Garlate: dopo aver toccato Capo Nord i Becco to the Borders sono in rientro, con un carico di sorrisi di bambini nella valigia dei ricordi
Spettacolo della natura. Guardando le ultime immagini pubblicate sui social dai ragazzi di Becco to the Borders vengono in mente solo queste parole. Limpidi fiumi, grandi parchi con baite sperdute, distese silenziose popolate solo da maestose renne. In una parola: Scandinavia.
Dopo aver attraversato la Finlandia, infatti, Stefano Maddalon, Emanuele Panzeri e Valerio Carbonara hanno toccato Capo Nord e ora si dirigono verso casa, quella Garlate che non vede l’ora di riabbracciarli.
Li contattiamo durante una sosta sulla strada per Stoccolma, capitale della Svezia. “I paesaggi scandinavi sono incredibili, cambiano in continuazione e sono tutti spettacolari, sembra una fiaba” ha sottolineato Stefano. “La cosa più incredibile sono questi grandi parchi dove non c’è nessuno oltre alle renne. Poi, tra gli alberi, ci si imbatte in queste baite pulitissime, ordinate, messe a disposizione di tutti gratuitamente. C’è pure già la legna tagliata per il fuoco. Il fatto che non siano rovinate o sfregiate dai fruitori è un esempio del grande senso civico che c’è da queste parti” ha aggiunto Emanuele.Oltre al senso civico, i ragazzi dell’Associazione Veronica Sacchi hanno dovuto fare i conti con altre caratteristiche tipiche degli scandinavi. “Ad un certo punto, mentre eravamo in Finlandia, non ci siamo accorti che il limite di velocità era passato da 100 km/h a 60 km/h. Abbiamo incrociato un furgone della polizia che ci ha fatto i fari. Noi all’inizio non lo abbiamo riconosciuto e quindi abbiamo ricambiato quello che pensavamo fosse un saluto” ha raccontato Valerio tra le risate dei suoi amici. “Quando il furgone ha fatto manovra e ha iniziato a seguirci abbiamo capito che era la polizia. Abbiamo provato a dialogare ma non c’è stato verso, non si sono mossi dalla loro posizione”. Anche in una situazione così spiacevole, però, è emerso un elemento molto particolare. “C’è da dire che i poliziotti, per quanto rigidi, sono stati cordiali e sorridenti. In Italia non è così” ha commentato Emanuele.Accanto ai paesaggi fiabeschi, gli incontri con le persone rappresentano l’altro grande filo rosso, l’altra grande storia che ha preso corpo in questi quaranta giorni di viaggio. “Nonostante parlino tutti inglese alla perfezione, qui in Scandinavia le persone sono molto più chiuse. Non è come nei Balcani o in Turchia, dove ogni giorno tanta gente si avvicinava per chiederci chi fossimo o anche solo per farsi una foto con noi” ha sottolineato Emanuele, il più esperto del gruppo nella clown terapia. Clown terapia che in questa storia rappresenta un universo a sé, fatto di spettacoli, giocoleria e soprattutto di grandi sorrisi dei bambini.“Queste settimane sono state molto intense perché abbiamo fatto tanti spettacoli. In particolare, tra gli altri, siamo stati ospiti presso alcuni villaggi di S.O.S. Children in Romania e in Lettonia. In queste strutture sono accolti anche diversi profughi ucraini” ha spiegato Valerio. “Per gli ucraini sono stati istituiti percorsi specifici, comprensivi di supporto psicologico. Ci hanno raccontato che durante i temporali i bambini hanno paura perché credono che ci sia un bombardamento. Inoltre, tante persone sono rientrate in Ucraina perché, se stanno via più di novanta giorni, perdono il lavoro e alcuni diritti sociali. Pochi giorni dopo hanno richiamato i villaggi che li avevano ospitati raccontando di essere sotto le bombe” ha aggiunto Stefano. “Al di là questi particolari, nei momenti di gioco insieme dopo gli spettacoli, i bambini ucraini si divertivano insieme a tutti gli altri. Mentre quando lavoriamo in ospedale magari ci troviamo a parlare con i genitori mentre giochiamo, qui, dato il problema della lingua, non c’era alcuna possibilità di dialogo a parole tranne quelle occasioni dove qualche bambino più grande sapeva l’inglese. L’unica cosa che rimaneva erano gli spettacoli e la giocoleria e noi abbiamo speso tutte le nostre energie in questo” ha commentato Emanuele.D’improvviso, silenzio. Quel silenzio profondo che anticipa il cuore di una storia. “Per molti dei ragazzi il nostro passaggio ha rappresentato una fondamentale novità, una rottura della quotidianità a lungo desiderata. Si sono lasciati coinvolgere in modo totale, rimanendo spesso presso la nostra tenda fino a quando gli educatori non li richiamavano. Grazie a questo approccio, fisico e sincero ma anche alla pari, siamo riusciti ad instaurare legami così intensi che più volte alcuni ragazzi ci hanno chiesto di non partire, di restare con loro. Una volta gli educatori di un villaggio, nel salutarci, hanno sottolineato come i bambini si ricorderanno a lungo del nostro passaggio” ha ricordato Emanuele. Più che le parole era l’intensità della sua voce a raccontare la potenza delle esperienze che i tre amici avevano vissuto.Una conversazione simile non poteva che chiudersi con un sorriso. “Un bambino si è letteralmente innamorato del monociclo. Nonostante di solito ci voglia circa una settimana di allenamento per muovere le prime pedalate, nel giro di un pomeriggio, con grande caparbietà, quel ragazzo ha imparato ad utilizzarlo” ha ricordato sempre Emanuele. Questo incontri, purtroppo, fanno parte del passato. Ora si guarda al futuro. “Siamo ormai nella parte finale della nostra avventura. Maciniamo circa 600 chilometri al giorno ma la sera cerchiamo di fermarci in posti belli così da ricaricare al meglio le pile. La destinazione finale, ovviamente, è Garlate”. E noi saremo li, assieme a tanti garlatesi, per festeggiare il ritorno a casa dei Beco to the Borders.
Andrea Besati