Lecco: il dialetto torna sotto i riflettori con le schede del 'Vocabolario' donate alla Biblioteca

Dieci anni di lavoro condensati in cinquantamila schede conservate fino a oggi come un ricordo famigliare e ora a disposizione di tutti. Sono le schede servite per la compilazione del Vocabolario del dialetto lecchese pubblicato dall’editore Cattaneo in una prima edizione nel 1992 e in una seconda nel 2001. Schede donate alla biblioteca civica da Donatella e Giuliana Biella, figlie di Angelo Biella che è tra gli autori del Vocabolario con la moglie Luciana Mondini, con Gianfranco Scotti e con Virginia Favaro Lanzetti. E proprio la casa di Angelo e Luciana è stata per anni il quartier generale del gruppo di lavoro.
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La donazione è stata presentata ufficialmente ieri in un incontro tenutosi presso la stessa biblioteca civica intitolata a quell’Uberto Pozzoli che in qualche maniera a un suo posto in quella che la direttrice Simona Sanna ha definito una storia meravigliosa, che ricorda quella degli amanuensi che preservavano dall’oblio i testi classici, mentre in questo caso si sono salvate parole che altrimenti sarebbero state dimenticate.
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Giuliana e Donatella Biella

All’incontro ha portato il suo saluto anche l’assessore comunale Simona Piazza sottolineando come questa donazione sia una sorta di completamento dell’opera. Naturalmente, nel catalogo della biblioteca civica è presente il Vocabolario, «ma ora le schede sono a disposizione dei ricercatori che ne faranno richiesta».
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Simona Piazza

