Lecco perduta/4: al Caleotto è rimasta via Ferriera
E’ rimasta la denominazione “via Ferriera”, alle spalle dello scalo ferroviario, nel tratto stradale che da via Balicco conduce a via Porta, lungo il Caldone. Una vasta fetta di città sull’area dell’ex ferriera Caleotto, ha visto il nuovo centro con le torri “Meridiana”, progettate da Enzo Piano, mentre sulla ex Badoni (azienda storica della carpenteria meccanica che ha portato Lecco nel mondo), è sorto il complesso del Broletto.
Nel marzo 1896 venivano poste le basi per la ferriera del Caleotto; prendeva tale denominazione perché andava ad occupare terreni confinanti con il parco di villa Manzoni, proprietà della famiglia Scola. La ferriera sorse per iniziativa di trafilieri lecchesi che decisero di avere, in proprio, un centro di produzione vergella senza dover ricorrere a mercati e fornitori lontani.
C’erano al Caleotto tutte le famiglie o ditte storiche del ferro lecchese, dalla vallata del Gerenzone ed oltre. C’era il ragionier Valentino Gerosa Crotta, per mezzo secolo vero “padrone delle ferriere”, direttore ed amministratore instancabile. E’ scomparso nel 1960, a 93 anni di età; è ricordato nel parco Valentino ai Piani Resinelli, lo sperone boscoso del Coltignone, donato dal figlio Antonio Gerosa Crotta in memoria del genitore.
La ferriera Caleotto è stata la cattedrale del ferro e del lavoro lecchesi. Era imponente, appena oltre la stazione ferroviaria ed il deposito convogli, ai quali era collegata da apposito raccordo su binari per quotidiani movimenti di vagoni. La ferriera raggiunse il suo massimo momento nel dopoguerra 1945, con montagne di residuati bellici gettati nei forni divoratori, dai quali poi usciva il serpente di fuoco che al raffreddamento diveniva vergella. Era uno spettacolo nelle ore notturne il chiarore arancione dei forni lungo via XI Febbraio, il riverbero delle colate sui muri degli edifici vicini, come il complesso FILE.
L’addio alla ferriera avvenne nel 1990 e fu una totale cancellazione. L’ultimo simbolo a cadere è stato il serbatoio dell’acqua, altro 60 metri. E’ crollato per esplosione nell’aprile nel 1991, davanti a telecamere ed obiettivi fotografici, con un ciak quasi cinematografico.
Nel marzo 1896 venivano poste le basi per la ferriera del Caleotto; prendeva tale denominazione perché andava ad occupare terreni confinanti con il parco di villa Manzoni, proprietà della famiglia Scola. La ferriera sorse per iniziativa di trafilieri lecchesi che decisero di avere, in proprio, un centro di produzione vergella senza dover ricorrere a mercati e fornitori lontani.
C’erano al Caleotto tutte le famiglie o ditte storiche del ferro lecchese, dalla vallata del Gerenzone ed oltre. C’era il ragionier Valentino Gerosa Crotta, per mezzo secolo vero “padrone delle ferriere”, direttore ed amministratore instancabile. E’ scomparso nel 1960, a 93 anni di età; è ricordato nel parco Valentino ai Piani Resinelli, lo sperone boscoso del Coltignone, donato dal figlio Antonio Gerosa Crotta in memoria del genitore.
La ferriera Caleotto è stata la cattedrale del ferro e del lavoro lecchesi. Era imponente, appena oltre la stazione ferroviaria ed il deposito convogli, ai quali era collegata da apposito raccordo su binari per quotidiani movimenti di vagoni. La ferriera raggiunse il suo massimo momento nel dopoguerra 1945, con montagne di residuati bellici gettati nei forni divoratori, dai quali poi usciva il serpente di fuoco che al raffreddamento diveniva vergella. Era uno spettacolo nelle ore notturne il chiarore arancione dei forni lungo via XI Febbraio, il riverbero delle colate sui muri degli edifici vicini, come il complesso FILE.
L’addio alla ferriera avvenne nel 1990 e fu una totale cancellazione. L’ultimo simbolo a cadere è stato il serbatoio dell’acqua, altro 60 metri. E’ crollato per esplosione nell’aprile nel 1991, davanti a telecamere ed obiettivi fotografici, con un ciak quasi cinematografico.
A.B.