Esino: nuova uscita dei 'Quaderni', dedicata all'oratorio di Sant'Antonio (e alla vera festa)
Il rifacimento del tetto, dunque, non è altro che la continuazione di una tradizione dell’oratorio di Sant’Antonio «che ha sempre visto la partecipazione della comunità – continua Ricciardelli - La storia dell’oratorio non è la storia di un edificio sacro, ma di un comunità che attorno a quell’edificio si è ritrovata e ne ha fatto il centro della vita collettiva». Comunità della quale facevano parte gli esinesi che erano emigrati, soprattutto quelli andati a Venezia a esercitare la professione di fabbro ferraio, così come accaduto anche per i premanesi. E il libro parla dunque anche di queste storie di emigrazione.
Nella seconda metà del XV secolo c’era già una piccola cappella con due altari, uno dedicato appunto a sant’Antonio Abate e l’altro a san Sebastiano che con san Rocco è invocato a protezione dalla peste. Questo secondo altare è stato fatto costruire da Arderico Bertarini, esinese che spese in viaggio buona parte della sua vita e che dispose anche un lascito perché si celebrasse continuativamente la messa.
Nel XVI secolo, in occasione della sua vita pastorale, l’arcivescovo Carlo Borromeo dispose che venisse eretta una nuova chiesa e che si abbattesse la vecchia cappella ormai «consunta». I lavori dovrebbero essere cominciati all’inizio del XVII secolo, perché quando nel 1611 arrivò in visita l’arcivescovo Federico Borromeo (quello dell’Innominato manzoniano), la nuova chiesa era già a buon punto anche se non ancora completata, mentre la vecchia cappella non era ancora stata abbattuta.
Nel nuovo tempio furono realizzati tre altari: quello principale dedicato a Sant’Antonio Abate e gli altri due a Sant’Antonio da Padova e a San Giuseppe.
Valerio Ricciardelli e il dipinto di Sant'Antonio Abate
«Come si vede – conclude Ricciardelli – dietro alla chiesa c’è la storia di un’intera comunità. Ed è l’aspetto al quale dobbiamo guardare con maggiore attenzione più che al rito delle benedizione degli animali che ormai, sparite le bestie da lavoro, è diventato qualcosa di anacronistico. E anche all’usanza di preparare i ravioli di Sant’Antonio che più che una tradizione sono in fondo una moda. Perché il significato della festa è un altro. E forse soprattutto proprio per Esino Superiore».
D.C.