SCAFFALE LECCHESE/9: curiosità e vicende di antichi comuni nel libro a firma di Aloisio Bonfanti
Siamo talmente abituati, che quasi non ce ne rendiamo nemmeno conto. Abituati a una curiosità che resta ancora quella di un ragazzino, di un cronista alle prime armi, nonostante abbia scavallato ormai le ottanta primavere. Così che di questa città nulla o quasi gli sfugge. E conosce – come si diceva un tempo – vita, morte e miracoli di tutti quei lecchesi che in qualche modo hanno avuto a che fare con la vita pubblica. Cresciuto giornalista dei giornali, è stato poi per una vita l’anima dell’ufficio stampa del municipio, l’«eccellente “violino di spalla” del sindaco», lo definiva nel 1969 un altro storico cronista della città, Arnaldo Ruggiero. E di Ruggiero, Aloisio Bonfanti – di lui stiamo parlando – ha raccolto in qualche modo l’eredità, quella di essere memoria di una città.
Non è uno storico, Bonfanti, ma un cronista, spigolatore di vecchie notizie che nei libri di storia spesso non finiscono ma che pure sono parte della storia e del sentimento di una comunità. E’ ancora con gusto, dunque, andare a rileggersi “Vicende di antichi Comuni lecchesi”, la prima di tante pubblicazioni a sua firma (alcune importanti, come il libro sul centenario del Cai lecchese, nel 1974) e alle quali dedicheremo altre righe di questa rubrica. Una pubblicazione alla quale l’autore è ancora legato: non molto tempo fa è uscita nuovamente per pochi intimi la copia esatta della prima edizione del 1969, quella con l’introduzione proprio di Arnaldo Ruggiero, e stampata in corso Promessi sposi dalle Arti Grafiche Lecchesi. Lecco era ancora in provincia di Como e i numeri telefonici erano composti da cinque cifre.
Si tratta di brevi capitoli che sono a misura di articoli di giornali e che raccontano alcune curiosità della storia cittadina.
A partire dalla lunga battaglia legale, durata dal 1816 al 1828, delle “terribili sorelle” milanesi dal nome francese, ma con terreni a Castello, contro la realizzazione della nuova strada di collegamento tra il centro del paese e il seminario con la circostante zona dell’Arlenico ricca di fucine. Per dirla tutta, «le sorelle accusavano il deputato Ticozzi di usare la sua carica di pubblico amministratore per sacrificare il meno possibile del suo fondo al progettato allargamento stradale, a danno di altri confinanti». Insomma, robe che succedevano solo tempi addietro, no?
A tal proposito, ci viene in mente anche il progetto della stazione ferroviaria di Maggianico che nel 1880 contava solo un “casello” e che nel 1883 ebbe il suo bello scalo. Fu promossa anche una sottoscrizione popolare alla quale contribuirono Amilcare Ponchielli e Carlo Gomes. Erano, del resto, gli anni di una sorta di “dolce vita” maggianichese. Per raggiungere i suoi obiettivi – ricorda Aloisio Bonfanti -, il sindaco Giovanni Genazzini «non mancò di operare pressioni politiche, a livello ministeriale e governativo, approfittando dell’avv. Mario Martelli, deputato al Parlamento, residente a Milano in corso Vittorio Emanuele 37, abituale frequentatore di Maggianico, dove possedeva una villa».
In epoche successive si sarebbe parlato di autostrade e aeroporti, ma questa è malignità nostra, di noi un po’ troppo usi a pensar male…
Limitiamoci allora alle cronache di Bonfanti: per esempio, stando in argomento ferroviario, all’ipotizzato collegamento tra Lecco e Taceno, circa 26 chilometri che il treno, compresa l’ardita salita fino a Ballabio, avrebbe percorso in 90 minuti a una velocità media di 17 chilometri orari. Se ne parlò tra il 1888 e il 1910, si susseguirono tre progetti e infine non se ne fece niente. Tra l’altro, c’era chi propugnava il collegamento tra Lecco e Colico proprio percorrendo la Valsassina, per evitare di dover effettuare troppi tunnel lungo la costiera lariana. Quasi un secolo dopo, le stesse argomentazioni avrebbero accompagnato la realizzazione della nuova strada statale 36.
Ma, nel libro, ci sono anche episodi di cronaca minore come quello dei gendarmi del governo austriaco nel 1818 fischiati per strada a San Giovanni (con seguito di irruzione nell’osteria del Gallo frequentata dai presunti autori dell’oltraggio). Oppure vicende tragiche, come la frana di Versasio nel settembre 1882: «sei morti, otto case crollate, decine di ettari di terreno invasi da un fitto strato di fango, diciassette persone senza tetto».
E poi le beghe tra Comuni vicini, le gelosie, gli accorpamenti e i tradimenti: Belledo, Maggianico, Germanedo, Olate, San Giovanni, Castello che diventa “sopra Lecco”, certe liti per un ponte o una scuola. E ancora, il referendum tra i capifamiglia di Laorca nel 1861 per decidere se in chiesa donne e uomini dovessero restare separati o meno (vinse la divisione, a larga maggioranza) e l’organo di Massimiliano d’Austria regalato alla parrocchiale di Acquate nel 1860 (con seguito di lamentele patriottiche).
Un capitolo, inoltre, è dedicato alle miniere tra la Val Calolden e la Valsassina, in una cornice di «cercatori d’oro del primitivo West», tra la fine del Settecento e l’inizio del Novecento. Oggi, accurati studi storici e la valorizzazione promossa dagli enti pubblici ai Piani Resinelli e a Cortabbio, sale museali e pubblicazioni, percorsi e sentieri “storici” hanno fatto conoscere ai più quell’epopea. Quando ne scriveva Bonfanti, nel 1969, si trattava probabilmente di un tempo dimenticato.
