SCAFFALE LECCHESE/17: un 'povero soldato' ci riporta al Quarantotto con le Memorie di Arrighi
Mentre le sale di Palazzo delle paure ospitano la mostra sulla Scapigliatura, val la pena riprendere in mano un libro “lecchese” di Cletto Arrighi, l’anagramma con cui lo scrittore meneghino Carlo Righetti firmava le proprie opere. Una delle quali è proprio il romanzo “La scapigliatura e il 6 febbraio” che finì col dare il nome al movimento culturale che animò l’Ottocento lombardo: cuore pulsante a Milano e inevitabili ricadute all’intorno. Ben noti, dalle nostre parti, i ritrovi e le villeggiature in quel di Maggianico.
La copertina di “La scapigliatura e il 6 febbraio” e l'autore Cletto Arrighi
Non è, però, del “6 febbraio” che parliamo, bensì delle “Memorie di un soldato lombardo” pubblicato nel 1863 «e che probabilmente al suo tempo non è stato abbastanza apprezzato», come osserva lo studioso valsassinese Enrico Baroncelli.Le “memorie” sono quelle di Amatore Mastalli, nato nel 1824 a Cortenova in Valsassina e a 20 anni arruolato nell’esercito austriaco nel quale presterà un rocambolesco servizio militare per la durata di cinque anni, proprio nel pieno delle turbolenze culminate nel famoso Quarantotto.
Amatore è personaggio realmente esistito e davvero di suo pugno sono le memorie, anche se lo stile è quello dell’Arrighi, uno stile scanzonato che volge in commedia anche i momenti più tragici e drammatici delle avventure del “mio eroe”, come lo definisce.
La copertina di "Memorie di un soldato lombardo", nell'edizione del 1863 e in quella del 2009
Vale la pena leggere l’opera nell’edizione voluta dal Comune di Cortenova una decina di anni fa e che può contare sull’esauriente introduzione proprio di Baroncelli. Il quale ricostruisce da un lato la genesi del libro e dall’altro la figura di Amatore, nono di quattordici figli e finito a indossare la divisa per via di una sorta di lotteria; coinvolto in qualche modo, almeno dal punto di vista delle letture, nei moti risorgimentali e successivamente segnalato come uno «strano tipo di sindacalista locale» che stampava un proprio giornale da diffondere fra gli operai e precorreva il mutuo soccorso. Non ci è comunque concesso conoscerne il volto.Baroncelli ci informa che «“il soldato lombardo” fu originato da un incontro tra lo scrittore “scapigliato”, il reduce di mille battaglie Amatore Mastalli e probabilmente anche con l’intervento di Felice De Vecchi, citato in uno degli ultimi capitoli come “un bravo signore milanese villeggiante al di là del Pioverna”: il quale passava di sottecchi al nostro protagonista “libri di contrabbando che parlavano di politica”».
Villa De Vecchi
Il conte De Vecchi fu il committente di quella splendida villa rossa nella piana alle porte di Bindo e ormai ridotta a una rovina in procinto di crollare su se stessa, edificio che spopola su internet come tra quelli maggiormente infestati da fantasmi. Per via forse anche di una specie di maledizione, considerato che il proprietario non la vide terminata, morendo un anno prima della fine dei lavori. E’ un peccato il declino della dimora, ma è anche un peccato che non sia diventata un catalogo la pregevolissima mostra allestita sei anni fa dall’associazione degli “Amici della torre” di Primaluna incentrata sulle vicende della famiglia De Vecchi e dell’ecclettica magione «al di là del Pioverna».
La villa oggi
E veniamo alle “Memorie” arrivate da Mastalli ad Arrighi probabilmente tramite De Vecchi. Memorie che hanno il dono dell’autenticità – dice lo stesso Arrighi nella prefazione - «perché la vita d’un povero soldato lombardo, soprattutto nell’esoso periodo in cui divette servire la nostra esecrata nemica d’oltre Mincio, non la può scrivere che un vero soldato, una vera vittima delle coscrizioni austriache.»Invitando «i governi ad abolire la coscrizione e a pensare in qualche altro modo alla sicurezza della patria» o a «rendere meno infelice la esistenza del povero soldato», Amatore comincia a raccontare dalla lotteria di sui si diceva, avvenuta in un giorno imprecisato del marzo 1845 al municipio di Cortenova assediato dai congiunti in lacrime – madri, padri, fidanzate – dei potenziali militi.
