SCAFFALE LECCHESE/5: il contributo di mons. Spreafico nell'irrisolto dilemma sui luoghi manzoniani
Mentre a Palazzo delle paure - e nonostante le paure - sfugge alla mannaia del covid la mostra “Manzoni nel cuore” (aperta fino al 30 agosto), la rivista “Bell’Italia” (nel numero di luglio) invita alla visita dei luoghi manzoniani. Guida d’eccezione, lo scrittore Andrea Vitali. Seguendo il quale arriviamo naturalmente anche alla sua Bellano. Non foss’altro per avere dato, il paese lacustre, i natali a quel Tommaso Grossi che dell’Alessandro Manzoni fu grande amico.
Già, i luoghi manzoniani. Croce e delizia di questa terra. Attrattiva turistica tra le più frequentate soprattutto da scolaresche invero un po’ annoiate. Ma anche tra le più trascurate al mondo in quanto a valorizzazione: tema, questo, d’annosa polemica e sconfinata inconcludenza. Nonostante ripetuti convegni e periodiche ripromesse paragonabili ormai alle celeberrime grida del gran romanzo.
Che poi, a dirla tutta, in quasi due secoli non si è ancora arrivati a capo di una mappa definitiva di quei luoghi. E mai, del resto, ci si arriverà. Ancora, però, ci si azzuffa tra scettici, “negatori aprioristi” e “credenti”. Ai quali si aggiungono novelli e improvvisati ricercatori che propongono quelle che Aroldo Benini definì «amenità, estemporanee e curiose e folli divagazioni di qualche stravagante».
La “caccia” ai veri luoghi, del resto, partì subito dopo la pubblicazione della prima edizione (1827) dei “Promessi sposi”, quando Alessandro Manzoni aveva già lasciato Lecco – per non tornarci mai più - e venduti agli Scola villa e proprietà del Caleotto. Ed è, la descrizione dei luoghi, «fatta con gli occhi della sua prodigiosa memoria – sono parole di Gianfranco Scotti – che gli permette di ricreare lo scenario della sua fanciullezza con straordinaria precisione geografica, facendolo rivivere sulla pagina con affettuoso trasporto, quasi volesse liberarsi del peso di una nostalgia divenuta dolorosamente ossessiva».
Lo stesso don Lisander pare giocasse egli stesso a trarre inganno gli instancabili “topografi dei Promessi sposi” che lo interpellavano direttamente. Leggenda vuole che rispondesse alle domande con un «o là o qua» lasciando interlocutori interdetti tra un’Olate e un’Acquate. Sarà poi per questo che ancora ci sono due presunte case di Lucia come ci furono due canoniche di don Abbondio.
Il libro (oggi rintracciabile solo nelle biblioteche e sulle bancarelle dei mercatino o di internet) è una gustosa panoramica dell’incessante e corposo dibattito attorno appunto ai luoghi manzoniani, a quelli veri e a quelli immaginati. Emerge l’accuratezza a volte girata in pedanteria, la puntigliosità, lo scavar certosino che hanno coinvolto in capziose e a tratti esilaranti discussioni i “ricercatori”. Che il nostro monsignore ci presenta fin dalle prime righe: «Ci sono gli scettici e i negatori aprioristi. I primi dicono: siamo in un romanzo, cioè in pieno dominio della fantasia, che volete mai cercare i luoghi dove è fiorita una storia che è soltanto poesia? Gli altri ragionano così: se il Manzoni stesso interrogato non ha saputo dire dove sia il paese degli sposi, né il Palazzo di don Rodrigo, né il castello dell’Innominato, che sugo ci sarebbe per noi a ricercarli? Ci sono poi i credenti: il territorio di Lecco – essi dicono – è qualche cosa di reale, di ristretto, di conoscibile; poi, nel romanzo sono toccati dei luoghi esistenti realmente come Pescarenico e Maggianico; perché non si avrebbero a trovare gli altri? E hanno cercato con fiducia e con lena, riuscendo (così almeno sembrò loro) a scoprire tutto o quasi tutto ciò che cercavano».
Quasi una saga, un altro romanzo Tutto da leggere. Per riscoprire con occhi diversi i luoghi manzoniani.
Già, i luoghi manzoniani. Croce e delizia di questa terra. Attrattiva turistica tra le più frequentate soprattutto da scolaresche invero un po’ annoiate. Ma anche tra le più trascurate al mondo in quanto a valorizzazione: tema, questo, d’annosa polemica e sconfinata inconcludenza. Nonostante ripetuti convegni e periodiche ripromesse paragonabili ormai alle celeberrime grida del gran romanzo.
Che poi, a dirla tutta, in quasi due secoli non si è ancora arrivati a capo di una mappa definitiva di quei luoghi. E mai, del resto, ci si arriverà. Ancora, però, ci si azzuffa tra scettici, “negatori aprioristi” e “credenti”. Ai quali si aggiungono novelli e improvvisati ricercatori che propongono quelle che Aroldo Benini definì «amenità, estemporanee e curiose e folli divagazioni di qualche stravagante».
