In viaggio a tempo indeterminato/393: l'Albania di ieri e di oggi
Quattro pacchi di pasta da mezzo chilo. Ci sono i tortiglioni, i miei preferiti.
Sei barattoli di salsa di pomodoro in vetro. Di quelle già pronte che devi solo svitare e versare. Ho dovuto fermare Paolo altrimenti ne avrebbe prese almeno il doppio.
Un litro di olio di oliva, rigorosamente extravergine.
Un sacchetto di taralli come souvenir dalla Puglia.
Guardo la dispensa che abbiamo in macchina. Siamo italiani semplici: partiamo per l'estero solo con lo stretto indispensabile.
Pasta e salsa, what else?
Alla frontiera agli ufficiali basterebbe aprire una portiera per capire da dove veniamo, anche senza chiederci i documenti.
È la prima volta che ci portiamo una scorta di cibo "da casa", sarà che abbiamo bisogno di un lento e graduale distacco dal glutine dopo 3 mesi italiani.
Saliamo sul traghetto da Brindisi, destinazione Valona in Albania. Parcheggiamo la macchina al secondo piano seguendo le istruzioni dettagliate del personale. Sono nervosi e urlano tra loro, con i passeggeri, con le auto. Qualcuno ha parcheggiato la sua Mercedes proprio davanti alla porta per salire ai piani superiori. Si deve fare uno slalom strettissimo per aggirarla e non è semplice con passeggini, valigie e cani.
Ci troviamo un posto per la notte, ci mettiamo le felpe perché l'aria condizionata è gelida e ci prepariamo a farci cullare e sballottare dall'Adriatico.
Il vento è fortissimo fuori e non lascia presagire una nottata tranquilla.

Le ore passano ma io non riesco a dormire.
Il mio cervello non ne vuole sapere di riposarsi e continua a saltellare da un pensiero all'altro.
"Appena arriviamo dobbiamo comprare la SIM e in Albania è sempre un bel casino" penso.
"Sì ma prima dobbiamo cambiare i soldi" sottolinea una vocina nella mia testa.
"Ma che freddo fa qui dentro, è già inverno? Per fortuna ci siamo portati anche la polenta oltre la pasta" ribatte una terza vocina.
"Era ora di lasciare l'Italia! Reggere la pressione italica stava diventando complicato."
"Dai che adesso ci rilassiamo e possiamo lasciare andare un po' lo stress"
"Sì ma stavolta in Italia, rispetto alle volte precedenti, siamo stati anche meglio. Sarà stato perché ci siamo mangiati tutte quelle granite!"
"No, no è perché abbiamo fatto i viaggiatori in Italia e non gli italiani in Italia."
Sssssshhhhh mi esce dalla bocca.
Paolo accanto a me non si è accorto di niente.
Sta russando quindi i pochi rimasti svegli sul traghetto penseranno che ce l'ho con lui e non con tutte le vocine nella mia testa che si rimbalzano in un botta e risposta che nemmeno Sinner e Alcaraz.
Quando non dormo la notte finisce sempre così, sono queste pettegole di vocine che devono commentare tutto anche quello che ancora deve succedere.
Tornare in Albania è un po' come sbarcare a casa. Questa parte d'Europa, quella dei Balcani, ci fa sempre sentire più leggeri ma anche più profondi. Stare ore seduti davanti a un caffè diventa il nostro hobby preferito. Il tempo a quel tavolino sembra assumere una velocità diversa, non corre più e non sorpassa con la doppia linea continua ma abbassa il finestrino, mette fuori il braccio e si gode il paesaggio.
L'Albania, il Paese delle aquile con le bandiere rosse e nere che sventolano dai pali dei bazar affollati.
Non è più la stessa. L'ho letto e sentito dire spesso ultimamente.
È cambiata, è vero. Me ne accorgo dalla quantità di gente al mare. Sono sbucati lidi dove qualche anno fa c'erano distese deserte di spiagge libere.
Fioriscono ombrelloni, ristoranti e locali.
E l'Albania cambia faccia, cresce, si riempie. Le strade si asfaltano, le gallerie diventano scorciatoie.
