveva accettato l'offerta dell'amico, trasferendosi presso la sua abitazione lecchese.  
''Per me era un punto di appoggio: lui è sempre stato gentilissimo, avevamo un bel rapporto di aiuto anche se ognuno non entrava nel merito delle questioni personali dell'altro. Lui non sapeva molte cose di me, così come io di lui'' ha detto la 48enne rivolgendosi al giudice, ricordando poi che alloggio dell'amico, di circa 60 mq era molto più piccolo rispetto agli spazi cui lei era abituata, avendo vissuto in un'abitazione di 200 mq. ''Non era un problema perchè io in casa sua stavo molto poco, da aprile a settembre mi trasferivo al mare. Non mi mancava la capacità economica: il suo stipendio di un mese io riuscivo a guadagnarlo in poche ore. Mi sono appoggiata all'unica persona che nella mia vita mi aveva voluto bene, che è stato anche il padrino di mio figlio. Non avevo bisogno dei suoi soldi: quello che c'era tra di noi era una forte amicizia. Da donna sola lo consideravo una persona di riferimento, mi dava aiuto e sostegno''.
Secondo la versione resa dall'imputata, la scelta di allontanarsi dall'abitazione sarebbe stata della stessa parte civile. ''Mi aveva detto che preferiva appoggiarsi da un amico. Con il senno di poi, forse le cose sono cambiate dalla nascita del mio bambino'' ha aggiunto la donna, scusandosi poi per alcuni sms inviatigli, dai toni forti. ''Gli ho mandato messaggi bruttissimi e di questi sono dispiaciuta. Probabilmente le cure alle quali mi sono sottoposta mi hanno dato problemi di aggressività''.
Insomma, una versione dei fatti molto diversa da quella in contestazione, che non ha tuttavia convinto per nulla il vpo Scarselli che nella sua requisitoria ha ritenuto provata la penale responsabilità di L.V. rispetto agli episodi contestati, chiedendone la condanna a sei anni e mezzo di reclusione.  
Una posizione alla quale si è associata l'avvocato Alessandra Carsana, che assiste la parte civile, che nel ripercorrere l'impianto accusatorio, ha evidenziato innanzitutto la prima fase del rapporto fra i due, di apparente amicizia, durante la quale l'imputata sarebbe riuscita a carpire la fiducia della vittima fino ad ottenere vantaggi economici, sottoponendolo -a seguire -a maltrattamenti e a vessazioni, con la presunta vittima che era stata costretta persino a stabilirsi (e a vivere) in cantina. 
Si è battuta invece per l'assoluzione della propria assistita, rifacendosi anche alle spontanee dichiarazioni rese dalla stessa pochi istanti prima, l'avvocato Maria Furfaro del Foro di Milano, che completerà la propria arringa difensiva il prossimo 8 luglio; prevista in quella data, tra una settimana esatta, anche la sentenza. 
G.C.
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