SCAFFALE LECCHESE/160: sepolto a Perledo l'autore di 'Quelle signore' (proprio 'quelle')

E’ sepolto nel cimitero di Tondello a Perledo l’autore di un libro che agli inizi del Novecento fece scandalo: “Quelle signore”, sorta di memoriale di una casa di tolleranza milanese. A scriverlo Umberto Notari, intellettuale vulcanico e in futuro di provata fede fascista: nel 1938 avrebbe aderito al famigerato Manifesto della razza e che non sia stata un’adesione distratta lo conferma il “Panegirico della razza italiana”, dedicato «alla più prolifica delle donne italiane», uno stucchevole elogio delle eccellenze del popolo italiano: dalla sobrietà alla laboriosità, dall’imperturbabilità allo spirito guerriero (!).

Un popolo che non poteva non trovare in Mussolini la guida che più gli si confaceva: «Prima ancora che Egli assumesse il Potere, attuasse la Marcia su Roma, fondasse l’Impero, compisse insomma le mille gesta che portarono l’Italia alla quarta Civiltà, l’intuizione politica degli Italiani lo aveva sentito il Condottiero Unico. E il popolo gli corse incontro a quel modo che per molti è oggi Leggenda e domani sarà Mito». Del resto, «gli italiani erano fatti, e benissimo fatti, da molto tempo. Mancava loro solamente un Capo di Genio, mancava l’Uomo di Dio.» Certi «di quella verità mussoliniana racchiusa in una sua frase profetica: “Il secolo ventesimo sarà il secolo della potenza italiana”».

Notari in un dipinto di Achille Funi

Non suona quindi strano che, a guerra finita, Notari si eclissasse, ritirandosi in un luogo appartato dal nome curiosamente evocativo: «Da Bologna a Bologna: come dire il destino racchiuso in un nome – così scriveva nel 2008 lo studioso Gian Luca Baio in un articolo sulla Provincia di Lecco - La prima Bologna è però “la dotta”, il capoluogo felsineo ai piedi della collina di San Luca, dove nacque il 26 luglio 1878; la seconda, è invece la piccola incantevole frazione del comune di Perledo, posta in delizioso affaccio sul centro lago, dove si era definitivamente ritirato e dove morì dimenticato un po’ da tutti il 18 luglio 1950».

La sepoltura a Perledo

Fu scrittore di discreto seguito ed editore intraprendente: tra le sue intuizioni, una rivista realizzata con la moglie Delia Pavoni: “La cucina italiana”, il cui primo numero uscì nel dicembre 1929 e che si pubblica ancora oggi. Eppure, a farlo ricordare è soprattutto quel libro “scandaloso” pubblicato per la prima volta alla fine del 1904, quando Mussolini era ben lontano dall’immaginare il fascismo avendo problemi più pratici: sconosciuto maestro elementare, per un paio d’anni aveva sbarcato il lunario in Svizzera da esule rivoluzionario e proprio nel novembre di quell’anno rientrava in Italia beneficiando di un’amnistia che lo sgravava della condanna a un anno di reclusione per diserzione.

Uscito in tremila copie, “Quelle signore” «passa quasi inosservato – scrive un biografo, Michele Giocondi - però non sfugge all’occhio attento di qualche moralista, che decide di denunciare l’autore per “oltraggio al pudore” a mezzo stampa (…) e dopo una decina di giorni dalla sua uscita, il 20 dicembre 1904, il libro viene tolto di circolazione. Le copie in deposito ai librai, oltre i due terzi della tiratura, vengono rispediti all’autore, che le vende a un rigattiere per 11 centesimi a copia, tanto per tirare su qualche soldo. (…) Due anni dopo, il 23 giugno 1906, viene celebrato il processo, che dato il grande afflusso di pubblico si svolge a porte chiuse. Si conclude con l’assoluzione del Notari dall’accusa di oscenità. (…)  L’autore a questo punto, forte della piccola fama che gli è piovuta addosso, fa ristampare una seconda volta il suo libro, e vi aggiunge il resoconto del processo. E qui fiocca una seconda denuncia, poiché non si possono rendere di dominio pubblico gli atti di un processo celebrato a porte chiuse. A questo punto scoppia un putiferio: il vero “caso Notari” (…) Queste vicende rendono estremamente famoso l’autore. Notari stavolta viene condannato al pagamento di una multa di lieve entità, 100 lire, per aver pubblicato il resoconto del processo. Il caso però ha assunto una rilevanza nazionale, e diventa il pretesto per uno scontro politico e civile fra la destra e la sinistra, fra conservatori e progressisti, fra clericali e anticlericali. Il libro, rimasto sino ad allora praticamente sconosciuto, finisce per diventare la bandiera e il simbolo del “progresso” contro “l’oscurantismo clericale”. Tutto ciò naturalmente fa la fortuna di “Quelle signore”, che in quattro mesi viene venduto in 105 mila copie. Un anno dopo, nel 1908, ha superato le 200 mila copie, nel 1910 le 300 mila, nel 1920 le 548 mila, nel 1925 le 580 mila. È un successo clamoroso, strepitoso, che non trova riscontro nella tradizione editoriale letteraria del nostro paese. Nemmeno “I promessi sposi” hanno venduto tanto, si dice, e neanche “Pinocchio” e “Cuore”, nei primi anni di vita. Non solo, ma tradotto in francese, tedesco, spagnolo, russo, ungherese, il libro in due anni supera il milione di copie e viene a rappresentare uno dei più grandi best seller d’Europa. Con gli enormi profitti che gli derivano dal libro Notari crea una società, che pubblicherà tutti i suoi libri».
La fortuna di “Quelle signore” ha retto anche al discredito politico dell’autore. Ancora nel 2008, il romanzo ha avuto una nuova edizione, pubblicata dalla casa editrice milanese “Otto/Novecento” con l’introduzione di Riccardo Reim: « “Quelle Signore” è un libro di pronto consumo, accattivante e divertito, a tratti canagliesco, scritto con indubbia spigliatezza; come osserva Piero Lorenzoni “ha più del grottesco che dell’osceno”: Notari ammicca volentieri al lettore cercandone la complicità, lasciando volutamente trasparire con evidenza la sua mano sotto quella della voce narrante, “un occhio al sesso da sfogare e l’altro alla corruzione da reprimere”, cercando, forse, proprio lo scandalo (chissà quanto calcolato)».

