SCAFFALE LECCHESE/259: Paderno, in attesa del ponte futuro quello storico compie 136 anni
Si discute, e ancora chissà per quanto, del futuro del ponte San Michele di Paderno d’Adda, inaugurato proprio di questi giorni – era il 10 giugno – di ben 136 anni fa. Ed è tema più che annoso se già nel 1989 – in cui il ponte festeggiava il secolo e sono quindi passati oltre trent’anni – l’allora sindaco padernese Arturo Villa, in esergo a una pubblicazione celebrativa della ricorrenza, scriveva: «La ricorrenza del centenario del Ponte trova noi e chi ci ha preceduto nella amministrazione di Paderno, ugualmente preoccupati e disarmati dal continuo aggravarsi di problemi quali la conservazione dell’opera storica e il superamento dell’Adda in questa parte geografica; il continuo rinvio di ogni scelta e decisione ha prodotto situazioni paradossali e pericolose, veri nodi di sempre più arduo scioglimento».

Ardito e impressionante, il ponte è da tempo un monumento. La sua preservazione è tutelata da un vincolo posto dalla Soprintendenza per i beni ambientali nel 1980. In un periodo in cui già ferveva il dibattito politico delineandosi la prospettiva di realizzare un nuovo viadotto e la Regione raccomandava cautela: «Il territorio nel quale deve sorgere il manufatto presenta caratteristiche ambientali e paesaggistiche di grandissimo valore. Il progetto deve quindi essere studiato in modo da alterare nel minore dei modi i connotati naturali di questo tratto della valle dell’Adda, così come ottenuto dal ponte attuale, che ha rappresentato una soluzione complessivamente molto valida sia dal punto di vista tecnico sia dal punto di vista del corretto inserimento nel paesaggio».
Già quando venne realizzato, il ponte sull’Adda suscitò stupore. In “Lombardia Moderna”, l’ultimo dei cinque volumi della collana “Civiltà di Lombardia” pubblicato da Electa per coincidenza proprio nel 1989, in un lungo passo dedicato al ponte, la docente universitaria Ornella Selvafolta ci racconta: «La libertà del ferro di reagire alle sollecitazioni assecondandole e tollerandole, causava ai viaggiatori in ferrovia tra Ponte San Pietro e Seregno un’emozione che un anonimo cronista de “L’Illustrazione italiana” definitiva “un leggerissimo tremito quasi di piacere”, causato dalle vibrazioni di un’ “immane e intricata selva di lamiere e di spranghe”. Era il nuovo ponte di Paderno d’Adda (…) certamente la più mirabile costruzione del periodo, capace di superare con un’unica arcata uno dei tratti paesaggisticamente più suggestivi, ma geograficamente più ardui, del fiume che scorreva profondamente infossato tra due alte rive rocciose appena prima di trasformarsi in flusso vorticoso di rapide e di gettarsi a precipizio, come Cesare Cantù aveva descritto, “fra ingenti sassi e scogli e schiuma d’acqua. (…) Il ponte vibrava quindi al passaggio dei convogli entrando in sintonia con l’immaginario e le sensazioni dei passeggeri e trasmettendo loro un fremito, una sorta di delizioso trattener del respiro provocato da una nervosa emozione e dalla contemporanea certezza che nulla sarebbe accaduto».
E ancora: «Inserito in una classifica internazionale di viadotti metallici ad arcata unica, il ponte sull’Adda aveva conquistato il terzo posto per ampiezza di luce dopo le pregevolissime opere di Gustave Eiffel sui fiumi Douro in Portogallo e Garabit in Francia, ma era ritenuto dagli osservatori italiani complessivamente “più considerevole dovendo servire a due vie (ferrovia e carrabile, ndr)” ed esteticamente più valido “e meglio in armonia con le tradizioni architettoniche”.» Inoltre «sarà la stessa disciplina architettonica, nelle sue punte più avanzate come nella prassi diffusa, a fare del ponte metallico ottocentesco un modello di riferimento formale e metodologico: