SCAFFALE LECCHESE/67: un libro con 160 scatti per raccontare quasi un secolo di 'lavoro'
A una a una, le grandi fabbriche chiudevano. Fu una rivoluzione, certo che sì. Nel giro di poco ci ritrovammo in una città diversa. Anni Ottanta del Novecento: giorno dopo giorno, andavamo perdendo un’identità secolare ed era tutto un interrogarsi su ciò che saremmo diventati.
A metà di quel decennio, nel pieno della tempesta, la Cgil promosse la pubblicazione di un volume fotografico che voleva essere la presentazione dell’Archivio storico del movimento operaio lecchese, ma che in realtà sembrava voler suggellare proprio la svolta in corso, raccontare cos’era stata la città industriale, la città della metallurgia pesante e della meccanica raffinata, nel momento in cui la Storia voltava pagina.
Il libro, “Archivio fotografico del lavoro. Lecco e il suo territorio 1900-1985” venne curato dagli storici Aroldo Benini e Angelo Borghi, dal sindacalista Vanni Galli e dal fotografo Carlo Pozzoni; fu pubblicato nel 1986 dalla Franco Angeli. Raccolti poco più di ottant’anni di immagini, l’intero Novecento che si era vissuto fino ad al 1985, con al centro l’operaio, il suo lavoro e le sue lotte.
In 160 fotografie è racchiusa la storia industriale lecchese del Novecento vista dal punto di vista del sindacato: «C’è in queste immagini – si legge nell’introduzione – gran parte della storia della nostra terra che è storia di “genti meccaniche”, come scriveva il Manzoni; e perciò, appunto, gran parte della storia della nostra gente, che è stata dedita al lavorio da sempre, con un attaccamento e una volontà che hanno trasformato le rive d’un lago e d’un fiume, e le pendici delle montagne, in una straordinaria fonte di ricchezza».
Tutto questo è condensato nelle brevi didascalie che accompagnano le foto: una parabola che parte dall’età giolittiana «considerata, pur con le sue ombre, come il periodo storico nel quale non soltanto l’industria si sviluppa in Italia, ma la classe operaia si organizza e si matura, sotto la guida del Partito Socialista» e «anche Lecco partecipa di questo moto, tra le industrie maggiori si apre una gara, gli operai intervengono nel senso che avvertono l’orgoglio di essere capaci, padroni per quanto possibile del proprio destino, adatti a diventare – sol che la fortuna li avesse fatti più ricchi – imprenditori anch’essi».
Gli anni di inizio secolo sono quelli in cui i lavoratori cominciano a sentirsi meno soli. Si organizzano. I cattolici, i socialisti. A cavallo tra Ottocento e Novecento sorgono le associazioni di mutuo soccorso, verranno poi le cooperative e infine i sindacati.
A metà di quel decennio, nel pieno della tempesta, la Cgil promosse la pubblicazione di un volume fotografico che voleva essere la presentazione dell’Archivio storico del movimento operaio lecchese, ma che in realtà sembrava voler suggellare proprio la svolta in corso, raccontare cos’era stata la città industriale, la città della metallurgia pesante e della meccanica raffinata, nel momento in cui la Storia voltava pagina.
Il libro, “Archivio fotografico del lavoro. Lecco e il suo territorio 1900-1985” venne curato dagli storici Aroldo Benini e Angelo Borghi, dal sindacalista Vanni Galli e dal fotografo Carlo Pozzoni; fu pubblicato nel 1986 dalla Franco Angeli. Raccolti poco più di ottant’anni di immagini, l’intero Novecento che si era vissuto fino ad al 1985, con al centro l’operaio, il suo lavoro e le sue lotte.
In 160 fotografie è racchiusa la storia industriale lecchese del Novecento vista dal punto di vista del sindacato: «C’è in queste immagini – si legge nell’introduzione – gran parte della storia della nostra terra che è storia di “genti meccaniche”, come scriveva il Manzoni; e perciò, appunto, gran parte della storia della nostra gente, che è stata dedita al lavorio da sempre, con un attaccamento e una volontà che hanno trasformato le rive d’un lago e d’un fiume, e le pendici delle montagne, in una straordinaria fonte di ricchezza».
Che poi, questa faccenda del lavoro, sembra ormai essere un luogo comune. Chissà che ne dicono i ventenni d’oggi, cresciuti in un paesaggio completamente cambiato e il cui senso di appartenenza a una terra e a una classe si è andato facendo più lasco.
