SCAFFALE LECCHESE/135: la 'Guida medica per l'alpinista' (e altro) del dottor Bruno Galli Valerio
Bruno Galli Valerio, chi era costui? Da un lato un medico “per umani” e un medico veterinario, un docente universitario in Italia e in Svizzera, un ricercatore di fama internazionale nei campi dell’igiene e della parassitologia, dall’altro un anticlericale, un antimilitarista, un “dreyfusardo”, così come da un ritratto dello studioso valtellinese Raffaele Occhi.
Bruno Galli Valerio
Nacque a Lecco, ma a Lecco rimase solo cinque anni. Troppo pochi, forse, per annoverarlo tra le glorie locali. Però i seppur esili legami con la nostra città e con il nostro “ambiente” sono suggestivi. La data di nascita è il 4 aprile 1867, all’anagrafe vene registrato come Bruno Dante Ferruccio Galli. Da adulto volle aggiungere al cognome paterno quello materno di Valerio.Il padre Ambrogio era un funzionario dell’Intendenza di finanza dell’allora Regno d’Italia. E infatti, la famiglia Galli, nel 1872 si trasferì a Bergamo e poi a Roma e Napoli e infine nel 1879 a Sondrio, proprio per gli incarichi professionali del capofamiglia.
Ciò che sappiamo della sua vita lo dobbiamo soprattutto a Raffaele Occhi, autore di una breve biografia uscita nel 2009 sulla rivista del museo di storia naturale di Morbegno, pubblicata per quasi trent’anni - dal 1990 al 2017 - e intitolata “Il Naturalista Valtellinese”. Proprio come quel giornale di scienze naturali apparso solo per dodici numeri nel 1885 e promosso da due giovani studenti: uno era appunto Galli, che ne era amministratore, l’altro Mario Cermenati, il direttore. Cermenati aveva madre d’origini valtellinesi, nel 1883 si era iscritto all’Istituto tecnico fisico-matematico di Sondrio e nel 1919 avrebbe attinto anche dal bacino elettorale valtellinese i voti per essere riconfermato in Parlamento.
Nella biografia di Cermenati scritta da Aroldo Benini leggiamo: «La rassegna si pubblica il terzo sabato di ogni mese, è amministrata da Bruno Galli che risulta fra i più frequenti collaboratori. (…) Il periodico aveva raggiunto l’anno di vita: la stampa ne aveva parlato favorevolmente, gli incoraggiamenti non erano mancati, ma erano mancate – fatto non eccezionale, nella storia dei periodici di carattere scientifico o letterario seri – le sottoscrizioni d’abbonamento. Il deficit amministrativo era di un certo rilievo, il papà Cermenati aveva deciso di colmarlo ad un patto: che il figlio non continuasse la rivista ma si dedicasse completamente agli studi».
E comunque, i cinque anni della più tenera infanzia lecchese non sarebbero stati ininfluenti sulla formazione di Bruno Galli: «Fu lì – scrive Occhi – che il padre lo iniziò alla montagna, abituandolo fin da piccolo “a passare su di una tavola senza sponde, buttava a traverso di un torrente”, e gli fece fare la sua prima ascensione, il Monte Barro», preludio a una futura grande passione alpinistica che proprio in Valtellina avrebbe coltivato.
«Non fu un grande alpinista - annota lo storico sondriese Bruno Credaro in “Ascensioni celebri sulle Retiche e le Orobie” uscito nel 1955 – ma non trascurò alcuno dei motivi che fanno ricca e completa la vita in montagna. Salì quasi tutte le cime più importanti delle Retiche e delle Orobie. Dopo ogni ascensione mandava la relazione della salita al giornale “La Valtellina”. (…) Nel 1912 raccolse questi suoi scritti e li pubblicò in francese a Losanna, con il titolo di “Cols e sommet”».Losanna è la città dove Galli visse e lavorò per quasi trent’anni e con la quale strinse un legame fortissimo. Morendo, infatti, lasciò le proprie sostanze al Cantone di Vaud perché finanziasse una Fondazione che favorisse «lo studio delle malattie degli animali domestici e selvatici e delle problematiche relative alla selvaggina e alla piscicoltura» come si legge nelle dichiarazioni programmatiche dell’istituzione fondata l’8 agosto 1944. La Fondazione, intitolata proprio a Bruno Galli-Valerio, ancora esiste.
Anche lo slancio per la natura e gli animali avrebbe radici lecchesi, sempre stando a Occhi: fu a Lecco «che – grazie a sua madre e al clima educativo in cui dominava lo spirito di Antonio Stoppani – cominciò a svilupparsi in lui quella passione per gli animali condivisa con la sorella che l’avrebbe portato lontano, incoraggiata negli anni dal poter disporre in casa di una stanza per tenervi cavie, tartarughe, cince, perfino un piccolo barbagianni acquistato coi risparmi».
Laureato una prima a volta a Milano in medicina veterinaria nel 1890 e una seconda in medicina proprio a Losanna nel 1892, Bruno Galli fu docente nell’una e nell’altra città. Tornando sempre in Valtellina per le vacanze. Almeno fino a quando, «nel 1915, - ci racconta Occhi - per le sue posizioni antimilitariste, fu vivacemente contestato a Sondrio e da allora non mise più piede in Italia, facendo della Svizzera la sua patria d’elezione».
