Lecco: Tavola e Puglisi 'interpretano' Chiappori e Fiaba

Una parentesi, forse. Eppure, quei colori e in quelle forme che ritornano figura dopo un periodo d’astrazione racchiudono una svolta, la metamorfosi di un artista, che quegli stessi colori e forme riporterà poi nuovamente all’astrazione. E chissà se c’era consapevolezza nello scegliere d’illustrare una fiaba – “la” Fiaba – che di metamorfosi parla. Ci si pensa dopo la conferenza di ieri alla biblioteca civica di Lecco dedicata all’artista Alfredo Chiappori e si suoi disegni per la “Fiaba” di Wolfgang Goethe. Si trattava di uno dei due incontri collaterali alla mostra allestita fino alla fine dell’anno alla stessa “Pozzoli” nella quale è esposta una ventina dei pastelli realizzati da Chiappori per l’edizione Mondadori del 1987 dell’opera di Goethe.
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Simona Sanna con gli ospiti della serata

Introdotti dalla direttrice della biblioteca Simona Sanna e dalla figlia di Chiappori, Sara, moderati dal giornalista Gianfranco Colombo, a parlare dell’artista lecchese e della “Fiaba” sono stati Michele Tavola (critico e storico dell’arte, già assessore alla cultura al Comune di Lecco) e Claudio Puglisi (uomo di teatro che si occupa ora di formazione del linguaggio).
E’ stato Colombo a introdurre i relatori parlando di parentesi e continuità nell’opera di Chiappori.
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Michele Tavola