basti l’esempio dei progetti elaborati nel 1980 -10981 per l’attraversamento dell’Adda in sostituzione proprio del ponte di Paderno ormai non più in grado di assolvere ai bisogni di un traffico profondamente modificatosi sia in senso quantitativo che qualitativo. Non è infatti casuale che i progetti più interessanti tengano in considerazione il manufatto esistente non solo come monumento tecnologico del passato meritevole di conservazione, ma anche come presenza semanticamente attiva e ispiratrice di soluzioni giocate sulla dialettica s sull’analogia: ripetendo con materiali diversi il disegno di arco e piedritti, riproponendo la travata metallica reticolare, enfatizzando le trasparenze dei graticci (…) accettando, in altre parole, il confronto con un’espressione della modernità ottocentesca che non sembra avere esaurito la sua efficacia.»
«Il ponte di Paderno- scrive Clara Bertolini del Politecnico di Torino – è un “documento eccezionale della storia industriale italiana e, nello stesso tempo, di un momento significativo delle teorie e delle tecniche relative alla costruzione di ponti in ferro»: così nella nota introduttiva alla pubblicazione uscita nel 1989 in occasione delle celebrazioni per i cent’anni del ponte e che riporta anche le citate parole dell’allora sindaco Villa: “Il viadotto di Paderno sull’Adda. 1889-1989” (edizioni “Habitat. Centro di iniziative culturali” di Paderno). Una quarantina di pagine: più un opuscolo che un volume, quindi, ma per quanto essenziale è esauriente nel raccontare la storia di un’opera che ha segnato la storia di quella parte della Brianza, destando ancora meraviglia.
Nello stesso volumetto, è Angelo Mauri a raccontarci la storia del ponte, partendo dai precedenti illustri che appartengono addirittura al secolo precedente: «Il primo ponte con struttura interamente metallica, realizzato nel 1779 a Coalbrookdale, in Inghilterra, e noto con il nome di “Iron Bridge”, aveva un arco di trenta metri. Questo ponte, oggi simbolo della rivoluzione industriale, suscitò fin da allora non poca ammirazione e curiosità negli ingegneri europei che per circa un secolo, dalla fine del Settecento alla seconda metà dell’Ottocento, cercarono di realizzare un ponte metallico ad arco, con oltre cento metri di luce.»
Mauri segue brevemente l’evoluzione storica e architettonica del settore, per arrivare appunto al 1887 quando l’ingegnere svizzero Julius Röthlisberger, progettò il viadotto di Paderno. Tra l’altro, per quanto svizzero e progettista di diverse opere in patria, dal 1883 Röthlisberger era direttore tecnico delle Officine di Savigliano (Cuneo), fondate tre anni proprio per realizzare infrastrutture ferroviarie. E’ un dettaglio sottolineato da Clara Bertolini: «Proprio grazie all’apporto di Röthlisberger – che ne fu direttore per 25 anni e che fu progettista di tutte le importanti opere realizzate tra il 1885 e la fine del secolo, non solo in Italia, ma anche all’estero – la Savigliano conquistò una posizione di prestigio internazionale nel settore delle costruzioni metalliche. Il ponte di Paderno fu quindi il simbolo di un traguardo di indipendenza tecnologica e di una conquistata autonomia rispetto all’industria estera.»
Da parte sua, Mauri ci offre un quadro della Lombardia dell’epoca, dello sviluppo industriale, del ramificarsi delle ferrovie che andavano soppiantando il trasporto per fiumi e navigli. E ì il contesto nel quale prendono forma idea e progetto: «Il continuo prolificare di queste attività creò problemi di trasporti dei prodotti finiti. Il fiume infatti non era più sufficiente a smaltire il continuo traffico di merci ed il “tappo” del Naviglio di Paderno creava non poche difficoltà. D’altro canto l’industria bergamasca, per i trasporti su Milano, poteva usufruire solo