SCAFFALE LECCHESE/99: la raccolta di libri a cura di Dino Brivio dedicati al lago
Le chiese, le torri e i castelli, i paesaggi, il Lario e i monti. E poi le strade e i santuari, le ville, i laghi brianzoli e l'Adda e naturalmente i luoghi manzoniani. Raccontati attraverso le parole che nel corso del tempo erano state scritte dalle penne più svariate. Studiosi antichi e cronisti moderni, scrittori di fama e peso e tanti altri decisamente meno illustri. E documenti d'archivio e lettere e poesie. A comporre così una sorta di guida alla visita e alla conoscenza della nostra terra.
Dino Brivio
Erano inizialmente volumetti di modeste dimensioni, per quanto di una certa eleganza grafica, numeri unici di una collana denominata "Nella terra manzoniana" che nemmeno riportavano il nome dell'autore e che oggi sono pressoché introvabili, qualcuno forse andato anche perduto. Divennero poi "Itinerari lecchesi", si fecero più corposi e finalmente si diede a "cesare" quel che gli era dovuto, nel nostro caso il giusto riconoscimento a Dino Brivio, giornalista lecchese, morto poco più che sessantenne nel 1991, e che il Dizionario illustrato di Lecco definisce «allievo ed erede spirituale» di Edmondo Verga (per circa quarant'anni il direttore del settimanale cattolico "Il Resegone" dove Brivio iniziò la sua carriera giornalistica).I volumetti di cui ci occupiamo in queste righe erano strenne natalizie della Banca popolare di Lecco, distribuite nell'arco di una ventina d'anni, i Settanta e gli Ottanta dello scorso secolo. Pubblicazioni che, in quanto a contenuti, non sfiguravano certo di fronte ai volumoni di maggiore ambizione che gli istituti di credito erano soliti dare alle stampe per omaggiare concretamente i correntisti più coccolati e simbolicamente il territorio in cui operavano.
Il testo è una complessa trama di citazioni che l'autore ha raccolto e organizzato per raccontare la storia dei luoghi sui quali ci accompagna. Quasi una ricucitura di testi altrui come scrivemmo a proposito di "Pietre di fede" di un altro giornalista lecchese, Angelo Sala, per il quale Brivio fu riconosciuto modello di riferimento: «un maestro, un amico, anche se per pochi».
Da parte nostra, in questa occasione, ci soffermiamo sui volumi che Brivio ha dedicato al nostro lago. Un primo del 1984 - "Sul lago della 36" - ci conduce da Colico a Bellano. La "36" naturalmente è la Statale che all'epoca seguiva ancora il tracciato a lago, strada che «prima del 1832 non c'era (non esisteva nemmeno la ferrovia)» e «ripensando a quei tempi ci piace riprendere l'inizio d'un racconto di Cesare Cantù che ha per titolo "Isotta" scritto nel 1833 (...): "In quei cari anni fra i diciotto e i venti, più volte, tra per diletto e per necessità, io doveva scorrere il Lario da Lecco a Colico, Non essendo nemmeno tracciata la strada, che ora è compita per comodo e per meraviglia, né tampoco udendosi parlare di battelli a vapore, si doveva fare quel tragitto in una barca comune, che partendosi la sera giungeva al mattino alla meta. Varia sempre era la compagnia: i più, negozianti che dal mercato ritornavano; qualche villico, qualche donna; di rado con chi discorrere; onde la notte si passava tacendo, se non veniva di quando in quando rotto da una preghiera, che ai poveri annegati alzava il più vecchio navalestro, e a cui tutti rispondevano».
Il racconto poi continuava con la "visita" ai paesi dell'Alto Lario orientale: Colico, Dorio, Dervio e Bellano. Tra monumenti, ruderi, vecchie cascine, frazioni montane, con l'attenzione al passato per scoprire come tutta una comunità sia andata formandosi nel corso del tempo: «Da Colico, partendo dal Trivio di Fuentes e dal Pian di Spagna, scenderemo fino a Bellano, fin dove s'annuncia il "ramo" di Lecco: le immagini che si presentano sono soltanto un assaggio degli infiniti particolari che si possono scoprire. Voglio dire che quando il lago tornerà a essere della "Trentasei", ovvero la strada degli Austriaci potrà stare al servizio del lago e perciò al servizio dell'uomo, irresistibile sarà l'invito a cercare e gustare i tesori profusi senza limiti in questa nostra terra benedetta e meravigliosa».
Ed è la stessa formula con cui, nel successivo volume del 1985 ("Lungo quel Ramo"), Brivio "indaga" la costiera da Varenna ad Abbadia: «Continuare l'esplorazione (...) vuol dire (...) cominciare a sentire aria manzoniana» e manzoniane sono le parole utilizzate per descrivere il paesaggio. Anche se «non mi sono mai saputo spiegare, piccola curiosità, perché Manzoni presenti "quel ramo" come una parte del lago di Como. Uno che aveva avuto casa in Lecco fino a due anni e mezzo prima di incominciare a scrivere quelle parole e che doveva ricordare l'ancor fresca aggregazione di Lecco a Como imposta dall'Austria (...) avrebbe pur potuto usare per il lago l'antico nome proprio di Lario, buono per tutti». E ciò a proposito di identità lecchese.
A questa "passeggiata" sul lago, possiamo unire un volume precedente, pubblicato nel 1981 ("Fra lago e monte" e dedicato alla Valsassina «dove le genti ebbero a vivere secoli ben tristi, sopportando invasioni, devastazioni, pestilenze, sciagure naturali, onerose servitù feudali» e alle altre valli, quella d'Esino e quella del Varrone.
Ne risulta un grandioso registro perché di ciò si tratta, non osando Dino Brivio offrire chiavi di lettura proprie, ma limitandosi a mettere a disposizione un patrimonio di notizie e informazioni, accanto a una galleria fotografica che forse vuole essere la parte più importante: «Non ho la presunzione di offrire una "descrizione", o di proporre una "guida" dei luoghi toccati da questi "itinerari". Ho soltanto raccolto delle immagini e le ho qui messe in fila, legandole con qualche notizia d'accatto. L'immagini stesse, poi, son quelle che sono, senza pretese d'"arte": ho ripreso quel che ho visto dove sono potuto arrivare, nelle condizioni che ho trovate, ma un'infinità d'altre cose e d'altri scorci certamente assai più belli potevano essere visti forse a spostarsi appena un pochino più in là, o a operare con maggiore fantasia Bisogna pertanto contentarsi i quel che passa il convento».
E le notizie d'accatto sono brani degli autori più diversi i quali, loro sì, raccontano una realtà vista attraverso lenti particolari e personali. Un registro, dunque, un archivio dal quale attingere. Non un racconto della storia, ma il racconto della storia così com'è stata raccontata. Che può anche essere letto come una sorta di dizionario bibliografico lecchese.
Dario Cercek