SCAFFALE LECCHESE/129: la storia dei fotografi che hanno immortalato il nostro territorio
L'acquisizione da parte dei musei lecchesi dell'archivio di Giuseppe Pessina (nato a Lecco nel 1879 e morto a Cusano Milanino nel 1973), indicato come un pioniere del moderno reportage fotografico, con le relative mostre che negli anni scorsi ne hanno valorizzato l'attività, ci hanno riportato indietro fino al 1906, quando il fotografo lecchese documentò l'Expo milanese compreso l'incendio che il 3 agosto devastò il padiglione italiano. Quasi 120 anni fa. Ma già prima di allora, prima di Pessina, c'era stato già un altro mezzo secolo di fotografia lecchese.
Il primo pare sia stato Noé Vassena, nato a Lecco nel 1834 e morto chissà dove e quando. Nel 1853 è caffettiere a Milano, poi diventa tipografo e successivamente "pittore e fotografo" esercitando probabilmente come ambulante ma con base a Lecco, Si reclamizza così: «Unico possessore del processo per eseguire ritratti in ogni dimensione sopra qualunque mobile di legno e acciaio». Pubblicità che indicherebbe come Vassena «sia in grado di eseguire ferrotipie, tecnica raramente utilizzata nel territorio»: è quanto ipotizza Ruggero Pini, grande collezionista di stampe e foto d'epoca, nel libro "La memoria dello sguardo": è una "Storia della fotografia nelle province di Como, Lecco, Sondrio e Varese", pubblicata a cura dello stesso autore nel 2018, quasi a coronamento della ricerca di tutta una vita.
Pini, nato nel 1952 a Mezzegra sulla sponda altolariana comasca e morto nel 2020, è stato un importante collezionista che nel corso del tempo ha raccolto tremila tra stampe, disegni e fotografie. Parte delle quali da quest'anno arricchisce la collezione del Museo del paesaggio del lago di Como ospitato a Villa Mainona di Tremezzo.
"La memoria dello sguardo" copre un arco temporale di quasi un secolo, dal 1839 al 1930 e, seppur tradendo le origini comasche dell'autore, è una miniera di notizie sulla nascita della fotografia in questa parte di Lombardia: la provincia di Como coi confini d'allora e comprendenti perciò, oltre a Lecco, anche Varese, mentre non è irrazionale l'aggiunta di Sondrio riconducibile a Como per via religiosa essendo la medesima diocesi.
«Il Lago di Como - si legge nell'introduzione -, tappa obbligatoria del "Grand Tour", ospitò un diligente ricercatore inglese, un turista appassionato, studioso dell'immagine e del disegno, ossessionato dalla ricerca di una "reale" raffigurazione del paesaggio che fosse capace di suscitare nel ricordo l'emozione dei momenti vissuti e di restituire tutto l'incanto ed il fascino dei luoghi visitati. Era William Henry Fox Talbot, che nel settembre 1833 giunse a visitare le località tanto celebrate del Lago cercando di immortalarli con l'ausilio della camera chiara che, proiettando su di un foglio di carta il paesaggio inquadrato nell'obiettivo, permetteva di delinearne i contorni, per poi completare il disegno con l'utilizzo dei colori. Saranno gli scarsi risultati ottenuti con questa tecnica che lo spingeranno a cercare un'altra strada, portandolo ad avere la geniale intuizione di affidare alla luce il compito che l'abilità della mano non riusciva a raggiungere Dopo alcuni anni, nel 1840, Talbot completerà il suo avveniristico progetto brevettando il processo fotografico. (...) E' dunque il Lago di Como il luogo ove è stato posto l'embrione della fotografia».
Nel frattempo arrivano anche i dagherrotipi e di lì a poco sarà già una febbre che si diffonderà, cambiando il modo di vedere il mondo e la realtà. Naturalmente, qui non stiamo a raccontare la storia della fotografia. Il nostro sguardo si concentra sul nostro "piccolo mondo". Pini ci racconta di commercianti, di droghieri o caffettieri come si chiamavano allora,
di ambulanti, che cominciavano a trafficare con la fotografia per quanto ancora molto rozza. A proposito di Pessina, per esempio: è quando si trasferisce a Bormio in Valtellina per gestire il "Gran Bazar" che decide di allestirvi all'interno uno studio fotografico.
