Storie di migranti: approdate nel lecchese 2 donne raccontano la loro traversata, una in fuga dal nulla, l'altra da nozze combinate
“Italia solidale con gli ucraini ma non con gli africani”. È questa la denuncia contenuta nel rapporto “Il diritto d’asilo. Report 2022” pubblicato dalla fondazione Migrantes a metà dicembre. Come raccontano ogni giorno i telegiornali, il nostro Paese è costantemente interessato dall’arrivo, sui barconi o attraverso la rotta balcanica, di richiedenti asilo. Si tratta di un fenomeno complesso che, nonostante sia spesso ridotto a mere statistiche, nasconde dolori e difficoltà inimmaginabili.
Lo si capisce bene dalle parole delle due donne che si sono prestate a raccontarci il loro vissuto.
GIFT E IL NULLA DA LASCIARSI ALLE SPALLE
“Mi chiamo Gift e ho tre figli maschi, due qui con me e uno, il primogenito in Nigeria. Da lì sono scappata per cercare una vita più sicura”. A volte bastano uno sguardo e poche parole per capire tutto. In questo caso, bastava guardare il volto di Gift mentre parlava per comprendere che quella donna aveva attraversato l’inferno. “Ho perso mio padre e mia madre se ne è andata quando ero piccola. Cambiavo continuamente casa, sono stata prima con mia sorella poi con mia nonna. Non andavo bene a scuola” ha raccontato Gift, ospite dell’associazione comunità il Gabbiano a Calolzio. “È difficile la vita nel mio Paese, non c’è lavoro. Quando sono rimasta incinta la seconda volta avevo già un figlio piccolo e non avevo nessuno che potesse aiutarmi”.
RIM E YUOSSEF, IN FUGA PER AMORE
Lo si capisce bene dalle parole delle due donne che si sono prestate a raccontarci il loro vissuto.
Gift
“Mi chiamo Gift e ho tre figli maschi, due qui con me e uno, il primogenito in Nigeria. Da lì sono scappata per cercare una vita più sicura”. A volte bastano uno sguardo e poche parole per capire tutto. In questo caso, bastava guardare il volto di Gift mentre parlava per comprendere che quella donna aveva attraversato l’inferno. “Ho perso mio padre e mia madre se ne è andata quando ero piccola. Cambiavo continuamente casa, sono stata prima con mia sorella poi con mia nonna. Non andavo bene a scuola” ha raccontato Gift, ospite dell’associazione comunità il Gabbiano a Calolzio. “È difficile la vita nel mio Paese, non c’è lavoro. Quando sono rimasta incinta la seconda volta avevo già un figlio piccolo e non avevo nessuno che potesse aiutarmi”.
In Nigeria il 50% della popolazione vive in povertà estrema nonostante quella nigeriana sia la prima economia africana e la Nigeria sia il primo produttore di petrolio nel continente.
“Un giorno ho sentito delle persone che parlavano di venire in Italia. Dicevano che avremmo trovato fortuna. Ho lasciato mio figlio ad alcuni famigliari e sono partita con altre due donne. Ci hanno portato ad Agadez e poi al confine con la Libia. Lì io e le mie due compagne di viaggio siamo state separate” ha aggiunto la giovane madre. Agadez è una città del Niger che rappresenta uno snodo fondamentale per gli spostamenti dall’Africa sub – sahariana fino al Mediterraneo. Viaggi organizzati nei minimi dettagli. “Servivano soldi per il trasporto in Libia. Chiesero di chiamare a casa. Ero da sola, incinta, confusa e non avevo nessuno da chiamare. Alla fine, mi hanno permesso di andare lo stesso. Sono stata sei mesi in Libia. Eseguivo gli ordini, facevo quello che mi dicevano, in cambio di vitto e alloggio. Dormivamo per terra in 16 in un grande stanzone. Tutte donne, gli uomini stavano fuori. Si faceva fatica a muoversi”. Il ritmo e l’intensità della voce aumentano. Quei ricordi facevano ancora male. “Ero incinta e confusa, piangevo tutti i giorni e pregavo Dio che mi aiutasse. Un giorno mi hanno detto che potevo andare in Italia. Mi hanno detto di lasciare tutto e di andare” ha ripreso Gift. “Era buio, non si vedeva niente. Io ed altre ci siamo strette intorno ad una donna con una neonata venuta alla luce quella mattina. Siamo state le ultime a salire sulla barca. Per tutto il viaggio ho tenuto in braccio la bambina. Ero incinta. Siamo partiti. C’era silenzio, non si vedeva niente. Non sapevamo dove eravamo. Poi è arrivata la guardia costiera libica. Ci hanno portato via la benzina e i telefoni che dovevamo usare per chiamare aiuto e ci hanno lasciato in mare” ha proseguito la giovane nigeriana. Guardia costiera libica, quella che l’Italia ha finanziato con 11 milioni e 900 mila euro fino alla fine di quest’anno. “All’una di notte siamo stati salvati da Rescue. Li chiamiamo così perché sono quelli che aiutano. Ci hanno caricato sulla nave e ci hanno portato in Sicilia. Quando sono sbarcata stavo male, ero confusa, avevo fame. Non riuscivo a vedere niente” ha sottolineato Gift.
