Esino: esce 'Conversazioni libere su don Rocca', il parroco non perfetto tra patata bianca, Mussolini e la scuola di arazzi
Una figura enigmatica e complessa riscoprendo la quale è possibile rileggere e comprendere un periodo della storia di un paese di montagna: Esino in quanto tale ma anche Esino come una sorta di paradigma. La figura è don Giovanni Battista Rocca che appunto fu parroco di Esino dal 1927 al 1965. Figura che, dopo un periodo di memoria apparentemente venerata, è stata lentamente avvolta nell’oblio, come osserva Vittorio Ricciardelli, fondatore dei Quaderni di storia esinese, da tempo al lavoro su una biografia esaustiva del sacerdote. Un cui assaggio è costituito da un volumetto di un’ottantina di pagine che esce dalla tipografia proprio in questi giorni: dopo la distribuzione nella forma cartacea, sarà anche scaricabile in pdf (www.quadernistoriaesinese.it).
La copertina del volume e don Giovanni Battista Rocca
La biografia vera e propria dovrebbe poi uscire entro la fine dell’anno, dopo una gestazione non semplice: «Quando monsignor Bruno Bosatra, direttore dell’archivio storico diocesano di Milano, mi chiese di preparare una biografia “ben fatta” su don Rocca, non mi sentivo ancora pronto. Ho lasciato passare qualche anno, per approfondire ancora meglio lo studio, e penso che l’attesa sia stata proficua. Forse non sono nemmeno adesso un buon intenditore, ma ritengo di avere capito molte cose di don Rocca e del suo periodo storico. Mi devo allora accingere al grande. Ho provveduto a spogliarmi dei condizionamenti emotivi che spesso influenzano i biografi, mettendomi, il più possibile, dalla parte della storia».Spiega Ricciardelli: «Occorre contrastare l’oblio favorito dallo scorrere del tempo e, più ancora, le narrazioni superficiali e semplicistiche: don Rocca è una figura primaria nella storia della comunità esinese e una figura importante per la chiesa ambrosiana del Novecento che va conosciuta e studiata adeguatamente».
Le vicende personali di don Rocca rispecchiano una storia più ampia; «Le difficoltà di quel prete sono state le difficoltà di altri preti della diocesi.
Nato nel 1891 a Rovagnate, don Rocca venne inviato parroco a Esino nel 1927 dove rimarrà fino alla morte avvenuta l’8 marzo 1965.
Non era un pretino qualsiasi: all’indomani della prima guerra mondiale, «grazie alle capacità di cui disponeva, fu coinvolto attivamente nei movimenti sindacali di ispirazione cattolica, venendo in contatto con i personaggi politici più importanti dell’epoca. Giovane prete, non ancora trentenne, ma forte della sua vasta formazione umanistica e scientifica, ebbe il coraggio, sia come cittadino di quel tempo, sia come sacerdote, di scrivere un “libro bianco” che indicasse al Governo e al Parlamento la strada per dar seguito a una riforma agraria. La proposta di don Rocca fu portata alla discussione in Parlamento grazie al deputato Achille Grandi, che nel 1919, insieme a don Sturzo, fu tra i fondatori del Partito Popolare e poi primo presidente delle Acli. Sugli studi del “giovane prete don Battista Rocca”, si consolidò una cultura sociale cattolica che trovò applicazione nelle politiche cristiano-sociali del dopoguerra.
Vien dunque da chiedersi come mai un personaggio di tale spessore venisse inviato a guidare le anime di un paese sperduto sulle montagne lecchesi.
«La realtà – dice Ricciardelli – è che Esino era una parrocchia importante per la diocesi di Milano perché in quel momento si apriva al turismo, ma era anche una parrocchia difficile. Ricordiamo che don Fondra, parroco dal 1885 al 1915, fu costretto a scappare così come don Maroni nel 1926 dopo due anni dall’arrivo. La causa erano i disaccordi con la famiglia di Giuseppe Pensa, sindaco di Esino Inferiore e nel 1927, quando vi fu la fusione con Esino Superiore, nominato commissario prefettizio e successivamente podestà per l’intero ventennio fascista. C’era ancora uno spirito anticlericale, anche se certi dissidi risalivano ancora a prima del Risorgimento».