Però, il culto e l’orgoglio del lavoro in fabbrica ci sono stati davvero. Assieme, però, ci sono stati anche lo sfruttamento, le sofferenze, le umiliazioni e poi la lotta sindacale, un lungo processo di emancipazione. Anche dalle nostre parti ce ne sono voluti di tempo e di battaglie affinché ai lavoratori fosse finalmente riconosciuta una dignità.
Officina Badoni 1903
Il racconto comincia dalla costituzione della Camera del lavoro nel 1901 «promossa da varie società operaie, mentre a Lecco e Olate si forma una lega cattolica del lavoro».
Cava al Moregallo alla fine dell'Ottocento
All’epoca, il paesaggio mostra, accanto a scorci ancora antichi, tanti angoli di modernità: il mercato, il porto, i cantieri, i comballi, la lavorazione della barite con le cave a Cortabbio in Valsassina e lo stabilimento a Calolziocorte, la cave del Moregallo, le fornaci e i telai, le piccole officine o le botteghe artigiane e i grandi opifici, le officine e i macchinari , le ciminiere, l’infilata di finestroni.
Ferrovieri in sciopero 1905
E naturalmente le ferrovie: «La questione predominante dei trasporti era dibattuta in numerosi progetti, tuttavia i convogli di carri erano ancora i mezzi più usati» e li vediamo in una foto scattata nel 1907 allo scalo merci che chiamiamo “Piccola”, inaugurato proprio quell’anno e oggi diventato parcheggio e area di mercato, di feste, di altre iniziative di ritrovo. Vi operava una cooperativa di facchini che ha resisto per quasi mezzo secolo. E’ quasi un’epica quella delle ferrovie. E quella dei ferrovieri. Che nel 1905 scioperano contro il passaggio allo Stato delle imprese private (allora, andava così) e, nel 1920, nella temperie del cosiddetto biennio rosso, dieci di loro saranno arrestati proprio per «propaganda illecita allo sciopero».Gli anni di inizio secolo sono quelli in cui i lavoratori cominciano a sentirsi meno soli. Si organizzano. I cattolici, i socialisti. A cavallo tra Ottocento e Novecento sorgono le associazioni di mutuo soccorso, verranno poi le cooperative e infine i sindacati.
Tra le immagini dei primi scorci del secolo, l’inaugurazione delle case popolari a Pescarenico il 7 maggio 1911 («L’annoso problema della casa venne assunto dalla giunta progressista Ongania e realizzato da una cooperativa socialista»).
Bambini a Bellano 1914-1915 circa, lavoravano in tessitura
La prima guerra mondiale sconvolge anche il mondo del lavoro: gli uomini sono al fronte e in fabbrica vanno le donne, mentre per i bambini, per i quali nel 1911 si erano riuscite a ottenere limitazioni dell’orario di lavoro, si torna all’antico: è fotografato proprio alla vigilia della Grande guerra un gruppo di fanciulli, maschietti molto sorridenti e femminucce più composte: sono di Bellano dove «la Cantoni e la Gavazzi erano le maggiori fabbriche tessili del paese e dove alta era la presenza minorile».Soprattutto, però, la guerra è uno spartiacque tra il mondo vecchio e quello nuovo. Nasce in quegli anni la cosiddetta società di massa. Che si esprime nelle piazze, nelle grandi manifestazioni e nei sogni di rivoluzione. Tra 1919 e 1920 si vive quello che viene appunto definito il “biennio rosso”: sembra davvero di essere alla vigilia della rivoluzione socialista. Le agitazioni operaie si moltiplicano, si arriva all’occupazione delle fabbriche. Anche a Lecco: «Sulla ciminiera dello stabilimento Gerosa, in viale Dante (dove c’è adesso il cinema Marconi) sventola la bandiera rossa. La Badoni, la Metalgraf, le maggiori fabbriche metallurgiche di Lecco e della Lombardia sono occupate dagli operai. E’ in questo momento che liberali e radicali superano ogni contrarietà passata e si rendono conto che la possibilità di realizzazione dell’alleanza tra cattolici e socialisti distruggerebbe il sapiente regime costruito da Giolitti, che ha mantenuto saldamente il potere dall’inizio del secolo nell’interesse dei dominanti. Eccoli alleati, improvvisamente, nelle elezioni amministrative dell’autunno 1920, conquistano il Comune. Ma poiché questo non basta eccoli favorire nella primavera successiva il movimento fascista. A fare le spese delle percosse, delle bastonature, dell’olio di ricino saranno gli operai socialisti e comunisti, insieme ad alcuni esponenti del mondo cattolico e ad alcune avanguardie del piccolo mondo repubblicano locale. Per tutti gli altri, con maggiore o minore entusiasmo, la livrea fascista. Credere, obbedire, combattere. Contro la dittatura però, e specialmente nelle fabbriche, ferve una lotta sotterranea, in alcuni stabilimenti l’opposizione cova in modo abbastanza scoperto».