Mi manca un po' l'Albania di qualche anno fa ma allo stesso tempo sono felice per la nuova vita che sta facendo questo Paese. Se lo merita dopo tutto quello che ha passato.
La Nord Corea d'Europa. Era chiamata così l'Albania, chiusa in una dittatura logorante che tagliava tutti i ponti con l'esterno, tranne la TV che illegalmente trasmetteva i programmi della Rai.

"Mi sa che non c'era bisogno di tutta quella pasta" dico a Paolo mentre giriamo tra gli scaffali di un piccolo supermercato.
Ci sono penne e spaghetti in quantità, c'è persino la passata. Ma mancano i tortiglioni (vale come scusa?).
Si trova tutto e già lo sapevamo. Certo l'olio d'oliva ha prezzi proibitivi e a guardare bene si spende più qui che in Italia, ma non si rischia una crisi d'astinenza da carboidrato.
L'Albania è cambiata, adesso si trova tutto.
Ma stavolta cambiamo anche noi.
Lasciamo la costa che già conosciamo e ci inoltriamo nell'entroterra per scoprire un volto diverso di questo Paese.
Tra i monti, dove volano le aquile, l'aria è più leggera e le strade raccontano una storia diversa.
Una signora si avvicina al finestrino della macchina. Mi guarda. La osservo.
Ha la testa coperta da un foulard bianco.
Le mani rugose di chi ha passato una vita a lavorare nei campi. Mi ricorda mia nonna.
Mi parla in albanese e io non la capisco.
Le dico "Italia" intuendo una sua possibile curiosità.
Mi sorride. Ci prendiamo la mano per qualche istante. Ci salutiamo.
Sì, l'Albania non è più la stessa. Corre veloce, come tutti noi.
Ma in un mondo che si affanna verso chissà quale obiettivo a me piace pensare che la vera rivoluzione sia fermarsi: sedersi al tavolino di un bar a bere un caffè, stringersi la mano, non capirsi ma sorridersi.
PS: no, a me la pasta al pomodoro non piace più di tanto (tortiglioni esclusi!)
Sei barattoli di salsa di pomodoro in vetro. Di quelle già pronte che devi solo svitare e versare. Ho dovuto fermare Paolo altrimenti ne avrebbe prese almeno il doppio.
Un litro di olio di oliva, rigorosamente extravergine.
Un sacchetto di taralli come souvenir dalla Puglia.
Guardo la dispensa che abbiamo in macchina. Siamo italiani semplici: partiamo per l'estero solo con lo stretto indispensabile.
Pasta e salsa, what else?
Alla frontiera agli ufficiali basterebbe aprire una portiera per capire da dove veniamo, anche senza chiederci i documenti.
È la prima volta che ci portiamo una scorta di cibo "da casa", sarà che abbiamo bisogno di un lento e graduale distacco dal glutine dopo 3 mesi italiani.
Saliamo sul traghetto da Brindisi, destinazione Valona in Albania. Parcheggiamo la macchina al secondo piano seguendo le istruzioni dettagliate del personale. Sono nervosi e urlano tra loro, con i passeggeri, con le auto. Qualcuno ha parcheggiato la sua Mercedes proprio davanti alla porta per salire ai piani superiori. Si deve fare uno slalom strettissimo per aggirarla e non è semplice con passeggini, valigie e cani.
Ci troviamo un posto per la notte, ci mettiamo le felpe perché l'aria condizionata è gelida e ci prepariamo a farci cullare e sballottare dall'Adriatico.
Il vento è fortissimo fuori e non lascia presagire una nottata tranquilla.

Le ore passano ma io non riesco a dormire.
Il mio cervello non ne vuole sapere di riposarsi e continua a saltellare da un pensiero all'altro.
"Appena arriviamo dobbiamo comprare la SIM e in Albania è sempre un bel casino" penso.
"Sì ma prima dobbiamo cambiare i soldi" sottolinea una vocina nella mia testa.
"Ma che freddo fa qui dentro, è già inverno? Per fortuna ci siamo portati anche la polenta oltre la pasta" ribatte una terza vocina.
