I naviganti sostanziavano con la coraggiosa azione alcune delle opere di misericordia corporali

Il viaggio non finisce qui, ma continua. Altre imbarcazioni si sono messe in movimento e altre continueranno per rompere un confine. Il muro dell’impotenza è stato infranto e sta coinvolgendo le piazze di varie città. Il richiamo della flottiglia sta contaminando altre capitali. Si è spento il silenzio costrittivo voluto dai governanti, dai manovratori del vapore che considerano i cittadini del mondo dei sudditi acefali, incapaci di ragionare con la propria testa.  
Questo sociale molecolare si è aggregato; è sceso in piazza con bambini, carrozzine, biciclette, con generazioni diverse, con lavoratori con il camice o con la tuta, con migranti di seconda generazione, con mussulmani o cristiani o agnostici, con bandiere varie: esprime una forte pulsione di eros che si oppone al potere scespiriano avvolto da una ragnatela mortifera.  
Ogni persona che cammina o che sta sulla barca, può ripetere con Hermann Hesse: “Nonostante il tenero amore che nutro per il mio Paese, non ho mai saputo essere un grande patriota né un nazionalista. E ben presto è nata in me una diffidenza verso i confini e un amore profondo, spesso appassionato, per quei beni umani che per loro natura stanno di là dai confini. Col passare degli anni mi sono sentito ineluttabilmente spinto ad apprezzare maggiormente ciò che unisce uomini e nazioni piuttosto che ciò che li divide.”
Nessuno è contro gli ebrei. Coloro che camminano per la pace, per l’incontro, che navigano per raggiungere la spiaggia, per portare aiuti agli affamati, desiderano soltanto incontrare e condividere con l’Altro un abbraccio.
Coloro che sono saliti su quelle imbarcazioni, poco adatte per navigare a lunga distanza, per raggiungere un orizzonte indefinito, forse, senza saperlo, stavano sostanziando laicamente il paradigma di alcune delle sette opere di misericordia corporali: dar da mangiare agli affamati; dar da bere agli assetati; vestire gli ignudi; visitare gli infermi; seppellire i morti. Tanto di cappello. Comunque sia andata è stata una dimostrazione che non esistono confini geografici o politici. Tutto è superabile.
È scattata in una parte della popolazione, nei singoli un bisogno di manifestare con il proprio corpo/mente, di essere soggetti agenti e non passivi o dipendenti. La posizione negante, rimuovente del disastro umanitario, da parte dei governanti e dei singoli partiti, ha determinato una reazione che va oltre le appartenenze. Le solite fregnacce di contrapposizione tra le parti, la solita minestra inacidita, noiosa, oltre che retorica e povera di contenuti dei dibattiti televisivi, figlia del sistema di una comunicazione mediatica manipolante e scadente, non inficia il risultato.
I signori del vapore si dimenticano che il cinquanta per cento della popolazione non va a votare. Tra le persone che hanno manifestato nelle piazze, ci sono anche quelli che non hanno votato. Qualche motivo serio c’è. È profondamente falso il mantra che le persone sono disinteressate del bene comune. L’incapacità della politica e dei governanti di imporsi e trovare delle soluzioni pacifiche ha dimostrato il suo fallimento.  
Quando si toccano certi punti, che riguardano l’esistenza di sé e dell’Altro, il sociale si ricompone, si include, si incontra e cerca soluzioni.
Questa vicenda pone delle riflessioni. Si è rotto il velo dell’impotenza. Eros ha voglia di manifestarsi, non solo nell’ambito privato ma anche in quello pubblico. Sì, per fortuna, siamo degli animali sociali.  
“Non ci vuole una grande arte né un’eloquenza molto ricercata, per provare che dei cristiani devono tollerarsi a vicenda. Dirò di più: vi dirò che bisogna considerare tutti gli uomini come nostri fratelli. Che! Mio fratello il turco? Mio fratello il cinese, l’ebreo, il siamese? Sì, senza dubbio: non siamo tutti figli dello stesso padre, e creature dello stesso Dio? (Voltaire)
Dr. Enrico Magni, Psicologo, giornalista
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