Dopo di che, Tavola ha offerto un ritratto dell’artista nato nel 1943 e morto nel 2022, la cui fama è legata soprattutto alla sua attività di disegnatore satirico con, tra le altre cose, l’invenzione negli anni Sessanta di quel personaggio quasi mitico che è stato “Up il sovversivo”. «Ma Alfredo Chiappori – ha aggiunto – è stato molto di più: uno scrittore, un pittore, un animatore culturale che ha portato a Lecco esperienze teatrali come Jerzy Grotowsky e l’Odin Teatret. Una personalità articolata, complessa, ampia».
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Come pittore si è formato con Orlando Sora che pare strano guardano a due esperienze artistiche così divergenti, ma ciò spesso accade con gli allievi che intraprendono strade differenti da quelle dei maestri. Nei primi Ottanta, Chiappori dipinge tele “monumentali”, il genere è un’astrazione geometrica che sembrano voler tradurre in un altro linguaggio quello musicale o quello filosofico in un rapporto tra forme e colori di grande rigore. Nei primi anni Novanta, invece, comincia l’illustrazione dei testi biblici: l’Apocalisse, i Salmi, il Qoelet. Siamo ancora nell’astrazione, ma sembrano passati secoli dal precedente periodo, ci sono una libertà di gesto e un lirismo che vogliono dipingere qualcosa che abbia un diverso afflato spirituale. 
«In questo cambiamento – le parole di Tavola – vedo rispecchiarsi un periodo storico, quegli anni dopo la caduta del muro di Berlino quando si guardava alla possibilità concreta di un mondo nuovo».
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Tra una fase e l’altra si colloca appunto la “Fiaba”, ma non è una parentesi. E vero che è una pittura figurativa, molto figurativa, «ma provate a dimenticare il significato – l’esortazione – a dimenticare il racconto, la trama, guardate semplicemente i colori e le forme: vedrete quel colore puro e intenso che caratterizzerà tutte le opere bibliche dei tre decenni seguenti».
Quel colore puro e intenso per il quale il cardinale Gianfranco Ravasi ha usato la formula di «esegesi cromatica», definizione della quale Chiappori andava molto fiero. La citazione di Ravasi non è casuale, avendo introdotto con propri testi le edizioni bibliche illustrate da Chiappori. 
Nelle illustrazioni bibliche e nell’incontro tra l’artista e il cardinale – ha ricordato Colombo – giocò un ruolo padre Davide Maria Turoldo: fu lui a spingere Chiappori verso l’Apocalisse e fu ancora lui a portare le illustrazioni a Ravasi. Il quale, appunto, se ne uscì con quella definizione.
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Claudio Puglisi
Da parte sua, Puglisi, che in qualità di attore ha più volte letto pubblicamente la ”Fiaba” di Goethe, si è concentrato sull’opera dello scrittore e filosofo tedesco e di quella sua “teoria dei colori” che sarebbe stata poi interpretata dall’austriaco Rudolph Steiner  e che molto ha affascinato Chiappori: «Quando Goethe parla di colori, non parla solo di colori, ma di quello che avviene nell’animo dell’uomo che a sua volta lo imprime nella materia».
La fiaba è una fiaba, ma riflette il pensiero della società segreta alla quale Goethe apparteneva. Così come fece Wolfgang Amadeus Mozarti nel “Flauto magico”. Si parla di massoneria, dunque, si parla di conoscenza.
La “Fiaba” racconta di un gruppo di personaggi che passano attraverso una metamorfosi, di due territori incomunicanti che si uniscono, ma perché ciò avvenga è necessario un sacrificio che è un gesto d’amore.
Goethe muore nel 1832 e negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento, Steiner si occupa della pubblicazione delle opere scientifiche del pensatore tedesco che era un faro significativo della cultura europea. Una quindicina di anni più tardi, Steiner cerca di renderne comprensibili il linguaggio simbolico, trasformarlo in significativo. La “Fiaba” diventa così uno strumento per comprendere le cose. «Quando siamo di fronte a qualcosa, possiamo accorgecene con un’intuizione e poi cercare di decifrarlo. E poi tornare alla percezione per sollecitare una nuova intuizione corroborati da quanto abbiamo elaborato. Un processo infinito»
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E in ciò si ritrova anche quel concetto di “arte totale” al quale guardava lo stesso Chiappori, per riattivare la nostra partecipazione a qualcosa che non fosse specialistico, un’esigenza di vedere la creazione artistica dell’essere uomo, una creazione che abbiamo perso di vista, noi che siamo fruitori e non partecipi degli spettacoli a cui assistiamo.
Spazio anche a un paio di aneddoti. Uno lo ha raccontato Michele Tavola, ricordando quando si stava allestendo il museo di Palazzo delle paure e si era alle prese con una delle “monumentali” tele del primo periodo di Chiappori: “Tessitura di luce”, una tela che si portava via un’intera parete: «Gli chiesi se non fosse meglio sostituire quel quadro con altre quattro opere di minori dimensioni. Non ne volle sapere. Anzi, disse che avevamo anche un’altra tela di quelle dimensioni e avremmo dovuto esporre anche quella. Alla fine, lui fece un mezzo passo indietro e io uno e mezzo. Finì che ne esponemmo una a Palazzo delle paure e l’altra l’appendemmo nella sala giunta del Palazzo comunale. Credo che ne rimase contento. E oggi penso avesse ragione lui».
Gianfranco Colombo ha invece rievocato un episodio relativo al periodo in cui Alfredo Chiappori era vicepreside al liceo scientifico “Grassi”: «Un giorno, in una classe Quinta mancava un professore e gli studenti andarono in presidenza a chiedere di poter uscire prima. Chiappori li guardò con quello sguardo torvo che era solito lanciare in certe occasioni, non disse nulla e si mise disegnare: alla fine consegnò agli studenti il foglio su cui vi era raffigurato un omino impegnato nel gesto dell’ombrello».
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In piedi Sara Chiappori

Ma di aneddoti e del Chiappori uomo si parlerà nell’incontro programmato per sabato 30 novembre alle 18,30 sempre in biblioteca. La figlia Sara parlerà appunto di Chiappori come papà, mentre Walter Castelnuovo si concentrerà sulle esperienze teatrali e l’ex direttore dei musei lecchesi Gianluigi Daccò se ne occuperà sul versante dell’amicizia avendone del resto già scritto nel romanzo “La Signora del gioco” pubblicato due anni fa. Si parla di stregoneria e di stregati, con un titolo che richiama quel “Domina ludi” (la signora del gioco, appunto) che fu uno spettacolo teatrale ideato da Chiappori all’epoca in cui diresse il Teatro Sociale di Lecco al quale affiancò un centro di sperimentazione. Infine, il medico Fabio Dodesini ricorderà gli anni trascorsi come allievo al liceo scientifico, quando Chiappori era docente (e per un periodo, come detto, anche vicepreside).
D.C.
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