Lecco perduta/226: la vecchia ferriera, di cui resta solo il nome

Ferriera, ormai resta solo il nome lungo il viottolo che corre da via Balicco a via Porta. I lecchesi delle generazioni che hanno vissuto la seconda metà del Novecento se lo chiedono di fronte al totale cambiamento di una vasta area di città, nella zona della ex ferriera Caleotto, dove si sono elevate le torri Meridiana, progettate dal famoso Renzo Piano, mentre nella vicina ex Badoni (azienda storica della carpenteria meccanica che ha portato Lecco nel mondo), si sono alzate le costruzioni del Broletto.
Nella primavera 1896 venivano poste le basi per la ferriera del Caleotto, sorta per iniziativa di trafilieri lecchesi che decisero di avere in proprio un centro di produzione vergella, senza dover ricorrere a mercati e fornitori lontani.
C'erano tutte le famiglie storiche del ferro lecchese, della vallata del Gerenzone ed oltre, c'era il rag. Valentino Gerosa Crotta, per mezzo secolo vero "padrone della ferriera", direttore ed amministratore instancabile. E' scomparso nel 1960, a 93 anni di età. Viene ricordato nel parco Valentino ai Piani Resinelli, sperone boscoso del Coltignone, donato al Touring dal figlio Antonio Gerosa Crotta. La ferriera Caleotto è stata la cattedrale del ferro e del lavoro lecchese.



La torre serbatoio della ferriera del Caleotto, alta 60 metri

Si alzava imponente, appena oltre la stazione ferroviaria ed il deposito convogli, ai quali era collegata da apposito raccordo su binari per quotidiani movimenti di vagoni. La ferriera raggiunse il suo massimo momento nel dopoguerra '45, con montagne di residuati bellici, gettati nei forni divoratori, dai quali usciva il serpente di fuoco che al raffreddamento diveniva vergella. Era uno spettacolo, nelle ore notturne, con il chiarore arancione dei forni lungo la confinante via XI Febbraio, con il riverbero incandescente dei colori sui muri delle costruzioni vicine. Un lavoro pericoloso che richiese delle vittime, come l'esplosione del settembre 1946, con due morti e numerosi feriti. Gli edifici vicini di via Balicco vennero investiti da un'onda d'urto che devastò gli appartamenti, fracassando vetri, scardinando porte e finestre, rendendo insicure le costruzioni dalle scale al tetto. Ventisei famiglie rimasero improvvisamente senza casa. I residenti, come riferisce la cronaca del tempo, subito avvertiti dopo il primo scoppio, erano stati fatti allontanare dalle abitazioni, temendo nuove esplosioni, cosicchè non vi furono altre vittime.



Via Ferriera, oggi

Tutto era avvenuto in quanto le fiamme, provocate da uno scoppio all'interno di un forno, si propagarono agli esplosivi radunati per la verifica in un vicino magazzino: causarono la seconda, più potente, deflagrazione di altri proiettili. Danni vennero registrati anche presso gli uffici direzionali ed amministrativi della ferriera, la casa dell'opera don Guanella, il collegio Volta, il palazzo comunale di piazza Diaz. Cristalli e vetrine andarono infranti in via Cairoli ed in via Roma.
L'addio alla Ferriera avvenne nel 1990: una cancellazione totale; l'ultimo simbolo a cadere è stato il serbatoio dell'acqua, alto 60 metri. E' crollato nell'aprile 1991, davanti a telecamere e obiettivi fotografici, con un ciak quasi cinematografico, presenti tanti cittadini trattenuti a distanza da un robusto cordone di forze dell'ordine. E' stato praticamente "un attimo", quando il serbatoio si è afflosciato sulle gambe in un nugolo di polvere. Era caduta anche l'ultima "bandiera" di una storica industria che ha marcato le vicende lecchesi del più intenso Novecento. Ora il ricordo è affidato al viottolo con la denominazione "via Ferriera".
A.B.
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