Così, dopo la fuga di don Abramo Maroni e dopo che nel gennaio 1927 don Gerardo Rusca rifiutò l’incarico, l’arcivescovo milanese Eugenio Tosi inviò a Esino don Rocca «ma non si doveva capire il compito che gli era stato affidato…».
Indubbiamente, il suo apostolato andò decisamente oltre l’aspetto religioso. Promosse una serie di iniziative con l’occhio rivolto ai problemi sociali: alcune gli sopravvissero, altre naufragarono magari perché osteggiate da avversari evidenti o nascosti. Del resto – osserva Ricciardelli - «il nostro parroco non fu sempre perfetto nel suo operato. Il suo carattere battagliero lo indusse in qualche errore tattico che pregiudicò il buon esito di alcune importanti iniziative».
Tra i suoi successi, l’introduzione della coltivazione della patata bianca di Esino ancora oggi rinomata. Inoltre «distribuì le prime piante da frutto, insegnò i nuovi metodi di concimazione, introdusse nuove sementi che faceva venire dai più grandi produttori stranieri», da propri hobby – la botanica e la mineralogia - nacque il Museo delle Grigne che è ormai un’istituzione. Taluno lo definì il più grande benefattore di Esino perché «giunto in paese benestante, spese tutti i suoi averi e quelli della sua famiglia per la comunità».
Tra gli insuccessi, il progetto di un villaggio alpino, quaranta villette che «non erano una speculazione edilizia, ma un progetto per unire il paese alla parrocchia in un’epoca di turismo nascente» nell’ambito di una più complessiva “pastorale del villeggiante”: il podestà si oppose e lo obbligò a demolire la prima e unica villetta costruita.
Don Rocca fu poi attivo nella Resistenza, ma nel contempo vigilando anche che nulla accadesse ai familiari di Mussolini (figli di Vittorio, Adria e Guido, insieme alla loro madre Orsola Buvoli) che nell’estate 1944 salirono a Esino per curare una pertosse e furono nascosti a Villa Rogo. E fu proprio questa circostanza che lo salvò dal plotone di esecuzione quando nel novembre di quello stesso anno venne catturato dai nazifascisti per le sue attività di coordinamento della lotta partigiana.
L’arrivo della democrazia non mise fine ai dissidi tra don Rocca e il potere civile. Perché fu nel 1962 che si chiuse la scuola di arazzeria avviata negli anni Trenta: «Tutto avvenne a seguito di una denuncia, che aveva indicato l’arazzeria come un opificio per la produzione di tessuti artistici, e quindi avente scopi commerciali, e non anche come una scuola di formazione professionale, identificando così nell’operato del parroco, che in quella occasione non si difese bene, la fattispecie dell’evasione dei contributi previdenziali».
E quando morì, l’8 marzo 1965, era depresso: «Lo ha lasciato scritto egli stesso – osserva il suo biografo – “tutte le mie opere sono state un fallimento”. Lui si ritiene uno sconfitto».
Nel 1975 che il Comune decise di intitolargli la piazza del municipio. Ma quasi trent’anni dopo, nel 2003, la piazza cambiò nome e venne dedicata all’ex sindaco (e presidente della comunità montana, storico e scrittore) Pietro Pensa, mentre a don Rocca venne riservata la via che conduce alla chiesa parrocchiale. Una scelta che ha una sua ragione, se vogliamo, ma secondo Ricciardelli «togliere l’intitolazione della piazza fu un errore: la storia non si nasconde e non si depenna; si studia, si interpreta, si approfondisce, si confuta, si corregge, si integra. Oscurare la storia rende più povera una comunità, anche quella di Esino, perché la storia è parte del suo patrimonio immateriale».
Dario Cercek