SCAFFALE LECCHESE/143: e poi Renzo tradì Lucia. Il seguito dei 'Promessi sposi' secondo Giovannetti


Ci sarebbe piaciuto sapere di più, e darne conto, di un tal Giovannetti che nel 1905 diede alle stampe “Renzo e Lucia”, un seguito dei “Promessi sposi” decisamente poco convenzionale. Invece, non ne conosciamo neppure il nome di battesimo. Ci viene infatti presentato solo come M. Giovannetti. Del quale non abbiamo trovato tracce. A ricordarlo, rimane quest’opera che è poi forse l’unica. Una meteora, dunque. Se certe suggestioni non ci suggerissero la possibilità di qualcheduno nascosto dietro uno pseudonimo. Bisognerebbe setacciare la stampa milanese di quegli anni di inizio secolo sperando di trovarci qualche indizio. E magari anche sapere quale accoglienza possa avere avuto il racconto di un Renzo Tramaglino adultero e scellerato. Qualcuno, forse, un giorno ci dirà. Per ora non ci resta che accontentarci del “mistero” e del romanzo. Che Giovannetti si augurava avesse ventiquattro lettori, uno in meno di quelli manzoniani.
Va detto che l’idea di dare un seguito ai “Promessi sposi” non era nuova. Già, nel 1875, ci aveva pensato il bellanese Antonio Balbiani.
Balbiani era però rimasto fedelmente nel solco tracciato dal Manzoni del quale era un ossequioso ammiratore: ne riecheggiava certe descrizioni e ne seguiva il filone storico, dando al proprio lavoro la stessa struttura narrativa.
Giovannetti, invece, prende tutta un’altra strada. Chiaro è che non voglia buttar fuori un nuovo romanzo storico. Del resto, nel 1905 siamo in un altro secolo. Sono passati anni, decenni. Il Manzoni è già consegnato alla storia; il Balbiani forse non lo si ricorda neppure più. Nel frattempo, lo scapigliato Cletto Arrighi ha proposto il suo progetto incompiuto di “parafrasi dei Promessi sposi”, indicato come la prima parodia del romanzo manzoniano che nel Novecento avrà un suo sviluppo (ne torneremo a parlare). Inoltre, la letteratura frequenta altri temi. Come quello delle passioni. L’amore non è più una questione solo di cuore. E anche lo spirito traballa e il sentimento religioso ha avuto momenti migliori. Però, per sgambettare Renzo Tramaglino  in maniera così scandalosa, il nostro Giovannetti dovrà avere avuto qualche motivo in più che non il semplice intento di scrivere un romanzo piccante e alla moda. Tirar giù un monumento può avere non poche conseguenze e chissà che proprio a ciò si debba l’oblio in cui il “Renzo e Lucia” è poi caduto. Di là dai giudizi estetici. Non ci risultano altre edizioni, dopo quella del 1905 da parte della “Premiata casa editrice di libri di educazione e istruzione Paolo Carrara” di Milano.