della linea ferroviaria Bergamo-Milano via Treviglio. La necessità quindi di attraversare l’Adda a nord si faceva sempre più pressante. La ferrovia complementare – che doveva congiungere la stazione di Ponte San Pietro, sulla linea Lecco-Bergamo, alla stazione di Seregno, sulla Monza-Lecco, per garantire maggiore accessibilità alla Brianza ed allo stesso tempo accorciare le distanze ed alleggerire il traffico di merci verso la linea del Gottardo, da parte delle province orientali lombarde – doveva attraversare l’Adda a Paderno, a circa 80 metri d’altezza, su di una “gola” a pareti quasi verticali».
I lavori per la realizzazione della ferrovia cominciarono nel 1880, ma cinque anni dopo non vi era ancora chiarezza sul ponte, anche per questioni finanziarie e disaccordi tra le province interessate. Fino al 1886, quando venne bandita la gara d’appalto con i lavori appunto aggiudicati alle Officine di Savigliano. Mauri riporta nel suo testo dati tecnici che, come i disegni progettuali, saranno indubbiamente una ghiottoneria per esperti e appassionati ma che noi tralasciamo.
I lavori cominciarono nel settembre 1887. Si cominciò con la realizzazione di un “ponte di servizio”, una grande impalcatura, con legname proveniente dall’Alta Baviera. Si passò poi alla realizzazione degli spalloni in pietra di Moltrasio portata con barconi fino a Lecco e poi trasbordata su imbarcazioni più piccole per discendere l’Adda. Infine, il ponte in ferro che prevedeva la linea ferroviaria sovrastata dalla carrabile (allora percorsa solo da pedoni e carretti e non certo dal traffico pesante) così come richiesto dalle amministrazioni della zona affinché il ponte potesse dare risposte anche ai transiti locali.
«Nel marzo 1889 il grande viadotto sull’Adda era finalmente terminato. Durante i diciotto mesi di lavoro il numero degli addetti alla costruzione salì fino a 470 unità». Per quanto l’impresa sostenesse non si fossero verificati infortuni gravi, Mauri ripesca nelle cronache del tempo la morte di un operaio cinquantenne di San Vito di Cadore, colpito da una gabbia di ferro e precipitato dal ponte nel dicembre 1888.
Dopo i collaudi e le prove di stabilità effettuati nel mese di maggio, il 10 giugno 1889 avvenne la cerimonia di inaugurazione rovinata da una pioggia torrenziale a da un imperversar di bufera, come registravano le cronache del “Corriere della sera”.
Però – continua Mauri - «lo spettacolo che il ponte offriva agli occhi deglim ospiti fu davvero meraviglioso. L’opera venne paragonata ad “un lavoro di sottili vimini”. Il tempo non fu benevolo neppure in occasione della cerimonia religiosa». E finalmente il primo treno: «Il 1° luglio, in sordina, veniva inaugurata l’apertura della linea Seregno- Ponte San Pietro».
Oggi – come nello stesso volumetto spiegano Gian Paolo e Manfredi Manfredini – il ponte è parte irrinunciabile del paesaggio. Ciononostante – come scrive ancora Bertolini – ha anch’esso corso il rischio di sparire: «Poteva subire la stessa sorte dei ponti metallici ferroviari italiani dell’Ottocento. Oggi infatti di questi, demoliti secondo la consuetudine adottata dalle nostre Ferrovie di sostituire l’opera a circa un secolo dalla sua costruzione, non rimangono tracce, Sicuramente a favore della conservazione del ponte di Paderno hanno giocato un importante ruolo diversi fattori. Anzitutto l’esempio offerto da altri grandi ponti ferroviari europei, anche più vecchi del ponte di Paderno ma, come questo, ricchi di storia ed ormai appartenenti al paesaggio come simboli; restaurati con cura essi sono mantenuti in vita seppure con progressive riduzioni della gravosità dell’esercizio. Ma un ruolo determinante è stato svolto dall’interesse manifestato ripetutamente (…) dai vari enti della Valle, della Regione e del Paese».