La “caccia” ai veri luoghi, del resto, partì subito dopo la pubblicazione della prima edizione (1827) dei “Promessi sposi”, quando Alessandro Manzoni aveva già lasciato Lecco – per non tornarci mai più - e venduti agli Scola villa e proprietà del Caleotto. Ed è, la descrizione dei luoghi, «fatta con gli occhi della sua prodigiosa memoria – sono parole di Gianfranco Scotti – che gli permette di ricreare lo scenario della sua fanciullezza con straordinaria precisione geografica, facendolo rivivere sulla pagina con affettuoso trasporto, quasi volesse liberarsi del peso di una nostalgia divenuta dolorosamente ossessiva».
Lo stesso don Lisander pare giocasse egli stesso a trarre inganno gli instancabili “topografi dei Promessi sposi” che lo interpellavano direttamente. Leggenda vuole che rispondesse alle domande con un «o là o qua» lasciando interlocutori interdetti tra un’Olate e un’Acquate. Sarà poi per questo che ancora ci sono due presunte case di Lucia come ci furono due canoniche di don Abbondio.
Se ne discute da due secoli. E in tanti, curiosi rimasti anonimi o letterati di blasone come il nostro Antonio Stoppani, si sono cimentati nell’impresa. Già, nel 1895, il professore trevigiano Giuseppe Bindoni diede alle stampe una propria ponderosa Topografia illustrata da carte, piantine e “vedute”.
Copertine del volume
A noi piace, invece, riprendere tra le mani “La Topografia dei ‘Promessi Sposi’ nel territorio di Lecco” compilata da monsignor Andrea Spreafico, sacerdote lecchese nato nel 1874 e morto nel 1957, docente di Italiano e Latino prima al Collegio Volta e poi nei licei pubblici. Pubblicata per la prima volta nel 1923 dal’editore Ettore Bartolozzi. A quanto pare, della prima edizione non si vendette più di una ventina di copie, ma col tempo il lavoro venne apprezzato, considerato che successivamente vi fu più d’una ristampa.Il libro (oggi rintracciabile solo nelle biblioteche e sulle bancarelle dei mercatino o di internet) è una gustosa panoramica dell’incessante e corposo dibattito attorno appunto ai luoghi manzoniani, a quelli veri e a quelli immaginati. Emerge l’accuratezza a volte girata in pedanteria, la puntigliosità, lo scavar certosino che hanno coinvolto in capziose e a tratti esilaranti discussioni i “ricercatori”. Che il nostro monsignore ci presenta fin dalle prime righe: «Ci sono gli scettici e i negatori aprioristi. I primi dicono: siamo in un romanzo, cioè in pieno dominio della fantasia, che volete mai cercare i luoghi dove è fiorita una storia che è soltanto poesia? Gli altri ragionano così: se il Manzoni stesso interrogato non ha saputo dire dove sia il paese degli sposi, né il Palazzo di don Rodrigo, né il castello dell’Innominato, che sugo ci sarebbe per noi a ricercarli? Ci sono poi i credenti: il territorio di Lecco – essi dicono – è qualche cosa di reale, di ristretto, di conoscibile; poi, nel romanzo sono toccati dei luoghi esistenti realmente come Pescarenico e Maggianico; perché non si avrebbero a trovare gli altri? E hanno cercato con fiducia e con lena, riuscendo (così almeno sembrò loro) a scoprire tutto o quasi tutto ciò che cercavano».
Case di Lucia disegnate da Carlo Pizzi
Nelle oltre cento pagine successive, don Spreafico passa quindi in esame tutti i luoghi e le discussioni attorno alla scenografia del romanzo manzoniano. Tra riferimenti storici (il convento di Pescarenico) e le bizzarrie come l’individuazione della casa di Lucia (ad Acquate) per via della presenza di un fico: «E dire - osserva monsignore – che di case con cortile e piante di fico ce n’era per tutta Acquate».Zucco di Olate
O il palazzotto di don Rodrigo. Chi lo vuole allo Zucco sopra Olate e chi sul colle di Pomedo a Laorca, chi addirittura al Neguccio spostando il pasello degli sposi nientepopodimeno che a Maggianico. La stessa collocazione del castello dell’Innominato («a cavaliere a una valle angusta e uggiosa, sulla cima di un poggio che si spinge in fuori da un’aspra giogaia di monti» scriveva il Gran Lombardo) non è certo più stabile. Anzi. A lungo, inoltre, ci si è accapigliati pure su quale fosse il famoso viottolo lungo il quale don Abbondio incontra i Bravi: la svolta, i muriccioli, il tabernacolo, la costa della montagna, i torrenti, l’insù e l’ingiù…Quasi una saga, un altro romanzo Tutto da leggere. Per riscoprire con occhi diversi i luoghi manzoniani.
Dario Cercek