SCAFFALE LECCHESE/45: i libri dedicati alla matematica Maria Gaetana Agnesi, che visse sul ''colle''
Maria Gaetana Agnesi
In realtà è una storia - ma che storia! - pressoché tutta milanese, quella di Maria Gaetana Agnesi che fu enfant prodige arrivando a inusitate vette dello studio filosofico e matematico per poi gettare tutto alle ortiche e dedicarsi all'assistenza dei poveri - anzi, delle povere - e in ciò consumando il proprio patrimonio.La villa di Montevecchia dove visse la matematica
Che è illustrazione principe relativa all'iconografia della nostra studiosa e che tra l'altro è stata pure riprodotta sulla pavimentazione della piazza del municipio di Varedo (a proposito di vanti locali).
Nel frattempo, a intrattenere gli ospiti nel salotto della casa paterna di via Pantano, a Maria Gaetana si era unita la sorella Maria Teresa, musicista promettente. Per le due sorelle - bambine e poi adolescenti e infine donne - quelle esibizioni dovettero però essere un vero supplizio.
Ne erano prova gli stati di malessere fisico nella quale spesso la stessa Gaetana soggiaceva. La prima volta era accaduta proprio durante un soggiorno a Montevecchia dove «le due sorelle Agnesi - si legge in Tilche - si trasferivano, con insegnanti e precettori (...) per trascorrere lunghi periodi di studio nella tranquillità campestre al riparo dalla chiassosa schiera dei fratellini. Ad accompagnarle era spesso il nonno Giacomo Alfonso Brivio che stravedeva per le due nipotine».
Un'altra volta nel 1739, quando aveva chiesto di monacarsi, ricevendo un rifiuto da parte del padre, al quale riuscì però a imporre nuove abitudini domestiche.
Racconta Mazzotti: «In primo luogo, Graziana chiese di potersi vestire in modo discreto, prendendo le distanze dallo stile vistoso del padre. Voleva poi far visita alla basilica di San Nazaro (dove era stata battezzata), e altre parrocchie in città, a suo piacimento. Infine espresse la volontà di non frequentare balli, spettacoli teatrali e altri divertimenti mondani. Gaetana, che aveva quindi deciso di ritrarsi dai luoghi e dai rituali della visibilità sociale, vedeva nella sua scelta il primo passo verso un coinvolgimento più significativo e reale con il mondo. Forte della convinzione che Dio l'avesse destinata a stare al mondo per assistere e dare sollievo "alla languente umanità" chiese il permesso di operare come volontaria all'Ospedale Maggiore, per occuparsi delle donne povere e malate».
Nel 1748, all'indomani della pubblicazione delle "Instituzioni analitiche" rifiutò la cattedra che papa Benedetto XIV le offrì all'Università di Bologna (non prima di un gran dibattito - sul quale Tilche si sofferma per qualche pagina - all'interno dell'ateneo sull'opportunità di accogliere una donna nel corpo docente).
Poi, nel 1752 morì Pietro Agnesi e, se la sorella Maria Teresa ne approfittò per convolare subito a nozze forse prima impedite, Gaetana «abbandonò in via definitiva la conversazione per dedicarsi completamente alle opere caritatevoli. Avvertiva altresì che il suo impegno nelle matematiche si era concluso con la pubblicazione delle "Insituzioni analitiche" e che era tempo di passare oltre. L'attenzione di Gaetana si concentrò sulla popolazione urbana femminile delle classi più povere, e il suo scopo principale divenne fornire assistenza e istruzioni a orfane, prostitute, anziane, malate e inferme».
E' il libro di Giovanna Tilche a raccontarci quella che ormai era diventata la missione di Agnesi. Mazzotti, che è docente di storia della scienza a Berkeley in California, si sofferma più sul lato matematico. Inoltre, gli amanti delle avventure estreme, possono affrontare lo studio di Franco Minonzio inizialmente pubblicato sul Periodico della società storica comense e nel 2006 edito da "Lampi di stampa". "Chiarezza e metodo. L'indagine scientifica di Maria Gaetana Agnesi" il titolo del volume che si concentra sull'evoluzione del pensiero matematico in Italia e sul posto in esso occupato appunto dalle "Insituzioni".
Degli anni dedicati alle malate - vale a dire dal 1752 alla morte avvenuta nel 1799: e sono quaranta, molti di più di quelli dedicati alla filosofia e alla matematica - ci racconta più diffusamente Giovanna Tilche offrendoci anche un quadro sull'assistenza ai poveri di quei tempi, sulle confraternite religiose osteggiate perché «accusate, nell'Europa illuminista, di praticare una carità alla cieca e di aumentare a dismisura il numero dei mendicanti e dei vagabdoni, offrendo loro ospizi troppo confortevoli e lavori troppo leggeri».
