Civate: in un libro Luigi Castagna e gli altri partigiani di Tito dimenticati

Una pagina di storia trascurata, «che non compare in nessun libro, nemmeno poche righe»: è quella della Divisione italiana partigiana Garibaldi che ha combattuto a fianco dell’esercito partigiano di Tito in Jugoslavia contro i nazifascisti. Se le vicende della Divisione Italia dalla composizione variegata e parte integrante delle forze partigiane titine sono più conosciute, quelle della “Garibaldi” sono state consegnate a un lungo oblio che neppure il monumento a essa dedicato a Pljevlja in Montenegro, inaugurato il 21 settembre 1983 dall’allora presidente della Repubblica italiana Sandro Pertini, è riuscito a dissolvere.

La copertina del libro

Eppure sarebbe una pagina di cui andare fieri, come sottolinea Lauretta Minoretti, insegnante e storica di Castelmarte nell’Erbese, che a quelle vicende ha ora dedicato un libro: “Partigiani militari in Jugoslavia. Una Resistenza dimenticata. Il contributo dei comaschi”, pubblicato, sotto l’egida dell’Istituto di storia contemporanea “Pier Amato Perretta” di Como, dalla bergamasca Silele Edizioni e presentato in una serata a Civate promossa dal Comune, dall’Anpi e dall’Arci Bellavista. Con l’intervento dell’autrice, del presidente provinciale dell’Anpi Enrico Avagnina e degli assessori Silvia Tantardini e Ilaria Roocco.  La presentazione è stata inframmezzata dalla lettura di alcune testimonianze di soldati italiani da parte di Alice Bettinelli.

Alice Bettinelli

Civate, peraltro, non era scelta casuale, perché civatese era Luigi Castagna, uno dei militari che di quella divisione faceva parte.
La storia è quella comune a molti reparti dell’Esercito italiano rimasti, all’indomani dell’8 settembre, privi di indicazioni, in balia degli eventi e spesso di fronte a un bivio: continuare la guerra dalla parte dei nazisti o dall’altra parte, appunto contro i nazisti.
Il caso ora più noto è quello della divisione Aqui di Cefalonia, rimasto pure a lungo sotto traccia, fino a quando un altro grande presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi non lo ha collocato di diritto tra gli episodi della lotta di liberazione e sollecitando un processo per individuare i responsabili dello sterminio di quasi diecimila soldati italiani da parte dei tedeschi. La divisione Aqui decise appunto di continuare la guerra, ma contro i tedeschi: duemila morirono in battaglia, gli altri furono uccisi dai nazisti dopo la resa.

Lauretta Minoretti

Anche alla divisione Venezia, 12 mila uomini di stanza in Montenegro, i tedeschi posero l’aut aut: il comandante Giovanni Battista Oxilia chiamò i suoi ufficiali chiedendo loro cosa intendessero fare e la decisione fu appunto quella di combattere a fianco dei titini contro i nazisti. Alla “Venezia” si unirono le truppe sopravvissute di altre due divisioni dell’esercito italiano, la Taurinense e l’Emilia: fu formata così la Divisione italiana partigiana Garibaldi, una divisione interamente di militari italiani: in tutto 17 mila uomini dei quali solo 3600 sarebbero tornati in Italia nel marzo 1945. E non fu un ritorno facile, perché il loro avere combattuto a fianco dei comunisti di Tito non era visto di buon occhio dai comandi alleati ancora alle prese con una guerra che in Italia sarebbe finita solo alla fine di aprile. E nonostante gli stessi comunisti di Tito fossero stati sempre diffidenti nei confronti di quella divisione tutta italiana, di un esercito dunque che in terra jugoslava si era reso responsabile di troppe atrocità.

L’oblio di cui si parlava e che avrebbe avvolto quella vicenda finita la guerra fu dovuto a come ormai il mondo andava dividendosi. Perché, come agli alleati, se ai governi democristiani non faceva gioco ricordare quei militari che affiancarono i comunisti, agli stessi comunisti italiani era scomodo valorizzare quell’esperienza dopo la rottura tra Tito e l’Unione Sovietica nel 1948. A complicare le eventuali ricerche storiche, inoltre, la decisione dell’ultimo comandante della divisione, Carlo Ravnich, di consegnare tutta la documentazione in suo possesso a Casa Savoia, alla quale si manteneva ancora fedele. La quale Casa Savoia non ha mai permesso che gli storici consultassero quelle carte.

La particolarità del libro di Minoretti è anche il risvolto locale. Perché il via a quella che si è poi dimostrata essere una ricerca complessa fu dato mentre si occupava di redigere una storia del Comune di Castelmarte e tra mille documenti si imbatté nella vicenda di Luigi Eroni, un “insospettabile” operaio del paese e che scoprì essere stato decorato della croce al valor militare da Tito. E approfondendo quella storia personale, Minoretti ha ricostruito la vicenda della Divisione italiana del Montenegro.

Luigi Castagna

Alla serata civatese era presente anche la figlia di Luigi Castagna, Virginia che ha ricordato come da quell’esperienza il papà si fosse portato addosso una serie di problemi saluti che l’avrebbero accompagnato per tutta la vita pur dicendo di essere stato fortunato: «Parlava della guerra, ma non raccontava tutto. Ricordava il freddo e la fame, i piedi gelati e feriti disinfettati con la pipì e avvolti in bende con brandelli dei vestiti che dunque si facevano ancora più leggeri. Raccontava di come lui avesse un mulo bianco e di come, durante i trasferimenti notturni, dovesse coprirlo con la propria mantella per evitare che fosse visibile dai nemici. E di quanto finalmente tornò a casa e la campane suonavano a festa per lui, la gente per strada lo toccava quasi incredula e la madre, a casa nella frazione Pozzo, che ormai lo credeva morto».

Virginia Castagna

Oltre al civatese Luigi Castagna, gli altri lecchesi sono Luigi Beretta di Monticello, Paolo Brivio di Osnago, Gaetano Crotti di Merate, Emilio Pirovano di Calco, Palmo Casiraghi di Paderno, Attilio Cazzaniga di Missaglia, Mario Ghezzi di Barzago, nonché i lecchesi di città Paolo Castelnuovo (San Giovanni), Luigi Corti (Germanedo), Mirto Fontana (via Bezzecca), Arturo Ghislanzoni (Maggianico), Giuseppe Riva (Belledo), Walter Baroli e Pierino Migliorati.
Oltre a Eroni, invece, i comaschi erano: Mario Abate di Fenegrò, Beniamino Aletti di Como, Giulio Andreoli di Sorico, Cornelio Barbarani di Zelbio e Veleso, Umberto Bernasconi di Montano Lucino, Giuseppe Caccivio e Raffaele Caglioni di Bizzarone, Carlo Citterio di Cassina Rizzardi, Primo Introzzi di Vertemate, Francesco Larghi di Beregazzo con Figliaro,  Luigi Mauri di Mariano Comense, Giovanni Molteni di Albese, Aquilino Nava di Proserpio, Oreste Noli di Villa Guardia, Pietro Peregalli dato per comasco ma forse varesino, Pietro Toia di Gravedona, Giacomo Villa di Solbiate Comasco, Mario Vischi di Carlazzo, Carlo Redaelli di Arosio, Vito Trombetta di Tavernerio, Giuseppe Villa di Uggiate Trevano, Bruano Zoani di Lurate Caccivio e gli erbesi Giuseppe Bramani e Renzo Civati.
Il 14 maggio, alla Ca’ del Diaul a Valgreghentino, è prevista una nuova serata di presentazione del libro.
D.C.
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