SCAFFALE LECCHESE/100: ''I fabbri di San Marco'' e l'emigrazione premanese a Venezia
Dei legami tra Premana e Venezia avevamo accennato a proposito del romanzo di Carlo Del Teglio "Il fabbro e la fortuna" (CLICCA QUI) che raccontava proprio le vicende di un premanese emigrato in Laguna. Fu una vera epopea che una decina d'anni fa ha finalmente avuto una ricostruzione dettagliata. La si deve a Enrico Ratti, veneziano di nascita ma dal cognome che tradisce altre radici che sono radici "nostre", di qui, e che sono appunto radici premanesi. Per trent'anni direttore del Museo di storia naturale di Venezia, nel 1998 Ratti si mise a scandagliare archivi per scrivere quella che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere una semplice memoria personale sulla propria famiglia, «i Ratti soprannominati "Taparei", originari di Premana ed emigrati a Venezia come fabbri e ramai». Memoria che alla fine è diventato un ponderoso volume pubblicato nel 2013 dalle Edizioni del Faro di Trento: "I fabbri di San Marco. L'emigrazione da Premana e Valvarrone (Alta Valsassina) nell'arco di cinque secoli".
Enrico Ratti
Fino ad allora, era una storia data per scontata, come si legge nella prefazione del compianto Antonio Bellati che del "mito" di Premana fu cantore assoluto: «Qualche studio ricordava questa storia, questo intreccio di destini, qualche tesi di laurea già aveva portato alla luce la consistenza di questi rapporti, che si inquadravano nel generale fenomeno dell'emigrazione dai villaggi alpini alle città, che caratterizzò la storia di tanti luoghi a partire dal Quattrocento, e ancora da prima, fino al Novecento inoltrato. Ma questi rapporti avevano ancora bisogno di essere studiati a fondo, di essere analizzati nei dettagli, di essere, per quanto possibile, fatti rivivere. (...) Mancava, mancava a Premana e forse anche a Venezia, questa storia minore, se volete, ma non inutile. (...) Storie di andate e ritorni, di nascite, di morti, di matrimoni, che coinvolgono in pratica tutte le famiglie del paese: sì, perché i "Promana" sono "Baar", pecoroni si dice, e quello che fa uno lo fan tutti, e in pratica tutti o quasi gli antenati delle famiglie premanesi hanno alle spalle storie veneziane consumate nelle calli, nei campielli, sui ponti della Serenissima, sì, su quei ponti le cui ringhiere ricordano ancora oggi, monumenti anche loro, l'opera egregia di decine di generazioni di fabbri che si succedettero nelle stesse botteghe per due, tre e anche più secoli» ed è «storia che coinvolge tante famiglie ormai veneziane a pieno titolo ma che vantano ascendenze discese da questi monti»: per esempio, nell'anno in cui usciva il libro, sindaco di Venezia era Giorgio Orsoni, «oriundo, anche lui, del piccolo Comune di Tremenico».
Solo a sfogliare il libro, vien da pensare che questa storia delle radici premanesi deve essere stata una sorta di demone per gli oltre dieci anni in cui Enrico Ratti è andato raccogliendo una mole incredibile di materiale. Basta scorrere l'impressionante "indice analitico dei nomi di persona e di famiglia nominati nel testo": ci sono più di 2500 nomi: da una famiglia Acerboni «probabilmente originaria di Sànico in Muggiasca dove è attestata fin dal 1350» e documentata a Premana nel 1830 e a Venezia nel 1850 fino a un Mauro Zucchini, calderaio a Venezia, che nel 1721 assumeva un garzone premanese. Passando naturalmente per paginate di Bellati, Fazzini, Gianola, Ratti e Tenderini. Inutile dire che ciascuno di questi nomi apre tutto un mondo che in alcuni casi si è riusciti a scoprire e in altri invece è rimasto inesplorato. E', del resto, questa storia del demone caratteristica di chi la ricerca storica la fa per passione, per diletto e non per mestiere. E che quindi non trascura alcun dettaglio, nella convinzione che probabilmente non ci sarà altro libro a cui affidarlo. Come il nostro Ratti che ha una laurea in biologia e più che uno storico è un entomologo e deve essere poi per questo motivo che il materiale raccolto sia stato ordinato come a comporre un repertorio che non a redigere una narrazione, proprio così come pensiamo sia solito fare chi classifica insetti.