Il Comune valsassinese era tenuto a fornire all’esercito asburgico un soldato e l’avrebbe scelto, estraendolo appunto a sorte, tra cinque coscritti. La “fortuna” indicò il giovane Mastalli. Che racconta: «C’era tra gli altri un certo maggiore di non so qual reggimento, che mi par ancora di vederlo. Piccolo, grasso, con la faccia gonfia e rossa come un peperone di Spagna. Due baffi lunghi, colore di canape: due occhietti grigi che pareva volessero fargli un salto fuor della testa e un naso che sembrava un alveare di vespe. Parlava Italiano presso a poco come io parlo lo Slavo. Il maggiore si mise a bestemmiare come un Turco. Mi mossi tosto verso l’urna. Tre numeri eran già sortiti. Non restavano più nell’urna che l’uno ed il tre. Se cavavo il tre ero salvo».
Arruolato, Mastalli comincia una lunga marcia verso l’Ungheria dove finirà nei cavalleggeri, lui che fino ad allora aveva cavalcato soltanto l’asino del mugnaio. Comincia così a snodarsi la vita di caserma e sui campi di battaglia. Una vita durata cinque anni densi di eventi raccontati con schizzi briosi. Come per il veterano istruttore «un po’ tocco nel nomine patris» perché, come don Chisciotte, s’era scaldata la fantasia troppo leggendo il “Guerin Meschino” o “I Reali di Francia”». O la vicenda di un cavallo che il nostro volle sopprimere e che fu impiccato dopo un vero e proprio processo-farsa alla presenza di tal boia Scaccabarozzi. Al rinvenimento della carcassa equina, «quello che più mi fece rabbia fu che tutti in coro si diedero a vantare le sue rare doti. C’erano nel reggimento dei bravissimi cavalli che, essendo vivi, a nessuno veniva in mente di trovarci dei meriti. Quell’assassino di Ciko (il nome del cavallo, ndr), perché era morto, tutti lo lodavano. Bisogna proprio dire che non c’è come a morire per valer qualche cosa a questo mondo, e per sentir le proprie lodi… o, a dir meglio, per non sentirle.»
Le vicissitudini di un “povero soldato” proseguono per molte pagine tra liti e risse con gli odiati commilitoni tedeschi, tra le bottiglie di grappa scolate nelle osterie e sui carretti, i soprusi dei superiori con corredo di botte e scudisciate, le malattie e i ricoveri, i destini comuni come le fidanzate che non aspettano il tuo ritorno e sposano un altro, gli amori incontrati lungo la via, soltanto sfiorati o vissuti, amori che si chiudono anche tragicamente. Un lungo viaggio da un mondo contadino chiuso nel proprio orizzonte a un mondo multietnico, aspetto che Baroncelli sottolinea. Fino ad arrivare a incontri compromettenti con un cospiratore che, a tavola, mangiava «a quattro ganasce» avendo «un vero appetito da cospiratore», un tentativo di fuga su un vascello inglese, l’arresto, l’arruolamento mancato come spia, i giorni da mendicante e quelli trascorsi a fabbricar birra utilizzando «pochi limoni e molt’acqua, con un po’ di gaz».
Noi l’abbiamo fatta breve, ma la storia è un susseguirsi di tanti episodi raccontati anche una vena di cinismo. Riecheggiando sì altre pagine letterarie già lette, però trattandosi di opere posteriori: l’eventuale “già sentito” è colpa dunque del nostro orecchio.
Nelle “Memorie” c’è sostanza originale: «Nessuno finora raccontò agli Italiani ciò che racconta il mio eroe - si legge ancora nella prefazione d’Arrighi - tantoché anche da questo lato non mi faccio scrupolo di dire che nel suo genere questo lavoro riuscirà originale e dissimile da qualunque altro.»
Dario Cercek