In viaggio a tempo indeterminato/392: vita sulle Dolomiti Lucane

Me li immagino di inverno alcuni posti.
Con la neve alta, il ghiaccio sulle strade, il cielo scuro.
Con il fumo che esce dai camini, i lampioni che non illuminano abbastanza, le luci dietro le finestre appannate.
"Qui tutti parcheggiano nella galleria della provinciale. Lì almeno non nevica e verso Potenza passa il comune a pulire la strada".
Ci racconta la signora della casa davanti alla fontanella dove ci siamo fermati a prendere un po' di acqua fresca e a bagnarci il viso.
(Ammetto che ogni volta che faccio il gesto di bere da una fontana, mi sento dentro uno di quegli inutili servizi estivi di Studio Aperto su come sopravvivere alla calura estiva!)
È strano pensare alla neve quando ci sono 35 gradi e persino le creste di roccia sopra il paesino di Castelmezzano sembrano accaldate.
Eppure, in un certo senso, mi fa sopportare di più le temperature bollenti sapere che non dureranno ancora per molto.
"L'anno scorso ho spostato il letto in cantina per avere un po' più fresco, solo che alla fine faceva troppo freddo e mi sono presa un raffreddore." 
Continua a raccontarci la signora incalzata dalle nostre domande su come si vive nel bel mezzo delle Dolomiti Lucane.
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Ridiamo tutti insieme e le nostre voci riempiono il silenzio di quel paesino.
"Oggi è così tranquillo perché il 'volo dell'angelo' è chiuso e non ci sono turisti" incalza lei che ormai credo ci legga nel pensiero.
Sta parlando della teleferica che collega Castelmezzano con Pietrapertosa, due paesini che si guardano da sempre ma che solo di recente si sono incontrati grazie a un cavo di acciaio.
La strada che li collega in passato c'era ma per delle frane è stata chiusa. "Non si fida più nessuno a passarci, anche se ai residenti è consentito."
Bisogna fare un "giro largo" adesso per andare da una località all'altra perché si deve scendere dalla montagna, prendere l'autostrada e risalire su un'altra montagna.
I tornanti scoraggiano molti ma il paesaggio attorno ricompensa decisamente lo sforzo di inclinare continuamente il volante.
E poi c'è un altro motore che spinge ad avventurarsi fin lassù: la curiosità.
Vedere con i propri occhi certi luoghi permette di capire che non c'è una vera risposta alla domanda: ma come caspiterina gli è venuto in mente di venire a vivere qui?

"Stasera fanno la processione con la statua della Madonna. Sto aspettando che passino davanti casa mia così dopo possiamo allestire la griglia per fare il barbecue." 
Ci indica l'angolo dove metteranno la brace, all'incrocio tra due stradine. "Tanto quella via è a fondo chiuso e non passa nessuno" aggiunge.
Ok, la signora ci legge nel pensiero, ormai è chiaro!
Salutiamo la simpatica castelmezzanese e ci incamminiamo per i vicoli in salita sperando che la signora non abbia letto anche i miei ultimi pensieri: "ci sarà un bar aperto per fare pipì?"
Un colpo improvviso di tamburo mi fa andare di traverso il sorso di caffè freddo che sto bevendo.
La processione è iniziata e la banda sta avvertendo tutti. Il suono rimbalza tra le montagne, si scontra con le rocce e torna indietro creando un effetto sonoro che fa immaginare la presenza di un'affollata orchestra.
I musicisti in piazza però sono pochi, meno di una ventina. Occhiali da sole e camicia bianca, suonano con un trasporto che mi stupisce.
La statua della Madonna esce dalla chiesa accompagnata da un piccolo corteo. La guardiamo allontanarsi tra le stesse stradine che abbiamo appena percorso.
Passa davanti a case che sembrano prolungamenti delle rocce sopra cui si poggiano.
Le persone si affacciano ai balconi, qualcuno fa il segno della croce. 
E io non riesco a non pensare alla signora della casa della fontanella che aspetta che tutti se ne vadano per allestire il barbecue.
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Il sole scende dietro la cresta di roccia più alta. L'aria ancora calda e pesante porta con sé l'estate che quest'anno non dà tregua nemmeno tra i monti.
Ma riesco a vedere la neve, le strade ghiacciate, il cielo grigio. Sento il silenzio che prende il posto dei tamburi e delle trombe della banda.
Le macchine parcheggiate nella galleria della strada principale.
La vita in un presepe incastonato tra i monti non deve essere semplice. È un equilibrio costante tra un raffreddore in cantina e una scivolata in un vicolo.
Eppure questi due borghi, Castelmezzano e Pietrapertosa, non sono mai stati completamente abbandonati. Qualcuno qui ha sempre vissuto nonostante le difficoltà.
Incoscienza, necessità o perseveranza... non so. Ma i motivi concreti sono tre:
1. Sicurezza
Questi borghi sono nati come luoghi di rifugio. Le guglie appuntite delle montagne hanno sempre difeso da attacchi di eserciti nemici. Persino quando interi villaggi della valle venivano devastati, chi viveva qui era più al sicuro.
2. Autosufficienza
Anche se la terra è scoscesa, le comunità coltivavano piccoli orti, allevavano animali e sfruttavano boschi e sorgenti. Bastava per sopravvivere, anche in epoche in cui commerciare o spostarsi era difficile.
3. Comunità
Le feste popolari come quella a cui abbiamo assistito, da sempre mantengono unite le famiglie. La vita ruotava attorno a tradizioni condivise e il senso di appartenenza era così forte che pochi sceglievano di lasciare definitivamente il paese.
"Qui si sta bene. È tutto più tranquillo, non si deve correre" ci aveva detto la signora castelmezzanese.
Guardo il paese illuminarsi nel buio della notte e sento un senso di serenità e tranquillità.
Ci vivrei qui?
Io il freddo non lo sopporto!
Angela (e Paolo)
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