Tracce da boomer: il "diario segreto" e le ovvietà sulla Guerra Fredda nei temi di maturità proposti dal Ministero
Il tema di maturità era in pieno svolgimento e già gli organi di stampa e i blog del mondo della scuola riportavano apprezzamenti lusinghieri sulle tracce che quest’anno il Ministero dell’istruzione e del merito aveva pensato: autori “facili” (Ungaretti e Pirandello”, di quelli che chiunque riesce ad affrontare durante il “programma” di quinta, temi accattivanti (l’elogio dell’imperfezione, da uno stralcio di Rita Levi Montalcini, e il fascino del silenzio, da un testo di Nicoletta Polla-Mattiot).
Se criticassi la pregnanza di queste tracce così popolari rischierei di essere tacciato di saccenza, dunque mi autocensuro.
Sono altre due quelle ad avermi creato problemi.
Il MIM chiede ai candidati di commentare un testo di Giuseppe Galasso sulla cosiddetta “Guerra Fredda”. Un testo del 1998 irto di tutti i luoghi comuni così amati da una certa manualistica didattica e così rigettati dalla storiografia contemporanea. La deterrenza, l’equilibrio del terrore, la minaccia atomica come “garanzia di pace a scadenza indefinita”, la lotta alla proliferazione delle armi come “elemento sedativo”...: banalità che nessun insegnante di storia contemporanea oggi avallerebbe al di fuori – purtroppo – della manualistica scolastica.
“La pura logica dell’equilibrio di potenza – scrive Vittorio Emanuele Parsi in un saggio un po’ più recente del testo di Galasso – che la guerra fredda portava alla sua massima esaltazione, costituiva in realtà solo una parte della spiegazione della pace che garantiva. Ne era, appunto, la precondizione.” E continua, ne “Il posto della guerra e il costo della libertà” (Bompiani, 2022), riflettendo sul fatto che “per mantenere, perseguire e ristabilire l’equilibrio sono stati scatenati più conflitti che per le mire egemoniche di questa o quella grande potenza”. Dal secondo dopoguerra a oggi “Welfare State” e “Warfare State” si compenetrano, e la pace si mantiene grazie agli organismi democratici. Solo al Ministero sono rimasti al 1998 e sono convinti che la pace dipenda dall’equilibrio tra chi ha il missile più grosso dell’altro.
Ma poi viene la tipologia C, la “Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità”, e qui il Ministero ha dato il meglio. Prego di notare la parola “attualità”. Il Ministero chiede ai candidati di riflettere sui mutamenti delle forme di scrittura diaristica (il diario segreto) nell’era digitale. E per aiutare la stesura del tema propone un contributo di Maurizio Caminito del 2014. Del Duemilaquattordici. Cioè di dieci anni fa. Quando gli studenti che oggi siedono sui banchi dell’Esame di Stato avevano nove anni. Quando i “social” network erano altro rispetto a quelli di oggi, quando si usava facebook, che essenzialmente è una sorta di diario, cioè esattamente il social network che i giovani considerano “da boomer”, e che non frequentano.
La ricerca della facilità nelle tracce proposte quest’anno ha fatto cadere il Ministero nel trabocchetto della banalità e dell’anacronismo.
La lezione della storiografia degli “Annales” messa in subordine alla trita “histoire bataille” (i missili!), dieci anni di forsennato progresso tecnologico e informatico (vale a dire sociologico) saltati a piè pari per rimpiangere il fascino del “diario segreto […] scrigno segreto del tesoro variamente difeso dalla curiosità altrui”, che nessuno dei maturandi di oggi ha mai conosciuto.
Il Ministero è rimasto ai quaderni segreti chiusi dai lucchettini con la chiave di ottone o ai social come “narrazione mitopoietica di ciò che si vorrebbe essere”: una traccia che andava bene per i commissari quarantenni, al limite.