Commentando che «non si mancherà di tacciarmi di venduto eppure (…) ho tutto da perdere e nulla da guadagnare», che «mi si taccerà di vigliacco, ma ho la coscienza tranquilla di compiere il mio dovere di patriota, non di sciovinista italiano», probabilmente Bruno Galli aveva previsto le conseguenze delle sue parole. La sera del 29 marzo, una folla di contestatori si radunò davanti al ristorante di Sondrio dove stava cenando e Galli dovette scappare da una porta secondaria, scortato dai carabinieri. Lasciando, appunto, la Valtellina e l’Italia.
Fu un ricercatore specializzato in parassitologia: nel 1894 per Hoepli pubblicò un manuale di Zoonosi, vale a dire le malattie trasmissibili dagli animali all’uomo, materia tanto d’attualità proprio in questi nostri anni di covid. Premettendo che «l’arte di prevenire le malattie e di curarle una volta sviluppate, forma la gloria del secolo nostro», auspicava un maggior collegamento tra la medicina umana e quella veterinaria.
Nel libro, rivolto soprattutto ai medici, vengono trattate diverse malattie parassitarie: dalla rogna alle tenie, dalle tigne all’afta epizootica, dal vaiolo al tetano, dal carbonchio alla tubercolosi, la cura della quale nell’uomo «è una quistione di denaro. Più il vostro cliente sarà ricco e maggiori saranno le probabilità di prolungarne la vita nelle meno tristi condizioni possibili». E a dimostrare di come, a distanza di un secolo, certe profilassi non siano cambiate, ecco cosa scrive a proposito di trichinosi: «In Italia non fu notata se non due volte e quindi possiamo dirci immuni (…) è naturale che nei nostri macelli si sorvoli alla ricerca delle trichinie nei muscoli del maiale. Non si può però che raccomandare l’esame accurato dei maiali e delle carni fresche provenienti dall’America e dalla Germania, specialmente ora che (…) il Ministero dell’Interno revocò il divieto di introduzione delle carni suine americane». E ancora: «Nel caso di scoperta di trichinosi dell’uomo, bisognerebbe procedere alla distruzione del cadavere mercè la cremazione oppure chiuderlo ermeticamente in un cassa di piombo (…) pel fatto che le trichinie resistono per mesi alla putrefazione, e potrebbero così essere sorgente di nuove infezioni».
Tra le altre tante pubblicazioni, da medico e alpinista, Bruno Galli Valerio predispose per il Cai di Sondrio una “Guida medica per l’alpinista” pubblicata nel 1893: «Fra la faraggine di libri, opuscoli, manuali per l’alpinista – scriveva nell’introduzione – non v’è, ch’io sappia, una guida che valga a trarlo di impaccio in caso d’accidente. E’ vero ch’ogni alpinista porta ora con sé, come vuole la moda, una farmacia da tasca, ma spesso quei rimedi applicati senza criterio, fanno più male che bene».Si parte dall’abbigliamento e dall’attrezzatura: «Non è necessario che un abito sia fatto espressamente come quello di certe macchiette che vedonsi sui giornali di caricatura, veri alpinisti alla Tartarin. L’abito dell’alpinista non deve soddisfare che un solo requisito: quello di essere comodo». E poi, cinture non troppo strette («Meglio le bretelle»), tante tasche («Quanta poesia in quelle immense tasche ove trova posto un intero bazar»), camicie di flanella, mutande di cotone e larghe, calze di filo morbido e forte, scarpe alte a punta larga (e «voi signorine, che volete darvi all’alpinismo, abituatevi a
portare anche in città scarpe comode»), cappello di feltro, guanti di lana, occhiali, alpenstock, corda, zaino e “munizioni” vale a dire alimenti senza esagerare («Poco pane perché si trova di far polenta»), raccomandando carni arrosto, “brisaola” e prosciutto e senza dimenticare una fiaschetta di cognac, una di vino e caffè zuccherato. In quanto ai medicamenti si va dall’ammoniaca al laudano, dall’olio canforato a quello di scorpione, tela d’arnica e permanganato di potassio. E poi forbici, siringa, cotone idrofilo e qualche fazzoletto. Seguono poi i suggerimenti per la «cura delle malattie e degli incidenti da viaggio». Dall’asfissia («Bisogna ben guardarsi dal sospendere l’ammalato pei piedi, come indica un vecchio pregiudizio popolare») alla commozione cerebrale («cognac e iniezioni di olio canforato») fino ai morsi di vipera («se è puerile il nutrire, come molti nutrono, un vero terrore per questi afidii, è pure errore il ritenere che la morsicatura delle nostre vipere non arrecchi gravi conseguenze. Troppi casi di morte parlano contro questa credenza»). E poi i colpi di sole, gli eritemi, le distorsioni e le fratture con tato di istruzioni sulle barelle, il flemmone, i geloni e il “mal dell’orso”, le infiammazioni alla mano, i collasso e la perdita di coscienza, le punture di insetti: contro quelle delle api, per esempio, «l’olio di scorpione, che si trova in pressoché tutte le abitazioni alpestri, ha un reale valore che l’alpinista non deve trascurare».
E comunque, a Sondrio sarebbe tornato forse solo per morirvi. I documenti anagrafici, infatti, ne attestano il decesso proprio a Sondrio il 12 aprile 1943, anche se Wikipedia indica Losanna quale luogo di morte. Da pochi giorni, dunque, aveva compiuto i 76 anni. L’amico di gioventù Mario Cermenati se n’era ormai andato già da una ventina d’anni, essendo morto a soli 56 anni l’8 ottobre 1924.
Dario Cercek