Officina a Caleotto nel 1936
Ma, per vedere il fascismo crollare, si deve attendere la seconda guerra mondiale quando tra l’altro anche il nostro territorio finisce nel mirino dei bombardieri Alleati: bombe sul deposito di petroli di Valmadrera che brucia per due giorni, sulle fabbriche Aldé e Fiocchi a Lecco. Non ci sono solo le bombe, però. Le fabbriche vanno anche salvate dalla spoliazione da parte dai nazisti che vorrebbero smantellare e trasferire in Germania i macchinari. A difenderle ci sono anche gli operai, gli stessi che nel marzo del 1944 scioperano per condizioni di vita migliori: in una ventina finiscono deportati nei lager.
La Fiocchi di Belledo bombardata nel marzo 1945
All’indomani della Liberazione, mentre prende corpo quella divisione tra socialcomunisti e cattolici che si riverbererà anche nelle fabbriche, i poteri del nuovo Stato democratico continuano a non essere teneri con il movimento dei lavoratori.Nel libro c’è la foto di una piazza gremita e ci sono ritagli di giornale. Leggiamo: «Il 29 novembre 1947 l’industriale Luigi Codega si recava alla Camera del lavoro per discutere dei licenziamenti e feriva l’onorevole Gaetano Invernizzi; era sabato e la notizia si diffuse, la folla penetra nel commissariato e obbliga il Codega a chiedere perdono dal balcone». Per quella vicenda, nel 1949 quindici «sindacalisti e partigiani» saranno arrestati e rimarranno in carcere per 21 mesi.
1° maggio 1950 in piazza Garibaldi
Nel 1953 c’è l’occupazione della Riccardo Faini «contro la minacciata chiusura e il licenziamento di 600 persone, mentre la ditta potenzia le sue fabbriche all’estero» e nel novembre 1957 si inaugura la nuova sede della Camera del lavoro in via Sirtori e arriva in città il segretario nazionale della Cgil Giuseppe Di Vittorio «che partecipa a un attivo sindacale con il suo ultimo discorso: stroncato dalla fatica muore tra i lavoratori lecchesi»: nella galleria del vecchio albergo Croce di Malta c’è ancora una lapide a ricordare il decesso del grande sindacalista pugliese.
Picchetto alla Moto Guzzi 1962
Insulti a un crumiro 1962
Di lì a qualche anno, inizia l’epoca del cosiddetto boom economico ma la storia ci racconta ancora di scioperi, picchetti, crumiri, cortei. E poi dell’autunno caldo: presidi, altre occupazioni di fabbriche in crisi. Tra gli episodi significativi, l’arresto - il 22 giugno 1970 – del sindacalista Giulio Foi, accusato di interruzione di pubblico servizio per un’azione di picchettaggio in piazza Cermenati durante uno sciopero dei lavoratori delle autolinee.
Scarcerazione di Foi nel 1970
Un’imponente manifestazione in piazza Garibaldi ne chiede la liberazione e il fotografo immortala i lavoratori che lo portano in trionfo all’uscita del carcere di Pescaerenico.
Sono già di quegli anni, tra l’altro, le poteste dei pendolari contro i disservizi nei collegamenti ferroviari con Milano ed è di quegli anni l’imporsi sulla scena politica della contestazione giovanile, ma sono anche gli anni della crisi petrolifera, del terrorismo (23 aprile 1974, attentato dei neofascisti alla sede del Psi).
Corteo operaio in via Cavour 1976
Le ultime foto sono un’affollata assemblea alla Sae nel 1985, l’arrivo delle nuove tecnologie, la nuova sede sindacale unitaria (Cgil e Cisl) in via Besonda.Uno sguardo al futuro, dunque. Nell’anno di uscita del libro, tutto da immaginare e, per come si è sviluppato, assolutamente inimmaginabile. E che moltodi un’epoca passata ha cancellato. Di quella storia quasi secolare sembra ormai rimanere ben poco.
Dario Cercek