Inoltre, molte famiglie comasche e lariane svolgevano «attività commerciali di "barometta", ossia di fabbricatori e rivenditori di strumenti scientifici ed in particolare di barometri nei paesi d'oltralpe: Francia, Austria, Germania, Inghilterra». Senza dimenticare che, tra Settecento e Ottocento, dai paesi lariani in molti emigravano oltre frontiera. Del resto, «il territorio comasco, posto immediatamente a ridosso delle Alpi, costituiva la prima o ultima tappa, a seconda della direzione di marcia, per la traversata di quella che costituiva ancora "ed in alcuni periodi inaccessibile" catena montuosa. Questa posizione strategica fornirà l'occasione a moltissimi comaschi, soprattutto dell'area costiera del lago, di entrare a far parte della categoria dei "mercanti oltramontani". Molti di questi diventeranno dei venditori, e in alcuni casi anche produttori di barometri con i quali percorreranno le strade dell'intero continente. Sarebbe ricca di interessanti sviluppi una indagine sui possibili intrecci tra i venditori di barometri, personaggi legati al mondo della produzione di strumenti scientifici, e dei venditori di apparecchi fotografici».. Per esempio, tale Giuseppe Peverelli (1830-1903), probabile "barometta", originario dei dintorni di Como, che «opererà come fotografo in Liverpool tra il 1860 ed il 1880».
In quanto a Lecco, il primo fotografo sarebbe appunto stato il Noé Vassena di cui s'è già detto e «che rimane il più emblematico tra i fotografi operanti sul territorio lariano: cambia continuamente di località ed apre o collabora con un numero impressionante di studi». Intanto, nel settembre 1864, «il fotografo ambulante Giulio Leziroli giunge a Lecco da Novara attrezzato anche per l'allestimento della scena anche in esterni (finta balaustra e portavaso); rimarrà a Lecco sino al 1867 quando Andrea Mariani detto Federico, proveniente da Bergamo, apre il primo atelier in via Larga n. 195. Quello di Mariani rimane per alcuni anni l'unico stabilimento fotografico cittadino». Poi si contano Achille Mauri, «fotografo delle Ferrovie Italiane per le opere principali»; il garibaldino bergamasco Girolamo Colombo; Giacomo Mauri che fu anche pittore a Parigi; , Enrico Abeni che apre in via Mascari la "Nuova fotografia lariana", mentre il lecchese Salvatore Belgeri avvia a Sondrio la "Fotografia Valtellinese". Nel frattempo spuntano già i fotografi dilettanti come «Francesco Manzoni, nipote dello scrittore, che omaggerà don Pedro d'Alcantara, imperatore del Brasile, di passaggio nella città il 2 maggio 1888, con "12 grandi fotografie rappresentanti le principali vedute di Lecco e del territorio attinenti specialmente ai Promessi sposi».
Le fotografie, dunque. Per il territorio lecchese sono una trentina le immagini contenute nel libro: si va dalle immancabili vedute con il ponte Visconti e il San Martino, scattata da Pompeo Pozzi nel 1857 e Francis Frith nel 1865. E poi, la casa di Lucia, , un "Trivio" di Giovan Battista Ganzini del 1868 che ci mostra la cappelletta dell'incontro di don Abbondio con i Bravi (da anni ormai trasferita altrove), naturalmente Pescarenico, il lungolago, il monumento a Manzoni, Paré, Varenna e uno scorcio ancora di Pompeo Pozzi con un castello di Vezio quasi integro, Fiumelatte, , Bellano e l'Orrido, Dervio e Corenno, la Grigna, "alpinisti" in vetta al Legnone e il rifugio Roccoli Lorla.
Pini è riuscito anche a ricostruire certosine biografie di gran parte dei fotografi, la cui lettura spalanca finestre su mondi dimenticate e vite avventurose. Complessivamente sono 250 i ritratti, da quelli più documentati a quelli dei quali si conosce praticamente soltanto il nome. O ai casi bizzarri, come quello di un tale Antonio Case operante ad Albese la cui esistenza è attestata da una cronaca giornalistica che racconta di un processo del 1903 che vede il fotografo imputato per via di alcune fotografie non consegnate o consegnate in ritardo ai committenti. Quasi una trentina i fotografi lecchesi: oltre al Vassena, al Pessina e agli altri già citati, l'elenco annovera tra gli altri, l'Ubaldo Gattinoni che «produce cartoline in collotipia già dalla fine dell'800 utilizzando proprio materiale fotografico», l'Umberto Paramatti arrivato a Lecco da Milano nel 1920 e il cui negozio esiste ancora. Come pure esiste ancora la "Fotografia lariana" aperta nel 1887 dal bresciano Enrico Abeni e poi passata a Pompeo Bassani per arrivare a quel Mario Marai che è stato quasi un'istituzione per la città di Lecco e che è morto nel 2020, dopo avere ceduto l'attività al figlio. Ma questa è già storia dei nostri tempi.
Dario Cercek