In viaggio a tempo indeterminato/330: (in)sicurezza in Giappone
Il Giappone è quel Paese dove ti senti molto sicuro ma allo stesso tempo tanto insicuro.
È sicuro per le persone e quell'invidiabile senso civico che ti permetterebbe di lasciare ore e ore il telefono sul tavolo di un ristorante e poi tornare e trovarlo ancora lì.
È una bella sensazione quella di sentirsi tranquilli anche a uscire la sera o non aver pensieri quando si dorme in tenda.
"Love Is in the air" recitava una canzone, che in terra nipponica potrebbe essere rivista in "safety is in the air". Sì, decisamente meno poetica ma estremamente più pratica.
Penso sempre ai giapponesi che dopo aver viaggiato nel loro Paese magari decidono di farsi una vacanza in un altro Stato.
Credo siano davvero a rischio fregatura costante.
Non sto dicendo che fuori dal Giappone il mondo sia un posto brutto e cattivo, al contrario. Nella nostra esperienza il 99,9% delle volte ci siamo sempre sentiti al sicuro.
Quello che cambia è il livello di allerta da tenere. Aumentare il grado di attenzione permette di non incorre in spiacevoli inconvenienti. Quello però è il sesto senso a dirtelo o, nel caso sia temporaneamente fuori servizio, è l'esperienza a lanciare l'allarme.
Ma torniamo al Giappone perché non è tutto rose e fiori, o per restare in tema sakura e sushi (vabbè, non c'entrano nulla ma suonava bene).
Il Giappone è in una posizione geografica di quelle che mia nonna avrebbe definito "da fö de cö" che, tradotto per i non bergamaschi, equivale a folle.
Le isole che compongono la terra del Sol Levante si trovano infatti all'incrocio di ben quattro, e dico quattro, placche tettoniche.
Quando si dice avere un bel poker d'assi.
La placca pacifica, la placca delle Filippine, la placca euroasiatica e la placca nordamericana si incontrano tutte qui.
E la loro non è una rimpatriata amichevole...ecco, diciamo che non son qui per giocare a carte. Sono belle agitate le quattro placche e scorrono una contro l’altra, manco stessero pogando a un concerto ska anni 2000. Nel loro muoversi costante accumulano una forte tensione, che alla fine viene rilasciata sotto forma di terremoti.
Il Giappone quindi balla, balla parecchio.
A questo punto credo sia chiaro che non sto parlando delle danze tradizionali a cui abbiamo assistito a un festival una domenica pomeriggio. E il riferimento non è nemmeno alle mosse da cartone animato della girlband dalle voci mielose e stridule che si esibiva, stregandomi, in centro città.
Sto proprio parlando del piccolo "problemino" del Giappone che durante l'anno è sballottato da circa 5000 scosse di terremoto.
Per fortuna la maggior parte sono di bassa intensità e non vengono percepite dalla popolazione e, probabilmente, se vivi con un Paolo che la notte russa ne percepisci ancora meno perché sei più abituato alle vibrazioni (questa però è una mia teoria che non ha ancora una base scientifica!).
Leggere quel numero a 4 cifre devo ammettere che inizialmente un pochino di ansia me l'ha messa.
Ma poi mi sono anche resa conto di essere nel Paese più preparato del mondo ad affrontare questo tipo di calamità.
Per legge tutti gli edifici in Giappone devono rispettare standard antisismici e ogni famiglia deve avere in casa un kit che contenga una torcia, acqua e viveri necessari per sopravvivere in caso di disastro.
I centri di raccolta sono poi sparsi in modo capillare in tutto il Paese, così come i rifugi costruiti in alto dove ripararsi nel caso scatti l'allerta tsunami.
Sì perché, non l'ho ancora specificato, ma in alcuni casi i terremoti vanno a braccetto con i maremoti. Le onde alte provocate dallo spostamento delle placche, sono un rischio molto serio quando si vive su un'isola. Perché a volte lo si dimentica, ma il Giappone, anche se enorme, è pur sempre un insieme di isole dove un'altissima percentuale della popolazione vive sulle coste a pochi km dal mare.
Tsunami è il termine che viene utilizzato qui e che fa venire subito un brivido di terrore perché rievoca immagini drammatiche.
La prima volta che ho sentito questa parola, l'aveva pronunciata un giornalista al TG delle 20 quando raccontava delle altissime onde che si erano abbattute su Indonesia e Thaialndia nel Dicembre del 2004.
Avevano distrutto tutto, portando via con sé interi villaggi e lasciando scenari post apocalittici.
Qui in Giappone quella parola l'ho letta moltissime volte, accompagnata dal simbolo dell'onda alta e da frecce con la direzione da prendere in caso di allarme.
Vedere così spesso quel cartello in un certo senso ha ridotto il senso di paura che mi assaliva quando sentivo pronunciare quella parola. Come se lo rendesse qualcosa di non eccezionale ma "normale" e gestibile.
Lo so, un evento del genere di normale e gestibile ha ben poco perché l'uomo può cercare di mettere in atto tutte le misure di protezione possibili e immaginabili ma la padrona di casa resta pur sempre la natura che a volte è madre benovala e altre è forza inarrestabile.
Ne sono testimonianza i tragici eventi di inizio anno quando un terremoto e conseguente tsunami, hanno messo in ginocchio la costa nord ovest del Giappone.
