Drug Valley: chiesti 9 anni per un presunto pusher, accusato anche di estorsione

9 anni di reclusione e 37 mila euro di multa è la pesante pena finale chiesta dalla Procura della Repubblica di Lecco per S.B. (ad oggi agli arresti domiciliari), rinviato a giudizio lo scorso luglio dal gip Salvatore Catalano, al termine dell'inchiesta “Drug Valley 2022”.
L'operazione, portata avanti dalla Squadra Mobile della Questura di Lecco con il coordinamento della Procura della Repubblica, aveva consentito di smantellare un radicato giro di spaccio in Valsassina, attivo in particolar modo fra i comuni di Cremeno, Ballabio, Barzio e Cassina. 21 mila le cessioni stimate dagli inquirenti, nel quadriennio fra il 2019 e il 2023.
tribunalestalkinglesioni.jpg (95 KB)
Cinque le ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse al termine dell'attività di indagine e una dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, cui sono conseguite due rinvii a giudizio e tre patteggiamenti rispettivamente a 4 anni per S.I., italiano classe 1976, 3 anni e 6 mesi per A.R., classe 1966, e 2 anni e 8 mesi per l'albanese del 1986 A.K.
Venerdì, dopo aver sentito l'ultimo testimone previsto dal contraddittorio, il giudice Bianca Maria Bianchi ha invitato le parti ad avanzare le proprie conclusioni.
Ripercorrendo la corposa istruttoria dibattimentale e le sue risultanze, il sostituto procuratore Chiara Stoppioni ha delineato la propria convinzione della dimostrata responsabilità penale dell'imputato: “in paese tutti sapevano che avvenivano queste cessioni” ha dichiarato il pm titolare del fascicolo, che, rileggendo le trascrizioni del dibattimento, ha sottolineato come i metodi e i luoghi dello spaccio siano stati confermati da almeno una quindicina di presunti clienti dell'odierno imputato.
Sarebbe stata anche provata la contestazione dell'estorsione avvenuta ai danni di una cliente abituale: dopo aver accumulato un cospicuo debito nei confronti dell'imputato, acquisto dopo acquisto, la donna sarebbe stata alla fine costretta, dietro minaccia, a vendere il proprio appartamento, oltre a contrarre matrimonio con un parente di S.B., con le pressioni di altri soggetti.
Profilo rilevante per l'istruttoria è stata anche la reticenza mantenuta da diversi dei testimoni chiamati in aula in merito alla vicenda giudiziaria: diversi avevano deciso di ritrattare dopo aver appreso di essere indagati per falsa testimonianza, mentre con il succedersi delle udienze altri soggetti, molti escussi dietro ad un paravento per loro volontà, apparivano restii nel raccontare quanto realmente accaduto (almeno questo secondo la pubblica accusa).
Un elemento che secondo il pubblico ministero non dovrebbe essere valutato in termini di inattendibilità delle testimonianze, quanto come prova del clima intimidatorio in cui versavano le persone intervenute davanti al giudice.
Oltre alla sanzione detentiva e pecuniaria, l'accusa ha anche chiesto la confisca della somma di denaro sequestrata presso l'immobile dell'imputato (1900 euro) nel momento è cui stata eseguita la custodia cautelare, sia il profitto delle cessioni (quantificato in 180mila euro). 
Di tutt'altro avviso la difesa, che si è battuta per l'assoluzione dell'uomo con la formula “perché il fatto non sussiste”: secondo l'avvocato Sabbi, infatti, non sarebbe stata provata oltre ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità del proprio assistito, anche a fronte di una lacunosità dell'indagine, che non avrebbe trovato riscontri probatori. Questo vale sia per le cessioni di cocaina, sia per le minacce e per la presunta estorsione, di cui, oltre alle testimonianze, non vi sarebbero ulteriori tracce: “non abbiamo sequestri, non abbiamo immagini, non abbiamo intercettazioni, solo testimonianze a provare l'attività di spaccio” ha rimarcato il legale.
Al termine delle requisitorie il giudice Bianchi ha rinviato al prossimo mese per repliche e sentenza.
F.F.
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.