In viaggio a tempo indeterminato/386: Catania e... chi se l'aspettava così!

Catania, un vulcano che la guarda dall'alto.
Catania, il mercato del pesce e l'elefante magico del centro.
Catania, il luogo dove la frase "sono a dieta" vola via verso il mare ancora prima di finire di pronunciarla.
Catania e le pernacchie lunghissime del signore al mercato.
Catania e... chi se l'aspettava così!
Ci sono città che sono "famose", turistiche, rinomate, popolate.
Tutti ne parlano, tanti le visitano, troppi le assalgono.
Venezia, Roma, Napoli e molte altre appartengono a questa categoria.
E poi c'è Catania che prima di venire in Sicilia non avevo mai incluso nel mio personale elenco dei "luoghi imperdibili".
Dopo esserci stata però, ho cambiato idea.

Catania, la storia è iniziata con una granita con la panna. Pistacchio e mandorla.
E una brioche con il tuppo, come la chiamano in Sicilia, rigorosamente da inzuppare.
Un pan brioche morbido e profumato la cui forma richiama la pettinatura che usavano le donne siciliane quando portavano i capelli raccolti in uno chignon.
Ogni cosa, in questa regione, ha un significato simbolico che va oltre l'apparenza e richiama un tratto distintivo di una cultura, quella siciliana, che affonda le sue radici in secoli di storia.
La granita non fa eccezione.
Per chi come me è cresciuto in Lombardia, la granita altro non è che ghiaccio tritato con uno sciroppo colorato. Giallo per il limone, rosso per la fragola e poi azzurro per... boh, qualcuno ha mai veramente capito cosa sia lo sciroppo azzurro?
La granita in Sicilia, invece, è un'altra cosa. È un dolce di un altro pianeta. Più fresco di un gelato, per niente acquoso e magicamente saporito. Si mangia a colazione, ma anche a pranzo, come merenda o a cena se si vuol stare leggeri. La panna non è obbligatoria ma è caldamente consigliata, soprattutto perché non esce da uno spray ma è montata a mano.
Una giornata che inizia con una bontà del genere non può che essere una gran giornata.
La granita siciliana è nata nel Medioevo, quando i "nivaroli" raccoglievano la neve dell’Etna per conservarla nelle neviere, delle profonde buche isolate con la paglia.
Questa neve veniva poi usata per raffreddare le bevande e per creare dei dolci ghiacciati. Gli Arabi, durante gli anni della loro dominazione, introdussero in Sicilia il sherbet, una bevanda ghiacciata aromatizzata, che ispirò i siciliani a mescolare neve, sale e succhi di frutta. Ed è così che nacque la prima granita. È partito tutto dalla neve dell'Etna, c'è qualcosa di più poetico? 
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Dopo la dolcezza ghiacciata, abbiamo iniziato a esplorare la città, con lo sguardo aperto a immagazzinare meraviglie e lo stomaco pronto ad accogliere prelibatezze.
Via Etnea è l'arteria principale del centro di Catania. Spacca in due la città e conduce dall'Etna alla piazza del Duomo. Corre in mezzo a palazzi di pietra vulcanica scura, dove il barocco ha lasciato impronte ovunque.
Poi si apre su piazze piccole ma vive, o ampie e imponenti come quella del Duomo, con la Basilica di Sant'Agata che ti fa venire il torcicollo se decidi di osservarla in ogni suo minimo dettaglio.
Questa piazza all'apparenza può sembrare una delle tante splendide piazze d'Italia, ma in realtà nasconde due incredibili particolarità.
La prima è che ci passa sotto un fiume che poi appare sottoforma di fontana.
La seconda è che ospita un elefante.
Chiamato affettuosamente "Liotru" dai catanesi, è il vero simbolo della città.
Si tratta della statua in pietra lavica di un elefante e davanti alla "baroccosità" degli altri edifici della piazza, passa quasi inosservato.
Come scrivevo prima, però, in Sicilia tutto ha un significato più profondo. Quindi dietro una semplice statua di un elefante, si nasconde una leggenda.
Eliodoro, un personaggio realmente esistito vissuto nell'VIII secolo era un nobile catanese che desiderava diventare vescovo.
Non fu mai scelto per questo incarico quindi arrabbiato e deluso, iniziò a interessarsi alla magia nera.
Imparò arti occulte e incantesimi che gli permisero di creare un elefante magico di pietra con il quale era in grado di volare e spostarsi rapidamente tra varie città.
L'elefante magico, dopo la morte di Eliodoro, divenne un simbolo della città e un suo protettore. La leggenda vuole, infatti, che tenga lontano gli spiriti maligni e le calamità, proteggendo Catania anche dalle eruzioni dell'Etna.
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Dopo aver esplorato il centro della città, ci siamo ributtati sulle sue prelibatezze. A spingerci, non solo la golosità, ma anche la convinzione diffusa che per conoscere una città devi anche assaggiare le sue bontà.
Lo so, qualcuno deve pur farlo!
Non potevamo tirarci indietro dall'assaporare due grandi classici siciliani: l'arancino e il cannolo.
Partiamo dal salato. Da quella palla, o cono, fritto fatto di riso, sugo, carne o melanzane.
Se l'arancia è un frutto che fa bene e che apporta vitamina C, l'arancino è una pietanza non poi così salutare ma che apporta felicità ad ogni morso.
Il nome è solo per la sua forma arrotondata, non per altre somiglianze con il frutto. E la sua origine sarebbe legata alla necessità di trasportare comodamente il riso. Una specie di takeaway ante litteram.
Il cannolo, invece, ha tutta un'altra origine.
Sta per iniziare una storia vietata ai minori che mai mi sarei immaginata. (Lo so, sono una ragazza ingenua perché in effetti la forma del cannolo è piuttosto eloquente!).
Secondo la tradizione, i cannoli sarebbero nati in un harem arabo nei pressi di Caltanissetta.
Le donne, nei lunghi periodi di assenza dei mariti, erano solite preparare dolci afrodisiaci per emulare forme e simboli di fertilità.
La forma fallica del cannolo parla chiaro e il ripieno non è certo da meno.
Dopo la fine del dominio arabo in Sicilia, alcune delle donne dell'harem si rifugiarono nei conventi e portarono avanti la preparazione di questo dolce, preparato soprattutto per il carnevale.
Ed è grazie a loro che noi oggi possiamo gustarci questa prelibatezza ripiena di ricotta di pecora.
Non so se il cannolo sia realmente afrodisiaco, quello che so però, è che mangiarlo è una vera goduria!
Angela (e Paolo)
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