PAROLE CHE PARLANO/249
Bambino
La parola bambino trova la sua origine nei suoni profondamente legati all’infanzia. La maggior parte degli studiosi, infatti, concorda sul fatto che derivi da una radice onomatopeica (come bam- o bam-bam), un’imitazione del balbettio dei piccoli. Non è un caso che in molte lingue europee si ritrovino forme simili: dall’inglese baby allo spagnolo bambino (arcaico), tutte espressioni che cercano di restituire la voce ancora incerta dei bambini.Gli adulti, del resto, tendono spontaneamente a riprodurre suoni infantili quando si rivolgono ai piccolini: usano parole sdolcinate, ripetizioni di sillabe (“ma-ma-ma”, “pa-pa-pa”), tonalità acute e ritmi cantilenanti. Questo fenomeno, definito in inglese baby talk o motherese, che potremmo tradurre in “bambinese”, non solo facilita la comunicazione con il bambino, ma rafforza anche il legame affettivo, quasi a rispecchiare quel balbettio primordiale che era anche nostro e da cui la parola “bambino” trae origine.
Esistono anche altre ipotesi: alcuni fanno risalire il termine all’aggettivo toscano bambo (“semplice, ingenuo”), che a sua volta richiama il greco bambaino, “balbettare”. In entrambi i casi, l’idea centrale rimane la stessa: il bambino è colui che ancora non parla compiutamente, che sta imparando a dare forma alle parole e, attraverso di esse, al mondo.
Con il tempo, “bambino” ha assunto un valore affettivo e universale, che va ben oltre la definizione biologica o anagrafica. È diventato il simbolo di una condizione di fragilità, crescita e promessa, un concetto che trascende la semplice età. Troviamo nel vangelo la frase “se non diventerete come bambini” rivolta a tutti gli adulti col chiaro significato non tanto di regredire all’infanzia, ma di recuperare qualità interiori che i bambini incarnano: fiducia, apertura, capacità di meravigliarsi, sincerità senza doppiezza. Il bambino è colui che accoglie senza pregiudizi, che riconosce la propria dipendenza, che non si illude di bastare a sé stesso, che sa chiedere aiuto. Pertanto, sempre citando il vangelo, non daremo di certo una pietra o un serpente a un bambino che chiede del pane o del pesce.
Ma è proprio qui che la parola bambino incontra l’attualità. La richiesta “definisci bambino”, emersa in contesti drammatici legati a diritti violati e a crimini efferati, suona oggi come una profonda ferita: come se fosse necessario ribadire l’ovvio, cioè che un bambino è, prima di tutto, una persona da proteggere, rispettare e accompagnare. La lingua ci ricorda che “bambino” non è soltanto un’etichetta, ma una voce primordiale: un balbettio che chiede ascolto, cura e futuro.
Rubrica a cura di Dino Ticli