Ardito e impressionante, il ponte è da tempo un monumento. La sua preservazione è tutelata da un vincolo posto dalla Soprintendenza per i beni ambientali nel 1980. In un periodo in cui già ferveva il dibattito politico delineandosi la prospettiva di realizzare un nuovo viadotto e la Regione raccomandava cautela: «Il territorio nel quale deve sorgere il manufatto presenta caratteristiche ambientali e paesaggistiche di grandissimo valore. Il progetto deve quindi essere studiato in modo da alterare nel minore dei modi i connotati naturali di questo tratto della valle dell’Adda, così come ottenuto dal ponte attuale, che ha rappresentato una soluzione complessivamente molto valida sia dal punto di vista tecnico sia dal punto di vista del corretto inserimento nel paesaggio».

E ancora: «Inserito in una classifica internazionale di viadotti metallici ad arcata unica, il ponte sull’Adda aveva conquistato il terzo posto per ampiezza di luce dopo le pregevolissime opere di Gustave Eiffel sui fiumi Douro in Portogallo e Garabit in Francia, ma era ritenuto dagli osservatori italiani complessivamente “più considerevole dovendo servire a due vie (ferrovia e carrabile, ndr)” ed esteticamente più valido “e meglio in armonia con le tradizioni architettoniche”.» Inoltre «sarà la stessa disciplina architettonica, nelle sue punte più avanzate come nella prassi diffusa, a fare del ponte metallico ottocentesco un modello di riferimento formale e metodologico: basti l’esempio dei progetti elaborati nel 1980 -10981 per l’attraversamento dell’Adda in sostituzione proprio del ponte di Paderno ormai non più in grado di assolvere ai bisogni di un traffico profondamente modificatosi sia in senso quantitativo che qualitativo. Non è infatti casuale che i progetti più interessanti tengano in considerazione il manufatto esistente non solo come monumento tecnologico del passato meritevole di conservazione, ma anche come presenza semanticamente attiva e ispiratrice di soluzioni giocate sulla dialettica s sull’analogia: ripetendo con materiali diversi il disegno di arco e piedritti, riproponendo la travata metallica reticolare, enfatizzando le trasparenze dei graticci (…) accettando, in altre parole, il confronto con un’espressione della modernità ottocentesca che non sembra avere esaurito la sua efficacia.»

Nello stesso volumetto, è Angelo Mauri a raccontarci la storia del ponte, partendo dai precedenti illustri che appartengono addirittura al secolo precedente: «Il primo ponte con struttura interamente metallica, realizzato nel 1779 a Coalbrookdale, in Inghilterra, e noto con il nome di “Iron Bridge”, aveva un arco di trenta metri. Questo ponte, oggi simbolo della rivoluzione industriale, suscitò fin da allora non poca ammirazione e curiosità negli ingegneri europei che per circa un secolo, dalla fine del Settecento alla seconda metà dell’Ottocento, cercarono di realizzare un ponte metallico ad arco, con oltre cento metri di luce.»

Da parte sua, Mauri ci offre un quadro della Lombardia dell’epoca, dello sviluppo industriale, del ramificarsi delle ferrovie che andavano soppiantando il trasporto per fiumi e navigli. E ì il contesto nel quale prendono forma idea e progetto: «Il continuo prolificare di queste attività creò problemi di trasporti dei prodotti finiti. Il fiume infatti non era più sufficiente a smaltire il continuo traffico di merci ed il “tappo” del Naviglio di Paderno creava non poche difficoltà. D’altro canto l’industria bergamasca, per i trasporti su Milano, poteva usufruire solo della linea ferroviaria Bergamo-Milano via Treviglio. La necessità quindi di attraversare l’Adda a nord si faceva sempre più pressante. La ferrovia complementare – che doveva congiungere la stazione di Ponte San Pietro, sulla linea Lecco-Bergamo, alla stazione di Seregno, sulla Monza-Lecco, per garantire maggiore accessibilità alla Brianza ed allo stesso tempo accorciare le distanze ed alleggerire il traffico di merci verso la linea del Gottardo, da parte delle province orientali lombarde – doveva attraversare l’Adda a Paderno, a circa 80 metri d’altezza, su di una “gola” a pareti quasi verticali».
I lavori per la realizzazione della ferrovia cominciarono nel 1880, ma cinque anni dopo non vi era ancora chiarezza sul ponte, anche per questioni finanziarie e disaccordi tra le province interessate. Fino al 1886, quando venne bandita la gara d’appalto con i lavori appunto aggiudicati alle Officine di Savigliano. Mauri riporta nel suo testo dati tecnici che, come i disegni progettuali, saranno indubbiamente una ghiottoneria per esperti e appassionati ma che noi tralasciamo.

«Nel marzo 1889 il grande viadotto sull’Adda era finalmente terminato. Durante i diciotto mesi di lavoro il numero degli addetti alla costruzione salì fino a 470 unità». Per quanto l’impresa sostenesse non si fossero verificati infortuni gravi, Mauri ripesca nelle cronache del tempo la morte di un operaio cinquantenne di San Vito di Cadore, colpito da una gabbia di ferro e precipitato dal ponte nel dicembre 1888.
Dopo i collaudi e le prove di stabilità effettuati nel mese di maggio, il 10 giugno 1889 avvenne la cerimonia di inaugurazione rovinata da una pioggia torrenziale a da un imperversar di bufera, come registravano le cronache del “Corriere della sera”.
Però – continua Mauri - «lo spettacolo che il ponte offriva agli occhi deglim ospiti fu davvero meraviglioso. L’opera venne paragonata ad “un lavoro di sottili vimini”. Il tempo non fu benevolo neppure in occasione della cerimonia religiosa». E finalmente il primo treno: «Il 1° luglio, in sordina, veniva inaugurata l’apertura della linea Seregno- Ponte San Pietro».

Dario Cercek