Taddeo Tenderini nella bottega al ponte del Soccorso
Gli albori, naturalmente, sono quelli che accomunano molte zone montane. Dire quando il fenomeno diventi massiccio è arduo. Con buona pace di certa politica, il migrare è connaturato all'uomo. E quasi sempre la spinta sono le condizioni di povertà e quindi la ricerca di una vita migliore per sé e per i figli. Nel corso del tempo, il movimento migratorio si presenta a ondate, legato alle condizioni climatiche di un luogo o di un altro, a aventi naturali improvvisi, alle epidemie, alle guerre. Anche se, per quanto riguarda Premana, «un'emigrazione fosse presente anche nel periodo d'oro dell'industria mineraria e metallurgica: sia quella stagionale dei "marzari", venditori di minuterie metalliche, sia quella stabile dei fabbri», ma «non è comunque un'emigrazione di massa, quanto una scelta operata da parte di alcuni avventurosi piccoli imprenditori, commercianti o artigiani in proprio, che tentano di arricchirsi spesso con successo».
Bottega TEnderini al ponte del soccorso a Venezia
L'emigrazione premanese è già documentata ala metà del Quattrocento e come meta vede soprattutto la Toscana, principalmente Carrara. E' tra Cinque e Seicento, anche per tutta una serie di condizioni politiche, che Venezia diventa meta privilegiata da parte dei valsassinesi per via di un confine che correva sul crinale dei monti e di certe concessioni ed esenzioni da parte della Serenissima. E comunque «i premanesi documentati a Venezia nel Cinquecento si contano sulle dita delle mani. E' tra il 1615 e il 1630 che si ha ampia testimonianza della presenza non casuale di fabbri premanesi a Venezia, veri pionieri che precedono di poco la massa degli emigranti» e si chiamano Gianola, Pomoni, Bellati. Poi, il flusso si fece inarrestabile. All'inizio del Settecento i premanesi a Venezia sono valutati più di cento nel 1769 sono valutati 139. Per avere un'idea di cosa significhino questi numeri, va ricordato che quasi a fine secolo, nel 1796, a Premana si contano 863 abitanti. Significa che un 16% di premanesi abitava a Venezia.
Dove prese forma e si consolidò una vera e propria comunità premanese che divenne sempre più consistente e arrivò a fondare una propria confraternita come la Compagnia dei santi Rocco e Sebastiano poi intitolata oltre che a san Rocco anche a un sant'Ilario le cui reliquie vennero donate ai premanesi che le traslarono nel 1678 nella parrocchiale di Premana. Ne consegue uno scambio e un'influenza culturali che da Venezia arriva a Premana attraverso i migranti che ritornavano al paese di origine, definitivamente o anche solo per un breve soggiorno. Portandosi dietro il proprio bagaglio culturale che avrebbe influenzato le tradizioni e il dialetto.
Fabbri premanesi della famiglia Gianola a Carrara
«L'ultimo periodo di via della Serenissima rappresenta l'epoca d'oro dell'emigrazione premanese a Venezia» dopodiché le guerre napoleoniche e il crollo della Repubblica comportarono anche il declino della comunità, i cui tempi sono «scanditi ed evidenziati dalla chiusura delle botteghe. Le circa 115/139 botteghe a conduzione premanese esistenti nel 1768-1769 a Venezia, tra fine Ottocento e inizio del Novecento si sono ridotte a 20-25 circa».
Inizio Novecento fabbri premanesi a Venezia
L'emigrazione si è conclusa da un pezzo e in laguna rimangono gli "oriundi". Sono «almeno dodici le parentele premanesi che, tra la metà del Seicento e l'inizio del Novecento si sono stabilite definitivamente a Venezia e vi hanno avuto discendenza. Tra queste, solo sette sono ancora oggi vitali», ma «è molto difficile cogliere elementi di un'ideologia unitaria: troppo diverso, per esempio, è il tempo trascorso dal distacco dalla madrepatria tra le diverse famiglie o i diversi rami famigliari. (..) Le differenze più vistose si evidenziano tra oriundi di vecchia data, senza più beni a Premana, e quelli d'immigrazione più recente e/o ancora proprietari di casa o terreni a Premana». Per i primi «l'assimilazione all'ideologia veneziana è totale» mentre «tra i secondi «si coglie qualche tratto ideologico comune» registrando in qualche caso un «forte senso di appartenenza [alla propria comunità], alimentato dalla separazione [che] può giungere a una sorta di mitizzazione di Premana, considerata una specie di paradiso perduto».
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Dario Cercek