SCAFFALE LECCHESE/15: con Pietro Pensa la strada del viandante ai tempi di S. Carlo
Pietro Pensa
Il passo del Brentalone
Siamo dunque nel XVI secolo. Teatro delle vicende descritte sono le Terre alte (Esino era un tempo il paese delle due terre), all'ombra del Moncodeno. Quelle raccontate sono vite vere, cose accadute. I personaggi sono davvero esistiti e «portano i nomi che ebbero nella vita di quaggiù e che ancora si trovano segnati nei registri delle chiese».
C'è qualcosa di magico in questi racconti che si sono tramandati per quattro secoli e sono arrivati appunto all'orecchio di un giovanissimo Pietro che più avanti negli anni ne ha ricavato una storia. E se la trasmissione orale di una testimonianza comporta inevitabilmente modifiche e arrangiamenti, spesso - come in questo caso - vengono mantenute sensazioni ed emozioni che sono nel profondo degli uomini e restano tali nonostante il trascorrere del tempo e il progresso.
Di quegli "zieschi" ricordi, Pensa ha cercato «nelle carte degli archivi una riprova che mi desse malleveria: molto ho trovato, altro si è aggiunto e ben poco è rimasto nell'incertezza». Il racconto «si muove tra la storia e la leggenda: rispetta quella attentamente anche negli episodi secondari, trae dall'altra un fascino di saga dal ricordo rimasto ancora vivo di un mondo scomparso che ci è tanto lontano».
La strada del viandante, dunque: è la strada che collega il paese con il mondo esterno, che percorrono i molti che lasciano il paese: Il mondo esterno che non è soltanto la riviera, non sono soltanto i passi dei monti vicini, il mondo esterno può arrivare anche in Germania. E curiosamente molti esinesi vanno ad Aosta (allora chiamata ancora Augusta). E' la strada con la quale l'arcivescovo Borromeo sale dal lago, ma è anche la strada che porta a valle i reprobi che saranno poi giustiziati sulla piazza del castello. Quella strada è indubbio essere l'attuale sentiero del viandante che collega Lierna con Ortanella, considerato la citazione del passaggio del Brentalone, anche se il castello probabilmente non è quello liernese. Ma questo non ci riguarda, è licenza dell'autore. Lasciando quindi la ricerca dei luoghi a chi se ne diletta, torniamo alla storia che si sviluppa sostanzialmente nella seconda parte del Cinquecento arrivando a scavallare il secolo. Momenti importanti, le due visite pastorali dell'arcivescovo: la prima nel 1566 quando il Borromeo sale in valle dalla Riva e appare bonario, accarezza bambini e impartisce benedizioni: «Furono giornate, quelle, memorabili fra tutte: per decenni se ne sarebbe parlato; poi per secoli se ne sarebbe tramandata la memoria: ancora oggi si mostrano nelle Terre i luoghi che il Santo visitò, la fontana che diede l'acqua a dissetarlo e persino la stanza in cui dormì»; la seconda nel 1582, quando il sorriso sembra essergli scomparso dal volto, appare accigliato, cupo e curvo, «sembrava vedesse le colpe di ciascuno» e in chiesa «fu severo contro chi avesse nella vita ascoltato le eresie».
Contro le quali eresie, anche il povero parroco allestisce la sua battaglia quotidiana: «Porta un abito decoroso - la descrizione del sacerdote in un documento dell'epoca -, non soffre di veruna difformità di corpo; è versatissimo nelle lettere greche e latine; è assai erudito; ha i libri prescritti e molti più». Si tratta di Giovanni Maria Bertarini e portava il soprannome di Penna che «veniva dato all'intera parentela - scrive Pensa -, che sempre era stata amica della carta scritta». Prete Penna, dunque, viene chiamato nel corso del racconto.
Il protagonista che fa da spina dorsale del romanzo sarebbe Piero, un ragazzo enigmatico - secondo appunto prete Penna -, cresciuto con lo zio Jopiero, «poco cattolico et manco religioso, arido e tutto pestilente» e la zia Jacomina «ortodossa et molto religiosa». Il padre Nicola l'aveva lasciato loro, quando molti anni rima se ne andò dal paese per Aosta. E ci andrà anche Piero.
Così come di là dal crinale dei monti, Premana aveva stretti legami con Venezia, Esino guardava ad Aosta da oltre un secolo: «Antonio, parroco delle Terre alte - ci spiega Pensa - nel millequattrocento fu promosso canonico del vescovo di Augusta ed era andato là con il fratello Jacobo, il quale tessé una rete di commerci, che diede avvio a un flusso di membri della famiglia verso la città, la sua valle ed il Vallese. Era una razza di cervello, ma le radici nelle Terre eran tanto salde che mai si ruppero i legami tra le due patrie».
Sullo sfondo Esine visto da Ortanella e la chiesa di San Pietro
Ai tempi di Borromeo era però terra sospetta, per via delle influenze calviniste che in qualche modo sfiorarono anche il nostro Piero che s'interrogò su preveggenza del Signore, predestinazione, libero arbitrio, grazia: «Fosse quel che fosse - riflette l'autore -, mi è stato logico concludere che Piero si era fatta una teoria tutta sua, perché quel convincimento è passato dall'uno all'altro della casa sino a me, e io l'ho raccolto e ancor ne sono persuaso. Lui pensava dunque che Dio ci pone sulla strada della vita fatti a noi già predestinati e che a noi tocca, anche se ce ne viene sacrificio, farne un mezzo per essere utili a chi ci sta d'intorno».
Ma assieme a Piero c'è un mondo di comprimari e sono gli abitanti delle Terre Alte. Pensa non fa sconti e racconta quale fosse quel mondo del XVI secolo: una vita stentata, odi e liti tra famiglie, matrimoni contratti perché un uomo possa avere una donna che gli governi la casa e le giornate oltre naturalmente a fare da fattrice. E poi maldicenze, morti di inedia e morti per mano omicida, per incidenti, per malattia; la stregoneria e i malefici, la magia bianca e quella nera, le prepotenze dei ricchi. Un mondo estremo, gramo, duro, che paradossalmente da qualche decennio ci piace invece idealizzare. Di là dalla trama, che è vita quotidiana che Pensa ha ricostruito unendo appunto i racconti famigliari con i documenti parrocchiali e non solo, il romanzo è un affresco straordinario di un'epoca travagliata in un piccolo paese di montagna. Quasi, passano in secondo piano la trama e le vicende di Piero, di fronte a una testimonianza corale - si usa dire così, oggi - di un'intera comunità.