È rimasto a Ungaretti e Pirandello (en passant: due simpatizzanti fascisti). Tracce vecchie, che raccontano di una letteratura italiana ferma a cento anni fa (“Pellegrinaggio” di Ungaretti è del 1915, i “Quaderni di Serafino Gubbio operatore” di Pirandello del 1925), di una visione anchilosata del mondo, di una sostanziale lontananza dai giovani: “vecchi” non vuol dire “maturi”.
Poi erano tracce “facili”, per l’amor di Dio. Ma “facili” non vuol dire “belle”.
Se criticassi la pregnanza di queste tracce così popolari rischierei di essere tacciato di saccenza, dunque mi autocensuro.
Sono altre due quelle ad avermi creato problemi.
Il MIM chiede ai candidati di commentare un testo di Giuseppe Galasso sulla cosiddetta “Guerra Fredda”. Un testo del 1998 irto di tutti i luoghi comuni così amati da una certa manualistica didattica e così rigettati dalla storiografia contemporanea. La deterrenza, l’equilibrio del terrore, la minaccia atomica come “garanzia di pace a scadenza indefinita”, la lotta alla proliferazione delle armi come “elemento sedativo”...: banalità che nessun insegnante di storia contemporanea oggi avallerebbe al di fuori – purtroppo – della manualistica scolastica.
“La pura logica dell’equilibrio di potenza – scrive Vittorio Emanuele Parsi in un saggio un po’ più recente del testo di Galasso – che la guerra fredda portava alla sua massima esaltazione, costituiva in realtà solo una parte della spiegazione della pace che garantiva. Ne era, appunto, la precondizione.” E continua, ne “Il posto della guerra e il costo della libertà” (Bompiani, 2022), riflettendo sul fatto che “per mantenere, perseguire e ristabilire l’equilibrio sono stati scatenati più conflitti che per le mire egemoniche di questa o quella grande potenza”. Dal secondo dopoguerra a oggi “Welfare State” e “Warfare State” si compenetrano, e la pace si mantiene grazie agli organismi democratici. Solo al Ministero sono rimasti al 1998 e sono convinti che la pace dipenda dall’equilibrio tra chi ha il missile più grosso dell’altro.
Ma poi viene la tipologia C, la “Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità”, e qui il Ministero ha dato il meglio. Prego di notare la parola “attualità”. Il Ministero chiede ai candidati di riflettere sui mutamenti delle forme di scrittura diaristica (il diario segreto) nell’era digitale. E per aiutare la stesura del tema propone un contributo di Maurizio Caminito del 2014. Del Duemilaquattordici. Cioè di dieci anni fa. Quando gli studenti che oggi siedono sui banchi dell’Esame di Stato avevano nove anni. Quando i “social” network erano altro rispetto a quelli di oggi, quando si usava facebook, che essenzialmente è una sorta di diario, cioè esattamente il social network che i giovani considerano “da boomer”, e che non frequentano.
La ricerca della facilità nelle tracce proposte quest’anno ha fatto cadere il Ministero nel trabocchetto della banalità e dell’anacronismo.
La lezione della storiografia degli “Annales” messa in subordine alla trita “histoire bataille” (i missili!), dieci anni di forsennato progresso tecnologico e informatico (vale a dire sociologico) saltati a piè pari per rimpiangere il fascino del “diario segreto […] scrigno segreto del tesoro variamente difeso dalla curiosità altrui”, che nessuno dei maturandi di oggi ha mai conosciuto.
Il Ministero è rimasto ai quaderni segreti chiusi dai lucchettini con la chiave di ottone o ai social come “narrazione mitopoietica di ciò che si vorrebbe essere”: una traccia che andava bene per i commissari quarantenni, al limite.
È rimasto a Ungaretti e Pirandello (en passant: due simpatizzanti fascisti). Tracce vecchie, che raccontano di una letteratura italiana ferma a cento anni fa (“Pellegrinaggio” di Ungaretti è del 1915, i “Quaderni di Serafino Gubbio operatore” di Pirandello del 1925), di una visione anchilosata del mondo, di una sostanziale lontananza dai giovani: “vecchi” non vuol dire “maturi”.
Poi erano tracce “facili”, per l’amor di Dio. Ma “facili” non vuol dire “belle”.
Stefano Motta