E’ stato poi Gianfranco Scotti a ricordare la genesi e la realizzazione dell’opera.
Il Vocabolario riguarda il dialetto parlato a Lecco città secondo i confini dell’unificazione avvenuta nel 1924, dunque cento anni fa esatti: «Al tempo dell’unificazione, il dialetto di Lecco era ben vivo, ma c’erano molte differenze da rione a rione: quello del borgo era più vicino al brianzolo, quello di Maggianico risentiva delle influenze bergamasche, a Laorca quelle valsassinesi. E c’erano differenze addirittura tra Olate e Varigione».
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Gianfranco Scotti
Scotti ha ricordato come alla realizzazione di un Vocabolario lecchese avesse pensato a lungo per poi accantonare l’idea di fronte a un lavoro che si presentava improbo. Fino alla svolta di una vacanza marina: «Nel luglio 1982 andammo in vacanza io, Angelo Biella che era un uomo colto e un musicista, sua moglie Luciana e Mariuccia Gnecchi. Un giorno parlai di quel progetto abbandonato. Fu proprio Angelo a dire che non si doveva lasciar perdere, mettendosi a disposizione: “Sono in pensione, il tempo ce l’ho”. Tornati a Lecco coinvolgemmo anche Virginia Favaro Lanzetti, conosciuta come nonna Gina, preziosa ricercatrice di tradizioni, storie e proverbi locali. Per qualche tempo con noi ci fu anche Pino Pozzoli, figlio di Uberto, e anche un giovane universitario, Celeste Pozzi. Allora i computer erano oggetti misteriosi. L’unico modo per catalogare i vocaboli era servirsi di schede. Come si faceva nell’Ottocento, come fece Francesco Cherubini nel compilare quel fondamentale Vocabolario del dialetto milanese».
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«Il primo ostacolo – ha continuato Scotti – è stato la grafia. Non esiste una regola. Anzi, ne esistono troppe, secondo il gusto di ciascuno. Abbiamo elaborato una grafia vicina al parlato. Poi abbiamo indagato i linguaggi settoriali: la caccia, la pesca, il lavoro. E allora abbiamo incontrato cacciatori, pescatori, artigiani… Quindi è stata la volta dei nostri poeti dialettali, Luigi Manzoni e Uberto Pozzoli, dai quali abbiamo ricavato una grande messe di parole. In due anni di lavoro abbiamo raccolto duemila lemmi. Due o tre volte alla settimana ci si ritrovava poi a casa di Angelo e Luciana a lavorare. Abbiamo consultato il “Cherubini” per il milanese e lo “Zingarelli” parola per parola, poi i testi dialettali. E abbiamo compilato 50mila schede».
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A lavoro non ancora concluso, nel 1986 Angelo Biella morì: «Perdevamo un amico e un collaboratore prezioso, ma decidemmo di continuare». Nel 1990, il momento della pubblicazione, «con una difficoltà che ci mise in crisi, dovevamo trasferire tutti i dati sul computer. Nessuno di noi era in grado». Scotti chiese un aiuto a Giovanni Zecca che mise a disposizione un proprio tecnico che affiancò il gruppo di lavoro per un anno, mentre Luciana Mondini imparò a usare il sistema informatico di allora. Non solo traduzione dei vocaboli, però: attenzione anche all’etimologia, alla grammatica e alla fonetica con il contributo di Giorgio Bosoni.
«Una fatica durata dieci anni – ha concluso Scotti –, ma è stato gratificante. E ci siamo anche divertiti, abbiamo passato momenti belli. Speriamo che questo Vocabolario possa ancora essere un punto di partenza per altri approfondimenti. Per gli studiosi, il dialetto lecchese è particolarmente interessante perché rappresenta un punto di incontro di influenze differenti».
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Donatella Biella
Donatella e Giuliana Biella hanno poi inanellato una serie di ricordi.
«Noi eravamo giovani – ha detto Donatella – e il dialetto non ci interessava. Certo, lo si parlava in famiglia. E ricordo la “stelascia d’or” con cui nostra zia si rivolgeva a noi nipoti; i nonni parlavano solo in dialetto, ma i genitori con noi parlavano solo in Italiano. E i parenti della mamma erano padovani e parlavano solo il dialetto veneto. La mamma, ecco la mamma con il suo essere così ospitale aveva trasformato quegli incontri in una vera festa e per dieci anni la nostra casa si è riempita di parole, proverbi, mestieri. Ricordo l’entusiasmo di nonna Gina e di papà nel rievocare una serie di  cose, la competenza di Scotti e le tante risate alle sue barzellette. Il fatto è che la nostra casa era molto piccola e così, quando “c’era il dialetto” non si andava a letto finché non si era finito. Ogni volta, quattro ore di lavoro. E oggi penso alle stelle di Angelo, Luciana e Gina che brillano nel cielo…».
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Giuliana Biella
«Noi ragazze – ha aggiunto Giuliana – avevamo il compito di spostare le schede dalla sala alla cucina e viceversa. C’erano entusiasmo, allegria, un clima amichevole. E quando si lavora con letizia tutte le cose si alleggeriscono e diventano un piacere».
In quanto alla donazione – ha continuato – non è una decisione arrivata subito. «Prima le schede erano conservate nella cantina di mia sorella. Poi, due anni fa, le abbiamo spostate nel mio garage. Per noi, il valore di quelle schede era legato al ricordo dei nostri genitori. La decisione di donarle è arrivata da un suggerimento di un nostro amico che ci ha aperto una finestra, ce le ha fatte guardare con un occhio diverso. Quelle schede sono tornate a riprendere vita. Altrimenti sarebbero rimaste a invecchiare in garage. Quando Simona Sanna è venuta a prenderle, le abbiamo detto che con quelle schede se ne stava andando un pezzo di noi. E lei ci ha risposto che no, non se ne stavano andando, semplicemente cambiavano solo casa. Ecco, ora sono a disposizione di tutti».
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Simona Sanna

Si è poi discusso con il pubblico sul destino ormai segnato del dialetto, una lingua destinata a scomparire: «Fra cinquant’anni non lo si saprà neppure più leggere».
L’incontro si è concluso con l’esibizione della Corale di San Giovanni, fondata nel 1974 proprio da Angelo Biella, che ha eseguito un brano del maestro lecchese Francesco Sacchi.
D.C.
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