Piani Resinelli: cambia la gestione del Rifugio Porta, che ora punta anche un nuovo 'target'
Il Rifugio Porta (foto tratta da Fb)
Tra l’altro, il caso vuole che – come ci racconta Ornella Gnecchi nella sua trilogia sui rifugi lecchesi – il primo a gestire il Carlo Porta «fu un certo Fiorelli della Val Masino, che rimase fino al 1921 circa». Cent’anni fa, quasi esatti. Per la cronaca, Gherbesi e il figlio Massimo si occupano del “Porta”, mentre Eleonora manda avanti il “Ponti”, dandosi aiuto reciproco da una parte o dall’altra quando necessario: «Il fatto di gestire due rifugi ci permette di ottimizzare le risorse, e lo stesso personale può essere impiegato secondo le esigenze». Al cronista che non riuscirebbe neppure a gestire un banchetto di gassose, Gherbesi fa osservare che «quando si è dentro a un’attività non è poi così difficile, perché si sa dove mettere le mani».
Iris Gherbesi – origini della Brianza canturina per quanto il cognome abbia radici valtellinesi - arriva al “Porta” dopo un’esperienza di 21 anni al Centro della montagna sempre in Val Masino, struttura di proprietà della Comunità montana Valtellina di Morbegno che, oltre a essere un rifugio-albergo, offre anche la possibilità di praticare una serie di attività mettendo a disposizione, tre le altre cose, una palestra tradizionale e una di roccia. Oltre a essere punto di riferimento per il “Melloblocco”, il raduno internazionale di bouldering che si svolge dal 2004 tra la Val di Mello e la Val Masino.
La scelta di occuparsi anche del rifugio ai Piani Resinelli è arrivata «perché il luogo è meraviglioso, la struttura è storica e ha contribuito a scrivere pagine memorabili di alpinismo».
Massimo Fiorelli, Iris Gherbesi e Simone Doria, altro cuoco
Sulla conduzione della struttura, per il momento si va con cautela: «Abbiamo aperto dalla fine di maggio e abbiamo bisogno di sperimentare, capire anche soltanto quale menù preparare, conoscere insomma l’utenza, come inserirci. Indubbiamente, questo posto si presta a tante iniziative. Potremmo anche pensare di intercettare quelle persone che non si sono mai approcciate alla montagna. Si parla, per esempio, di ospitare durante la settimana, quando il rifugio è meno frequentato da escursionisti e alpinisti o semplici turisti, corsi aziendali che si potrebbero così svolgere in un ambiente tranquillo e rilassante». Un orientamento che naturalmente ha anche scelte imprenditoriali, perché un rifugio alpino non vive di solo fascino ma ha bisogno anche di far quadrare i conti.
Una risorsa potrebbe essere lo stesso bosco di faggi e abeti che sovrasta il rifugio e che è chiamato Bosco Giulia, a memoria della moglie del Carlo Porta “nipote”: potrebbe infatti ospitare spettacoli teatrali o piccoli concerti.
D.C.