"Era ora di lasciare l'Italia! Reggere la pressione italica stava diventando complicato."
"Dai che adesso ci rilassiamo e possiamo lasciare andare un po' lo stress"
"Sì ma stavolta in Italia, rispetto alle volte precedenti, siamo stati anche meglio. Sarà stato perché ci siamo mangiati tutte quelle granite!"
"No, no è perché abbiamo fatto i viaggiatori in Italia e non gli italiani in Italia."
Sssssshhhhh mi esce dalla bocca.
Paolo accanto a me non si è accorto di niente.
Sta russando quindi i pochi rimasti svegli sul traghetto penseranno che ce l'ho con lui e non con tutte le vocine nella mia testa che si rimbalzano in un botta e risposta che nemmeno Sinner e Alcaraz.
Quando non dormo la notte finisce sempre così, sono queste pettegole di vocine che devono commentare tutto anche quello che ancora deve succedere.
Tornare in Albania è un po' come sbarcare a casa. Questa parte d'Europa, quella dei Balcani, ci fa sempre sentire più leggeri ma anche più profondi. Stare ore seduti davanti a un caffè diventa il nostro hobby preferito. Il tempo a quel tavolino sembra assumere una velocità diversa, non corre più e non sorpassa con la doppia linea continua ma abbassa il finestrino, mette fuori il braccio e si gode il paesaggio.
L'Albania, il Paese delle aquile con le bandiere rosse e nere che sventolano dai pali dei bazar affollati.
Non è più la stessa. L'ho letto e sentito dire spesso ultimamente.
È cambiata, è vero. Me ne accorgo dalla quantità di gente al mare. Sono sbucati lidi dove qualche anno fa c'erano distese deserte di spiagge libere.
Fioriscono ombrelloni, ristoranti e locali.
E l'Albania cambia faccia, cresce, si riempie. Le strade si asfaltano, le gallerie diventano scorciatoie.
Mi manca un po' l'Albania di qualche anno fa ma allo stesso tempo sono felice per la nuova vita che sta facendo questo Paese. Se lo merita dopo tutto quello che ha passato.
La Nord Corea d'Europa. Era chiamata così l'Albania, chiusa in una dittatura logorante che tagliava tutti i ponti con l'esterno, tranne la TV che illegalmente trasmetteva i programmi della Rai.

"Mi sa che non c'era bisogno di tutta quella pasta" dico a Paolo mentre giriamo tra gli scaffali di un piccolo supermercato.
Ci sono penne e spaghetti in quantità, c'è persino la passata. Ma mancano i tortiglioni (vale come scusa?).
Si trova tutto e già lo sapevamo. Certo l'olio d'oliva ha prezzi proibitivi e a guardare bene si spende più qui che in Italia, ma non si rischia una crisi d'astinenza da carboidrato.
L'Albania è cambiata, adesso si trova tutto.
Ma stavolta cambiamo anche noi.
Lasciamo la costa che già conosciamo e ci inoltriamo nell'entroterra per scoprire un volto diverso di questo Paese.
Tra i monti, dove volano le aquile, l'aria è più leggera e le strade raccontano una storia diversa.
Una signora si avvicina al finestrino della macchina. Mi guarda. La osservo.
Ha la testa coperta da un foulard bianco.
Le mani rugose di chi ha passato una vita a lavorare nei campi. Mi ricorda mia nonna.
Mi parla in albanese e io non la capisco.
Le dico "Italia" intuendo una sua possibile curiosità.
Mi sorride. Ci prendiamo la mano per qualche istante. Ci salutiamo.
Sì, l'Albania non è più la stessa. Corre veloce, come tutti noi.
Ma in un mondo che si affanna verso chissà quale obiettivo a me piace pensare che la vera rivoluzione sia fermarsi: sedersi al tavolino di un bar a bere un caffè, stringersi la mano, non capirsi ma sorridersi.
PS: no, a me la pasta al pomodoro non piace più di tanto (tortiglioni esclusi!)
Angela (e Paolo)