Complessivamente, sono 17 i capitoli del libro: quello conclusivo è un’intervista all’ultimo sindaco di Rancio, Giuseppe Spreafico, allora ancora vivente: questo sì, un documento storico.
Non è uno storico, Bonfanti, ma un cronista, spigolatore di vecchie notizie che nei libri di storia spesso non finiscono ma che pure sono parte della storia e del sentimento di una comunità. E’ ancora con gusto, dunque, andare a rileggersi “Vicende di antichi Comuni lecchesi”, la prima di tante pubblicazioni a sua firma (alcune importanti, come il libro sul centenario del Cai lecchese, nel 1974) e alle quali dedicheremo altre righe di questa rubrica. Una pubblicazione alla quale l’autore è ancora legato: non molto tempo fa è uscita nuovamente per pochi intimi la copia esatta della prima edizione del 1969, quella con l’introduzione proprio di Arnaldo Ruggiero, e stampata in corso Promessi sposi dalle Arti Grafiche Lecchesi. Lecco era ancora in provincia di Como e i numeri telefonici erano composti da cinque cifre.
Si tratta di brevi capitoli che sono a misura di articoli di giornali e che raccontano alcune curiosità della storia cittadina.
A partire dalla lunga battaglia legale, durata dal 1816 al 1828, delle “terribili sorelle” milanesi dal nome francese, ma con terreni a Castello, contro la realizzazione della nuova strada di collegamento tra il centro del paese e il seminario con la circostante zona dell’Arlenico ricca di fucine. Per dirla tutta, «le sorelle accusavano il deputato Ticozzi di usare la sua carica di pubblico amministratore per sacrificare il meno possibile del suo fondo al progettato allargamento stradale, a danno di altri confinanti». Insomma, robe che succedevano solo tempi addietro, no?
A tal proposito, ci viene in mente anche il progetto della stazione ferroviaria di Maggianico che nel 1880 contava solo un “casello” e che nel 1883 ebbe il suo bello scalo. Fu promossa anche una sottoscrizione popolare alla quale contribuirono Amilcare Ponchielli e Carlo Gomes. Erano, del resto, gli anni di una sorta di “dolce vita” maggianichese. Per raggiungere i suoi obiettivi – ricorda Aloisio Bonfanti -, il sindaco Giovanni Genazzini «non mancò di operare pressioni politiche, a livello ministeriale e governativo, approfittando dell’avv. Mario Martelli, deputato al Parlamento, residente a Milano in corso Vittorio Emanuele 37, abituale frequentatore di Maggianico, dove possedeva una villa».
In epoche successive si sarebbe parlato di autostrade e aeroporti, ma questa è malignità nostra, di noi un po’ troppo usi a pensar male…
Limitiamoci allora alle cronache di Bonfanti: per esempio, stando in argomento ferroviario, all’ipotizzato collegamento tra Lecco e Taceno, circa 26 chilometri che il treno, compresa l’ardita salita fino a Ballabio, avrebbe percorso in 90 minuti a una velocità media di 17 chilometri orari. Se ne parlò tra il 1888 e il 1910, si susseguirono tre progetti e infine non se ne fece niente. Tra l’altro, c’era chi propugnava il collegamento tra Lecco e Colico proprio percorrendo la Valsassina, per evitare di dover effettuare troppi tunnel lungo la costiera lariana. Quasi un secolo dopo, le stesse argomentazioni avrebbero accompagnato la realizzazione della nuova strada statale 36.
Ma, nel libro, ci sono anche episodi di cronaca minore come quello dei gendarmi del governo austriaco nel 1818 fischiati per strada a San Giovanni (con seguito di irruzione nell’osteria del Gallo frequentata dai presunti autori dell’oltraggio). Oppure vicende tragiche, come la frana di Versasio nel settembre 1882: «sei morti, otto case crollate, decine di ettari di terreno invasi da un fitto strato di fango, diciassette persone senza tetto».
E poi le beghe tra Comuni vicini, le gelosie, gli accorpamenti e i tradimenti: Belledo, Maggianico, Germanedo, Olate, San Giovanni, Castello che diventa “sopra Lecco”, certe liti per un ponte o una scuola. E ancora, il referendum tra i capifamiglia di Laorca nel 1861 per decidere se in chiesa donne e uomini dovessero restare separati o meno (vinse la divisione, a larga maggioranza) e l’organo di Massimiliano d’Austria regalato alla parrocchiale di Acquate nel 1860 (con seguito di lamentele patriottiche).
Un capitolo, inoltre, è dedicato alle miniere tra la Val Calolden e la Valsassina, in una cornice di «cercatori d’oro del primitivo West», tra la fine del Settecento e l’inizio del Novecento. Oggi, accurati studi storici e la valorizzazione promossa dagli enti pubblici ai Piani Resinelli e a Cortabbio, sale museali e pubblicazioni, percorsi e sentieri “storici” hanno fatto conoscere ai più quell’epopea. Quando ne scriveva Bonfanti, nel 1969, si trattava probabilmente di un tempo dimenticato.
Complessivamente, sono 17 i capitoli del libro: quello conclusivo è un’intervista all’ultimo sindaco di Rancio, Giuseppe Spreafico, allora ancora vivente: questo sì, un documento storico.
Dario Cercek