Premana: presentato il libro con le lettere dei valsassinesi internati nei lager nazisti

“Arriverà quel beato giorno di rivederci”: è questo il titolo dell’ultima fatica letteraria di Augusto Giuseppe Amanti, che, in collaborazione con il presidente dell’ANPI Valsassina Angelo Pavoni, ha ultimato da qualche settimana la realizzazione di una raccolta di epistole scritte da uomini del territorio internati nei lager nazisti e dai loro famigliari.
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Il volume – che costituisce il seguito di “Valsassinesi internati nel III Reich” e del Quarto “Libro nero Ribelli”, diario del tenente Giovanni Battista Todeschini - è stato presentato giovedì sera presso il bar dell’oratorio di Premana, dopo che già si erano tenute altre serate in vari paesi della zona (e altre ancora ne seguiranno). 
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Augusto Giuseppe Amanti e Angelo Pavoni

Il titolo dell’opera è “preso in prestito” da una lettera scritta da un internato di Pasturo, uno tra i numerosissimi valsassinesi deportati nei lager nazisti. “Alla loro memoria, e in particolare a quella dei quarantotto ragazzi che non fecero ritorno a casa, è dedicata questa raccolta” hanno precisato fin da subito gli autori.
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Per comprendere l’entità della tragedia che investì il territorio, basti pensare che il 4% della popolazione residente (compresi dunque donne, bambini e anziani) fu internato o deportato. Spostando il focus sull’Alta Valle, si scopre che Pagnona è il paese italiano con il più alto rapporto tra deportati e popolazione, mentre Premana registra il triste primato in Valsassina (ventuno), oltre che il maggior numero di morti (otto). 
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“Arriverà quel beato giorno di rivederci” è innanzitutto un libro storico, basato esclusivamente sulle lettere scritte da e verso i campi di prigionia nazisti, oltre che su una collezione molto minuziosa di particolari biografici degli internati. Dopo l’introduzione di Angelo De Battista e la prefazione dello stesso autore Giuseppe Amanti, il volume ricorda uno per uno i valsassinesi internati.
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Per ognuno, gli autori hanno riportato una fotografia in primo piano, una breve biografia (che comprende la data e il luogo precisi della morte, per coloro che non ce l’hanno fatta) e le lettere – in originale e con la trascrizione (fedele), ove necessario - che questi ragazzi, padri di famiglia, fratelli, spedivano a casa oppure ricevevano dai propri famigliari. Per alcuni di loro - in assenza di una corrispondenza oppure in aggiunta a quest’ultima - sono stati riportati anche documenti di altro tipo: verbali dei carabinieri (ad esempio, la richiesta di informazioni da parte dei nazisti ai militari di Margno a proposito di un partigiano), attestati di “partigiano caduto” e atti di morte.
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Morris Codega

La corrispondenza in viaggio tra Germania e Italia rappresenta tuttavia il centro del volume e la fonte più preziosa per comprendere davvero cosa significò la guerra e il regime nazista, cosa significò essere un partigiano e combattere per la libertà. Quelle spedite attraverso la frontiera sono lettere di amore, di fede, di tristezza, dolore e disperazione; ma anche lettere di speranza, dove si riesce a scherzare e mantenere sempre un abbozzo di sorriso sul volto e nell’animo, anche in quelle condizioni così tragiche. Sono lettere dove si chiede aiuto (la richiesta era sempre quella del famoso “pacco” contenente viveri e altri beni di prima necessità, fondamentale per la sopravvivenza nei campi di prigionia), ma anche dove si cerca semplicemente di mantenere vivo un legame, seppur a distanza, o dove ci si accerta che tutti – da una parte e dell’altra - stiano bene. Sono lettere di una ricchezza emotiva, ma anche storica, immensa.
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Leggendone alcune, scopriamo ad esempio i metodi utilizzati dagli internati per aggirare la censura del regime. Innanzitutto, “La mia salute è ottima” oppure “sono in buona salute” erano le espressioni in grado di garantire che la lettera non venisse stracciata immediatamente. Per far presente che si stava soffrendo la fame si impiegavano invece termini come “Casarsa” (alpeggio premanese situato nella cosiddetta “valle della fame”) o “Introbio” (luogo noto per la scarsità di cibo, visto che si mangiavano solamente polenta e castagne). Restando in tema censura, è interessante notare come tutte le missive fossero scritte su fogli identici. Lettere e cartoline postali erano infatti fornite direttamente dai lager, anche ai famigliari a casa, pre-intestate in modo da non far conoscere i veri indirizzi dei campi.
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“Arriverà quel beato giorno di rivederci” riporta inoltre la trascrizione di due interviste a reduci valsassinesi, tornati a casa dai campi di prigionia, realizzate nel 2002 e nel 2010; oltre agli spartiti musicali di una quindicina di canzoni risalenti ai tragici anni della Resistenza e ora intonate da un piccolo coro spontaneo sorto a lato del progetto del libro.
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In coda alla serata e prima che il volume venisse omaggiato ai parenti dei ventuno deportati premanesi, Morris Codega – presidente del Gruppo Alpini di Premana - ha ringraziato gli autori per l’importante lavoro svolto, parlando di “una raccolta di lettere che testimonia il disagio, le peripezie e i sacrifici fatti da questi ragazzi”. Codega ha esortato a “ricordare i morti aiutando i vivi”, oltre a che a “tenere a mente da dove veniamo per capire dove vogliamo andare”. Osservando il mondo che abbiamo davanti oggi, sembra che le tragedie del passato non ci abbiano davvero insegnato niente. 
A.Te.
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