La copertina del volume

La voce narrante è appunto quella di una prostituta, Anna ma in arte Marchetta («E’ un invito? No; è un programma!») che racconta le vicenda di quasi un anno di vita in un diario consegnato «a un poeta decadente, ricco di ingegno, di ambizione di cinismo, che per farsi a ogni costo una rapida reputazione aveva iniziato una serie di letture di versi in tutti quei circoli che disponevano di una sala disponibile» compresa la casa di tolleranza dove in compagnia di altri giovani gaudenti e squattrinati, definititi “flanellisti” e cioè “scaldapanche”, è solito recarsi per concludere le serate di bisboccia. In quel poeta, la critica ha peraltro riconosciuto Filippo Tommaso Marinetti che di lì a qualche anno avrebbe pubblicato il suo manifesto futurista firmato anche da un poeta di nome Paolo Buzzi (1874-1956) che ritroveremo nella vita di Notari.
Attraverso le vicende di Marchetta, dunque, la vita “nascosta” dei bordelli viene squadernata davanti al lettore: «Qui non c’è che il crudo documento della corruzione sessuale di uno di quegli immensi verminai umani che si chiamano “Grandi Città Moderne”.» Notari ci racconta storie e personaggi che girano attorno a quelle «aziende che hanno i più accaniti denigratori in coloro stessi che le fanno prosperare, vale a dire gli uomini.» In una Milano in cui la corruzione femminile è «diffusa come un’epidemia». Ne risulta una galleria di ritratti. I clienti, naturalmente: un giudice, un generale, il commendatore, «uno degli uomini più ricchi e più potenti di Milano, uno di quegli uomini che fanno il buono e il cattivo tempo» prossimo a diventare senatore; il principe da incontrare in trasferta a Salsomaggiore e addirittura l’anarchico Gaetano Bresci che la sera prima di sparare a re Umberto se ne arriva trafelato al bordello di Marchetta soltanto per riposarsi e lascia cinquanta lire («Hai fatto un colpo? Non ancora!»). E naturalmente “quelle signore”, le ragazze di lungo corso, arrivate nella casa per diverse vie. E la maitresse. E il padrone. E la nuova arrivata, «una vera negra» dell’Abissinia. Il diario registra i momenti tristi e quelli allegri, un malinconico Natale e il cane chiamato Crispi….
L’apparizione di Bresci ci dice dunque che siamo nei mesi a cavallo tra 1899 e 1900 (il regicidio è del luglio 1900) e quindi nel passaggio al nuovo secolo: Notari lo attraverserà per metà. Tutto sommato alla ribalta E con qualche dramma privato: la morte prematura del figlio nel 1921, la morte della moglie Delia nel 1936. Fino al ritiro di Perledo. Finita la guerra, lascia infatti la villa alle porte di Monza (a Villasanta) e acquista “La Carlinga” dal citato Paolo Buzzi. milanese con qualche ascendenza lecchese: la madre, Camilla Riva, era appartenuta a una blasonata famiglia di origini brianzole con casa a Galbiate e un cui ramo aveva avuto il sepolcro nella chiesa di Sant’Eufemia di Oggiono. E fu la famiglia che nel XVI secolo commissionò al pittore Marco (d’Oggiono) il celebre polittico di cui si è parlato anche in questa rubrica. A dire, come si dice, che a volte il mondo è davvero piccolo.

Villa La Carlinga

Buzzi aveva acquistato villa “La Carlinga” nel 1939 e lì vi trascorse gli anni della guerra. Dando anche ospitalità, per un certo periodo, a Franca Valeri (1920-2020) attrice che nel secondo dopoguerra avrebbe avuto una carriera luminosissima. Allora, invece, in cerca di un riparo con la famiglia colpita proprio dai provvedimenti razziali: Angelo Norsa, il padre di Franca, era infatti ebreo. Nel 2019, ne parlò la stessa Valeri in un’intervista ad Aldo Colonna del quotidiano “Il Manifesto”: nel 1938 «la famiglia di un’amica carissima di scuola – si chiamava Semenza – ci ospitò in Brianza . Improvvisamente Semenza morì e non volemmo pesare sui genitori alle prese con un lutto lacerante. Poi fummo ospitati a Perledo Bologna, sopra il lago di Lecco, da uno scrittore e poeta importante, Paolo Buzzi (…) Buzzi suonava molto bene il pianoforte e amava molto l’opera, interesse che già condividevo. Poi, un impiegato dell’anagrafe mi rilasciò una carta d’identità falsa dove risultavo figlia illegittima di tale Cecilia Pernetta. Nonostante i tempi bui, c’era anche allora molta gente coraggiosa.»

Non ci è dato sapere se Notari fosse al corrente di quell’ospite non ancora illustre che l’aveva curiosamente preceduto nelle stanze della villa perledese dove egli avrebbe vissuto gli ultimi anni della sua vita in compagnia della seconda moglie. La villa ora è passata di mano e al cimitero è rimasto il loculo dello scrittore: i fiori sono di plastica, ma di posa recente. Segno che qualcuno se ne prende cura.


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Dario Cercek
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