SCAFFALE LECCHESE/6: storia di un carteggio misterioso e del custode don Ticozzi
Si tratta, indubbiamente, di uno degli epistolari più misteriosi. In parte sussurrato e in tanta, tantissima parte non ancora esplicito. E attorno al quale sono fiorite leggende che 75 anni dopo non perdono smalto. Ma sono state alimentate anche truffe clamorose per dinamiche e personaggi coinvolti e naturalmente la polemica politica ha potuto sbizzarrirsi. Dell'ormai famoso carteggio tra Benito Mussolini e Winston Churchill si è detto e scritto tutto e il contrario di tutto. Ma è probabile che la parola definitiva sia ancora lontana dall'arrivare.
Per esempio, ne scrive, in un libro uscito nelle scorse settimane ("Dongo, la fine", Edizioni Polaris di Sondrio, pagine 135, 10 euro) Sergio Caivano, valtellinese nato a Bellano nel 1933, per anni docente nelle scuole superiori sondriesi, un grande impegno politico in area socialista, ora presidente onorario dell'Anpi provinciale della Valtellina.La ricerca di Caivano si concentra sugli ultimi giorni del Fascismo, i giorni tra il 25 e il 28 aprile 1945, per intenderci, con tutto quanto si porta dietro: le trattative a Milano ospiti dell'arcivescovo Ildefonso Schuster, la fuga del Duce a Como e poi con i tedeschi versoi l'Alto Lago e l'ipotetico "ridotto valtellinese", l'esecuzione a Giulino di Mezzegra, la vicenda del cosiddetto oro di Dongo, il tragico seguito dell'uccisione dei partigiani Gianna e Neri. E, appunto, le due borse che Mussolini aveva con sé e che furono sequestrate, finite prima nel caveau di una banca e poi sostanzialmente "sparite" nella complessità delle giornate susseguenti la Liberazione.
Tra i documenti contenuti in quelle borse vi sarebbe stato anche il carteggio Churchill-Mussolini il cui ritrovamento avrebbe cambiato la Storia come scrive Mimmo Franzinelli nel suo "L'arma segreta del Duce" peraltro ristampato proprio in questi giorni da un quotidiano nazionale. E pure una trasmissione televisiva, non molti giorni orsono, si è interessata al "caso" del carteggio, accreditando la versione che sarebbero stati addirittura i servizi segreti britannici a decidere di giustiziare Mussolini. Il quale sarebbe stato portato già cadavere a Villa Belmonte, luogo della fucilazione "ufficiale" (circostanza comunque negata da Caivano).
Don Giovanni Ticozzi
I documenti (ma quali precisamente?) alla fine di agosto si sarebbero trovati alla federazione di Como del Pci, come scriveva nel 2015 Gustavo Ottolenghi ripreso dallo stesso Caivano, il quale, però, osserva come là si trovassero «solo 72 documenti non 350. Dove sono finiti gli altri?».
Ormai 25 anni fa, di quei giorni tragici si occupò anche lo storico e giornalista comasco Giorgio Cavalleri con due libri, uno dei quali dedicato proprio al "giallo" delle lettere ("Il custode del carteggio", Piemme edizioni,), chiamando in causa tra i custodi di quelle carte anche il sacerdote lecchese don Giovanni Ticozzi che fu docente e preside del liceo classico Manzoni, arrestato nel 1944 dalle Brigate Nere per la sua attività nella Resistenza e morto nel 1958 nel suo ufficio al liceo.
Cavalleri scriveva che nel pomeriggio di domenica 23 giugno 1946 «un gruppo di amici si ritrovò nella residenza estiva di uno di loro, in un paese della provincia comasca, Oggiono».
Il padrone di casa era l'ex questore di Como Davide Luigi Grassi. A Oggiono si diedero appuntamento personaggi di primo piano (l'elenco sarebbe lungo: ma lo storico fa nomi e cognomi) e tra loro anche «il partigiano M.D. e un sacerdote che, a detta di tutti, era persona straordinaria: coraggioso, antifascista e dotato di grandissima umanità». Il religioso sarebbe appunto don Giovani Ticozzi e il sottotitolo del libro annuncia enfatico: «Finalmente svelato il nome del prete che nascose il carteggio».
In quell'incontro, si decise di "congelare" per un lungo periodo la corrispondenza intercorsa tra i due uomini di stato. Il momento storico dell'Europa e lo scenario internazionale non pareva opportuno rendere pubbliche «quelle carte che rischiavano di rinfocolare polemiche anche feroci». Si stabilì quindi di aspettare almeno cinquant'anni. In quanto a don Ticozzi, venne deciso a grade maggioranza di affidare a lui i documenti «per il riserbo del ministero sacerdotale e per l'elevata stima che godeva da parte di tutti, credenti e non». Secondo la ricostruzione di Cavalleri, «in base anche alle indicazioni e ai consigli degli amici, don Giovanni sistemò la busta affidatagli in un santuario della sua diocesi, forse non lontano dal corso dell'Adda».
Cinquant'anni dopo quell'incontro, Cavalleri interpella il "partigiano M.D." che gli dice: «Mi si chiede perché, contrariamente a quanto ci eravamo proposti, non abbia provveduto a rendere pubbliche, entro la fine del 1995, le copie fotografiche delle lettere che furono rinvenute nelle borse sequestrate a Benito Mussolini. Se tale era il nostro intento, è altrettanto inconfutabile che eravamo tutti concordi su un fatto: che chi tra noi fosse stato ancora in vita dopo cinquant'anni avrebbe valutato, a suo insindacabile giudizio, se il momento fosse opportuno». E per M.D. la situazione italiana di quel 1995 non lo consentiva «perché la Resistenza, nella quale abbiamo rischiato la vita tutti i giorni, l'abbiamo fatta perché il futuro fosse migliore e l'Italia oggi mi pare talvolta davvero il paese di Pulcinella». Si ricorderà: erano i mesi del crollo della "prima Repubblica", lo scandalo di Tangentopoli, l'avvento di Silvio Berlusconi e il famoso "sdoganamento" degli eredi politici del Fascismo.
Poi, nuovamente l'oblìo. Quelle lettere non sono mai saltate fuori e se a Oggiono - come dice M.D. - arrivarono solo le copie fotografiche, che fine avevano fatto gli originali?.
Concludendo la sua ricostruzione, Cavalleri si augurava «che i fatti narrati in queste pagine possano essere confermati un giorno da qualcuno ben più autorevole, accreditato e informato di scrive». Quel giorno, non sembra ancora arrivato.
Dario Cercek