“Che giorno era?” abbiamo chiesto noi. “Il 1° agosto 2016”. Dalla Sicilia Gift è arrivata a Merate, dove ha dato alla luce il suo secondogenito, Johnson. “Oggi ha sei anni, frequenta la prima elementare”. Gift è ospite della sede di Calolziocorte dell’associazione comunità il Gabbiano dal 2018. Un anno dopo, a luglio 2019, la commissione territoriale di Monza ha risposto negativamente alla richiesta di protezione internazionale presentata dalla giovane madre nigeriana. Da allora, Gift è in attesa della data per l’udienza al tribunale di Milano, presso cui è stato presentato ricorso. Sono passati tre lunghi anni. “Sto cercando lavoro come meccanico. Mi piace fare il meccanico. Vorrei lavorare, prendere i documenti. Poi potrei far arrivare il mio primogenito. Ad aprile compirà dieci anni, ci sentiamo spesso. Vorrei lavorare per avere i documenti” ha sottolineato la donna, già madre anche di un terzo piccolino.
Rim
Scelte. La vita è fatta di scelte e a volte si sceglie di legarsi in modo indissolubile ad una persona. È qualcosa di magico, indescrivibile e imperscrutabile. È quel brivido che si prova quando le tue mani sfiorano le sue, quando i vostri sguardi si incrociano. È quel sorriso vero e genuino che nasconde la consapevolezza più potente di tutte: “Sì e con lui che voglio affrontare le avversità della vita”. Non c’è la certezza che vada tutto bene, ma di sicuro per qualcuno le avversità da superare sono molto più grandi. È il caso, per esempio di Rim e Youssef, due giovani, 25 anni lei e 27 lui, arrivati in Italia dalla Tunisia a settembre 2021. “Io ero fidanzata con Youssef già da due anni ma l’anno scorso mio zio ha deciso che avrei dovuto sposare mio cugino. Tutta la mia famiglia gli ha dato retta e lì sono iniziati i problemi. Mi hanno impedito di finire la scuola. Mio zio ha picchiato Youssef. Per questo siamo scappati” ha raccontato Rim. Oggi i due giovani, sposatisi in Tunisia davanti ad un notaio, vivono a Oggiono in un appartamento dell’associazione comunità il Gabbiano. Negli occhi della giovane finalmente, serenità. “C’è tanta corruzione in Tunisia, non potevamo rivolgerci alla polizia perché sapevamo che mio zio non avrebbe avuto alcuna condanna, anche se fosse arrivato a uccidere Youssef” ha proseguito la ragazza. Ricordiamo che nel luglio 2021, in seguito ad una serie di manifestazioni di piazza, il presidente tunisino Kais Saied ha rimosso il primo ministro e sospeso l’attività del Parlamento, poi sciolto a marzo 2022. A luglio 2022 è stata approvata una Costituzione che ha introdotto nel paese il presidenzialismo: il presidente nomina il governo senza bisogno del voto di fiducia del Parlamento. “In Tunisia le persone hanno tanti problemi, non c’è lavoro, non ci sono soldi” ha sottolineato Rim. Scappare non è stato difficile. “C’è la mafia che gestisce il trasporto verso l’Italia. Abbiamo pagato duemila euro e ci hanno fatto salire sulla barca. Eravamo circa in settantacinque. All’inizio ero in coperta, poi sono salita all’esterno perché stavo male. C’erano due donne con due bambini molto piccoli, senza marito” ha raccontato la giovane. “Siamo stati in mare 15 ore poi siamo stati salvati dalla guardia costiera che ci ha portato a Lampedusa”. Terra, quella terra che per loro significava speranza. Ma il viaggio di Rim e Youssef era ben lungi dall’essere terminato. “Il giorno dopo il nostro arrivo a Lampedusa abbiamo lasciato le impronte. Poi siamo stati trasferiti a Crotone, dove abbiamo fatto una prima quarantena di dieci giorni” ha proseguito Rim. “Da lì siamo stati mandati al nord, al CAS di Cremeno passando per un breve soggiorno a Bresso. A Cremeno abbiamo fatto altri tredici giorni di quarantena. Poi ci siamo trasferiti a Colico per due mesi. Da novembre 2021 siamo qui”. Ad un certo punto suona il telefono. È Youssef in videochiamata. I due si guardano e scambiano qualche parola in arabo. Il volto di lei si è illuminato di gioia. Dopo due minuti, lui attacca. La sua pausa è finita. “Mi chiama ogni giorno durante la pausa dal lavoro mentre esce a fumare una sigaretta” ci ha spiegato Rim sorridendo. I due, infatti, si sono sempre dati da fare. “Abbiamo frequentato un corso di italiano al CPA di Oggiono. Io ho lavorato da aprile a ottobre alla Spreafico e ora lavoro come cameriera e barista in un ristorante sempre qui a Oggiono. Youssef invece fa l’operaio in una falegnameria” ha proseguito la giovane.
Rim e Youssef sono in attesa di ricevere la data dell’udienza di fronte al tribunale di Milano presso cui hanno fatto ricorso dopo il diniego della commissione territoriale di Monza alla loro richiesta di protezione internazionale. “Noi vogliamo solo una vita tranquilla. Senza gli operatori del Gabbiano non ce la faremmo. Noi vogliamo solo una vita tranquilla”.
Rim e Youssef sono in attesa di ricevere la data dell’udienza di fronte al tribunale di Milano presso cui hanno fatto ricorso dopo il diniego della commissione territoriale di Monza alla loro richiesta di protezione internazionale. “Noi vogliamo solo una vita tranquilla. Senza gli operatori del Gabbiano non ce la faremmo. Noi vogliamo solo una vita tranquilla”.
Andrea Besati