Inizialmente, Gaetana accolse le prime inferme nella stessa casa di accolte nella stessa casa di via Pantano trasferendosi successivamente, per non dare disturbo alla famiglia, in uno stabile di Porta Vigentina e poi in Porta Romana: «Il denaro iniziava a scarseggiare e presto il suo procacciamento divenne un'assillante ossessione. Sebbene l'erede primogenita delle famiglie Agnesi-Mariani e Brivio fosse da tutti considerata una facoltosa signora, con l'assistenza ai poveri e le donazioni ai bisognosi i suoi averi si erano inesorabilmente consumati come la cera di una candela».
A poche centinaia di metri dal Duomo - allora ancora un cantiere aperto - nel 1771 venne aperto il Pio Albergo Trivulzio dove Gaetana prestò la sua opera: ebbe anche incarichi dirigenziali che rifuggiva per poter assistere personalmente gli ospiti ricoverati.
Al Trivulzio, Gaetana restò fino alla morte nel 1799, spegnendosi a poco a poco: il fisico si debilitava, la vista veniva a mancare, le forze se ne volavano via.
«Quando ormai non restava quasi più nulla da fare - scrive ancora Giovanna Tilche - (il fratello) Giuseppe prese a essere oltremisura preoccupato per le condizioni di salute della sua amatissima sorella maggiore. (....) Con l'andare del tempo, piano piano, uno dopo l'altro, se ne erano andati quasi tutti i componenti della loro bella e numerosa famiglia: il babbo li aveva così improvvisamente lasciati ormai da tanti anni, dei fratelli maschi era rimasto lui solo, e al mondo, di sorelle, perché anche Teresa era stata portata al cimitero qualche anno prima, gliene erano rimaste solo due, la giovane Paolina e lei, Maria Gaetana, la più cara, la tanto amata. A vederla così, malata, ricurva, affaticata, Giuseppe aveva il cuore gonfio e si lasciava prendere talvolta dallo sconforto, non sapendo decidersi se desiderare di prolungarle la fatica o renderle più lieve la pena». Per la stessa Gaetana si era venuto formando «attorno a lei quel desolante cimitero che diventa la vita per chi è destinato a sopravvivere agli affetti più cari. Vide scomparire uno dopo l'altro i suoi più affezionati maestri...».
E allora, il fratello Giuseppe «amorevolmente la costrinse a recarsi nelle ville di Montevecchia, di Masciago e della Valera, facendo di tutto perché il soggiorno in campagna fosse oil più prolungato possibile, affinché il cambiamento d'aria le potesse giovare».
E fu l'ultima volta che Gaetana vide quegli angoli di Brianza: il 9 gennaio 1799, morì: «Com'era consuetudine in quegli anni turbolenti e napoleonici, Maria Gaetana Agnesi fu tumulata nel camposanto fuori Porta Romana in una fossa comune con quindici povere vecchie, con quelle povere donne cui era stata così a lungo compagna». Su quella fossa, una succinta iscrizione: «Maria Caietana Agnesi pietate, doctrina, beneficentia insignis. Una piccola pietra che basta a ricordare una gran donna».
Nel cuore di Milano, a poche centinaia di metri dal Duomo finalmente completato, il palazzo che tra il 1771 e il 1910 ospitò il Pio Albergo Trivulzio ormai non c'è più, distrutto dai bombardamenti su Milano tra il 13 e il 15 agosto 1943, gli stessi che rasero al suolo il palazzo della famiglia Agnesi in via Pantano.
Il Pio Albergo si trovava in quella che oggi si chiama via della Signora (toponimo dall'origine oscura e oggetto di mille interpretazioni e invenzioni): al suo posto l'Azienda energetica municipale. Incastonata nel muro, una lapide ricorda come «Maria Gaetana Agnesi, nelle scienze matematiche sapiente gloria d'Italia e del secolo suo, nella scienza del bene sapientissima, in questo albergo dei vecchi poveri, umile ancella di carità, morì nell'anno 1799»: l'iscrizione, dettata da Emilio De Marchi, nel 1899 fu appunto murata sull'ancora esistente ospizio e nel 1948 ricollocata sulla parete del nuovo palazzo sorto sulle macerie dell'albergo per poveri.
La villa di Montevecchia oggi è ancora abitata dai discendenti di quegli Albertoni ai quali passò in proprietà dopo gli Agnesi e che a volte aprono le porte per visite guidate. La villa Agnesi-Mariani di Bovisio passò pure di proprietà, ma ora è un condominio: pur mantenendo le linee architettoniche originarie, è stata frazionata in numerosi appartamenti. La villa alla Valera di Vedano, invece, è ormai solo un rudere avvolto dalla vegetazione cresciuta selvaggia. Anche la lapide commemorativa - e che celebra l'impegno assistenziale di Gaetana e della sorella Paolina - porta i segni del tempo.