Civate: da Monaco di Baviera 'idee per immaginare il futuro' di San Pietro al Monte
I turisti e i pellegrini: un percorso di preghiera, di cura dell’anima e dello spirito, occasioni per ritemprarsi e fuggire le depressioni del nostro tempo. I turisti e i pellegrini, ma anche il ritorno di una piccola comunità monastica. Ecco il futuro del complesso religioso di San Pietro al Monte sopra Civate così come l’hanno ipotizzato alcuni studenti del corso di laurea triennale in architettura all’Università tecnica di Monaco di Baviera in Germania (Tum, per la precisione: Techinische Universität München)
Il saluto del sindaco
Coordinati dalla professoressa Roberta Fonti, studenti, di diverse nazionalità hanno realizzato una serie di progetti nell’ambito di un corso di progettazione e restauro architettonico organizzato in collaborazione con la scuola Beato Angelico di Milano che venne fondata nel 1921 dal lecchese monsignor Giuseppe Polvara e che ebbe tra i suoi primi impegni proprio il recupero e il rilancio di San Pietro al Monte.I lavori sono stati presentati in un incontro tenutosi stamattina, sabato 23 aprile, nella sala civica di Villa Canali a Civate che è stato anche l’occasione per fare il punto sull’iter della candidatura dell’antico monastero civatese a patrimonio dell’umanità Unesco.
La prof. Roberta Fonti e eMarta-Elena Constansò De Planell
Sotto David Wolf e Liyan Cai
Se c’è stato chi ha predisposto un’app perché San Pietro possa essere apprezzato anche da distanza, qualcuno ha studiato soluzioni perché San Pietro possa invece diventare accessibile a tutti, ipotizzando addirittura un’ovovia che accompagni il visitatore fino alla basilica nonché un ascensore per salire in cima a un rifatto campanile.
Il ripristino dell’ormai da tempo immemore scomparsa torre campanaria è stato infatti tra le scelte che maggiormente ha affascinato gli studenti, i quali hanno prospettato possibilità diverse: dalla ricostruzione vera e propria anche se magari in posizione discosta per non alterare il profilo attuale della chiesa a una sorta di “simulazione” con una struttura traslucida se non addirittura un semplice profilo metallico a significare semplicemente la memoria di ciò che fu.
E poi recupero delle coltivazioni, creazione di un percorso di meditazione, spazi per il ristoro, un piccolo museo, una biblioteca in San Benedetto e spazio per concerti nella navata di San Pietro, mantenendo in ogni caso le funzioni sacre del luogo con la possibilità addirittura di riportare nella vecchia foresteria alcuni monaci.
Se il lavoro degli studenti è una semplice esercitazione accademica, ciò non toglie che San Pietro – uno dei gioielli non solo architettonici della nostra provincia – abbia bisogno di «idee per immaginare il futuro», così come recitava il titolo dell’incontro, proprio in virtù delle candidatura a patrimonio dell’umanità: come si saprà, il complesso sulle falde del monte Pedale fa parte degli otto monasteri italiani, selezionati tra un centinaio di complessi, a rappresentare gli insediamenti benedettini dell’Alto Medio Evo in Italia e che assieme aspirano appunto a diventare luogo Unesco.
Sullo stato della candidatura ha fatto il punto il professor Marco Rossi, referente scientifico di San Pietro al Monte per il progetto.
L’iter à molto lungo – ha detto - per ora c’è l’appoggio di tutte le università e di tutti i sindaci, ora si aspettano i presidenti delle sei regioni interessate.
Ora si è alla fase del piano di gestione che può contare sulle indiscutibili qualità del luogo, dalla collocazione naturale agli aspetti artistici. Successivamente si dovrà pensare al “riutilizzo” e lo si dovrà fare promuovendo un concorso internazionale di idee «al quale – ha chiosato Rossi – potranno magari partecipare con i loro progetti i giovani che oggi sono qui come studenti e che nel frattempo saranno diventati architetti».
Ciò che avrà un ruolo importante sarà la presenza di una “committenza” consapevole così come lo fu quella che prefigurò la creazione di questi monasteri. «Perché l’architetto - ha sottolineato ancora Rossi – può avere le più belle idee del mondo, essere il più bravo, ma se non ha una committenza che dice ciò che si vuole, la più bella idea del mondo non avrà un collegamento con la comunità locale. Ed è proprio ciò che ci insegna il Medio Evo e di questo San Pietro è un esempio straordinario».
Don Umberto Bordoni
Certo, il momento è indubbiamente difficile, la riflessione. Prima la pandemia e ora la guerra in Ucraina: chi ha in mano le leve del potere ha tutt’altro in testa che non la cultura. Ma erano tempi difficili anche quelli in cui vivevano i benedettini che hanno edificato San Pietro al Monte e che se si fossero guardati intorno forse non avrebbero fatto quello che hanno fatto.A ciò che hanno realizzato i benedettini, va inoltre aggiunto – secondo don Bordoni – il sogno di monsignor Giuseppe Polvara che cento anni fa avviò il progetto di restauro del complesso di San Pietro al Monte ormai in condizioni precarie, nonostante nell’Ottocento fossero già stati effettuati lavori di restauro. «E a questo proposito – ha rilevato il direttore della “Beato Angelico” – la chiesa è un palinsesto straordinario sulla storia del restauro che potrebbe essere un laboratorio per gli studenti».
Il professor Marco Rossi
Dopo monsignor Polvara, ci furono gli anni Settanta di don Vincenzo Gatti e dell’intuizione di creare l’associazione degli “Amici” che fu una maniera di fare che il sogno di San Pietro fosse condiviso e diventasse così una esperienza comunitaria. «E oggi – ha concluso don Bordoni – sogniamo il futuro, per il quale la scuola Beato Angelico, per ciò che potrà, farà ancora la sua parte. Per continuare a sognare».
D.C.