La vicenda si svolge nell’arco di un anno, tra il settembre 1640, quando «Renzo e Lucia, i fidanzati tanto travagliati d’un tempo, ora marito e moglie da nove anni» ormai quasi dieci, e il settembre 1641, in uno dei primi giorni del mese in cui «ferveva a Bergamo una grande animazione per la sua fiera». Alle porte della città, all’imbocco della Valle Brembana, «un solo filatoio aveva in quel giorno interrotto il lavoro» ed era appunto il filatoio di Renzo: «Da una stanza del pianterreno si udiva salire un coro di voci giulive. Tratto tratto i canti affievolivano e si confondevano in un confuso clamore, tra cui udivasi ancora un tintinnare di bicchieri poi, improvvisamente, tutte le voci riunivansi in un grido solo che faceva tremare le pareti: “Viva Renzo Tramaglino! Viva Lucia!” Infatti, sotto una specie di loggiato aperto su di un orticello, sul lato destro del filatoio, a capo d’una lunga tavola bene imbandita, intorno a cui erano una trentina di giovani, uomini e donne, sedevano Renzo e Lucia».
E’ in quell’occasione che «due o tre donne, parlando ad alta voce e gesticolando vivamente, comparvero nella stradetta per la quale s’accedeva all’orticello e al filatoio, e non appena ebbero scorto Renzo gli si fecero accosto, affrettandosi a narrare ciò che a lui le menava, parlando tutte ad una volta, in un turbine di parole. “Sapete? E’ la bella veneziana, è Clara, la figlia del servo dell’ambasciatore di Venezia: la figlia di quello sciagurato che fu impiccato or son due giorni per le sue ladrerie. E’ desolata la poveretta, senza un pane per sfamarsi e senza un tetto che la ricopra: sarebbe una bell’opera di carità il ricoverarla e darle un po’ di lavoro. (…) Prendetela qui con voi, Renzo, e il Signore ve ne renderà merito: ci siam rivolte a voi perché sappiamo che avete pietà per i disgraziati.” (…) Una delle donne si allontanò frettolosamente, ed un istante dopo, sul fondo verde delle piante, apparve una giovanetta bionda di mirabili forme, che avanzava lentamente con un’umile preghiera negli occhi neri, mentre il sole carezzava con mille riflessi d’oro i capelli sciolti. Tutti rimiravano quel bel fiore della laguna, e per un istante tutti tacquero attoniti, come se con quella giovinetta fosse entrato il più bel raggio di sole.»
Quel bel fiore della laguna viene accolta da Renzo quale filatrice, ma anche per assistere Lucia improvvisamente colta da un misterioso malessere e che in un momento di delirio sembra avere il presagio di quanto sta per avvenire nel suo matrimonio: «Il sopore, a poco a poco, la riprendeva (…) Ma, ad un tratto, una frotta d’idee monche, slegate, stravolte lo attraversa, guizzando e lasciando una traccia infuocata nel sangue. (…) Donde venivano quelle immagini che lampeggiavano nel calore della febbre. (…) Pure cogli occhi aperti vedeva, vedeva ciò che non avrebbe voluto vedere.»
Ed è proprio nei giorni in cui Clara assiste la malata che Renzo comincia a far qualche pensiero, per poi scacciarlo quasi impaurito d’aver osato fino a quel punto, del resto convinto di poter resistere a certi turbamenti: «Era bella Clara, bella da far dannare un santo, ed egli era un uomo debole alla tentazione, e sano e forte. Non era adunque naturale che egli, di fronte a quella fiorente bellezza si sentisse un po’ scosso? Non sarebbe accaduto lo stesso ad ogni altr’uomo? Forse un altr’uomo non avrebbe trovato in sé stesso la fermezza d’un onesto intendimento che lo avesse trattenuto dal precipitare in una via peccaminosa? Qui sentiva esser la sua forza, qui sentiva esser la sua superiorità. Oh! Egli, nella brutta via non sarebbe mai precipitato».
Ma l’irreparabile si compie. Prima un bacio rubato e poi altri e altri ancora, pur tra tanti ripensamenti e dubbi e pentimenti. Giovannetti dedica molte pagine al tormento di Renzo, al rovello interiore, alla lotta tra lo slancio verso Clara e la fedeltà a Lucia. L’uomo finisce però con il cedere e di fatto Clara diventa l’amante di Renzo che la fa ospitare da una vecchia e avida megera, finanziando i capricci dell’una e dell’altra. Ed è una relazione che porta Renzo alla rovina. Per amore della giovane veneziana, infatti, arriva a vendere casa e filatoio, incurante di lasciare Lucia e figli sulla strada, pronto a fuggire chissà dove con l’amente.
Giovannetti, però, non infierisce fino in fondo. Il romanzo avrà infatti un lieto fine peraltro dai contorni un po’ improbabili. A raddrizzare la situazione non ci saranno frati o conversioni e cardinali: il deus ex machina avrà le fattezze del vecchio factotum del filatoio che Renzo aveva cacciato tempo prima nonostante l’avvertimento di Lucia: forse un giorno avrebbero avuto bisogno dei suoi servigi….
E all’improvviso, in quattro e quattr’otto, Renzo se ne tornerà a casa dove sarà accolto come se nulla fosse accaduto, trovando una Lucia sorridente e i figli più che sereni. Perché in fondo, l’animo di Renzo Tramaglino è quello d’un uomo buono e non di un malvagio. Come del resto decreta la stessa Agnese, la madre di Lucia, sul letto di morte, dove si trova proprio per le pene datele dallo sconsiderato e fedifrago genero.
Il Renzo manzoniano ci appariva come un giovane tanto irruento quanto sprovveduto. Ed è carattere che Giovannetti conferma. Però, in quest’occasione a far ballare il “povero” Renzo sono le donne. Indipendentemente da peccato o virtù, che siano Clara o Lucia, e fors’anche Agnese, il Renzo di Giovannetti sembra un maschietto in balìa femminile. Irresponsabile nel bene e nel male.
Quando è ancora ai primi bollori e Renzo vorrebbe scacciare Clara da sé e dai propri pensieri, Giovannetti gli fa pronunciare queste parole, in una tirata contro la giovane ambita: «Siete tutte così, siete tutte più maliziose del diavolo. Se un galantuomo seguendo una sua naturale inclinazione allo scherzo, vi tratta con giocosa confidenza, v’inalberate subito e andate poi spargendo ai quattro venti, atteggiate a pietà “Sapete? Il tale è cotto: poveretto! Mi sta sempre alle costole vuol farmi il grazioso.” Ma non son mica uno di questi vagheggini io: avete inteso». Che sono appunto parole da mascalzone.
E quando nelle ultime pagine si tirano le somme, è il factotum-salvatore ad assolvere Renzo: «Vi conosco da molto tempo; siete stato sempre un uomo onesto e laborioso, amante della santa e cara creatura, che dopo tante ansie e traversie divenne vostra sposa, e dei figli che nacquero dalla vostra unione benedetta. Ero convinto che soltanto le arti di una mala femmina, avevano potuto farvi dimenticare i vostri doveri di marito e di padre, traviando non il vostro cuore ma i vostri sensi». Così che, tornato da moglie e figli, potrà ritrovare la felicità perduta: «Una donna perversa ve l’aveva tolta, ma l’angelo buono che vi siede al fianco ve la ridonerà per sempre.»
Probabilmente, non il solo Giovannetti la pensava in tal modo. A quei tempi…


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Dario Cercek
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