Consapevole di tutto questo, devo ammettere che non l'ho vissuta proprio serenamente la scossa di magnitudo 6.6 che ci ha svegliato nella notte qualche giorno fa.
Erano le 23 e noi eravamo già belli addormentati nella nostra tenda posizionata sul morbido prato di un parco.
A un certo punto qualcosa mi sveglia, è una sensazione strana difficile da descrivere.
Poco dopo sento i corvi che iniziano a gracchiare e volare via dagli alberi attorno.
E quasi simultaneamente la terra sotto la tenda si mette a tremare.
Dura pochi secondi, giusto il tempo di svegliare anche Paolo.
Mentre la terra ancora sembra non essersi fermata, dagli altoparlanti parte una musica.
Non è una sirena d'allarme è più una canzoncina rilassante e tranquillizzante con registrata sopra una voce maschile che parla in tono calmo e pacato.
Guardo fuori dalla tenda per capire cosa fare.
Osservo gli altri campeggiatori per notare le loro mosse.
Nessuno reagisce.
Chi stava grigliando sul fuoco continua a girare lo spiedino.
Chi stava leggendo non alza nemmeno lo sguardo dal libro.
Qualcuno dorme e non ha nemmeno aperto la zip della tenda.
È come se per loro non fosse successo assolutamente nulla.
È vero, siamo in tenda, lontani da edifici e a km dal mare quindi decisamente al sicuro.
Ma quella scossa, non essendo abituati, ci ha scosso. (Lo so, pessimo gioco di parole)
Così, mentre tutti continuano imperterriti la loro serata in campeggio, noi ci mettiamo a consultare l'applicazione che abbiamo scaricato sul telefono e che aggiorna in tempo reale in caso di calamità.
Leggiamo la magnitudo della scossa, 6.6 ma nessun rischio tsunami. Per il momento le notizie non riportano danni a persone o cose.
E così ci richiudiamo nei nostri sacchi a pelo e proviamo a riprendere sonno.
"Io non so se riuscirei a vivere in un Paese così" dico a Paolo prima di chiudere occhio.
"Avrei troppe ansie, troppe incertezze. Terremoti, tsunami, alluvioni, tifoni, ragni velenosi, vespe giganti..."
"Guarda che queste cose ci sono ovunque e sono sempre più frequenti in molte parti del mondo. Qui almeno ne sono consapevoli e si sono preparati. Sinceramente io ho più paura a stare in quei luoghi dove pur sapendolo, non si fa nulla per prevenire".
È sicuro per le persone e quell'invidiabile senso civico che ti permetterebbe di lasciare ore e ore il telefono sul tavolo di un ristorante e poi tornare e trovarlo ancora lì.
È una bella sensazione quella di sentirsi tranquilli anche a uscire la sera o non aver pensieri quando si dorme in tenda.
"Love Is in the air" recitava una canzone, che in terra nipponica potrebbe essere rivista in "safety is in the air". Sì, decisamente meno poetica ma estremamente più pratica.
Penso sempre ai giapponesi che dopo aver viaggiato nel loro Paese magari decidono di farsi una vacanza in un altro Stato.
Credo siano davvero a rischio fregatura costante.
Non sto dicendo che fuori dal Giappone il mondo sia un posto brutto e cattivo, al contrario. Nella nostra esperienza il 99,9% delle volte ci siamo sempre sentiti al sicuro.
Quello che cambia è il livello di allerta da tenere. Aumentare il grado di attenzione permette di non incorre in spiacevoli inconvenienti. Quello però è il sesto senso a dirtelo o, nel caso sia temporaneamente fuori servizio, è l'esperienza a lanciare l'allarme.
Ma torniamo al Giappone perché non è tutto rose e fiori, o per restare in tema sakura e sushi (vabbè, non c'entrano nulla ma suonava bene).
Il Giappone è in una posizione geografica di quelle che mia nonna avrebbe definito "da fö de cö" che, tradotto per i non bergamaschi, equivale a folle.
Le isole che compongono la terra del Sol Levante si trovano infatti all'incrocio di ben quattro, e dico quattro, placche tettoniche.
Quando si dice avere un bel poker d'assi.
La placca pacifica, la placca delle Filippine, la placca euroasiatica e la placca nordamericana si incontrano tutte qui.
E la loro non è una rimpatriata amichevole...ecco, diciamo che non son qui per giocare a carte. Sono belle agitate le quattro placche e scorrono una contro l’altra, manco stessero pogando a un concerto ska anni 2000. Nel loro muoversi costante accumulano una forte tensione, che alla fine viene rilasciata sotto forma di terremoti.
Il Giappone quindi balla, balla parecchio.
A questo punto credo sia chiaro che non sto parlando delle danze tradizionali a cui abbiamo assistito a un festival una domenica pomeriggio. E il riferimento non è nemmeno alle mosse da cartone animato della girlband dalle voci mielose e stridule che si esibiva, stregandomi, in centro città.
Sto proprio parlando del piccolo "problemino" del Giappone che durante l'anno è sballottato da circa 5000 scosse di terremoto.
Per fortuna la maggior parte sono di bassa intensità e non vengono percepite dalla popolazione e, probabilmente, se vivi con un Paolo che la notte russa ne percepisci ancora meno perché sei più abituato alle vibrazioni (questa però è una mia teoria che non ha ancora una base scientifica!).
Leggere quel numero a 4 cifre devo ammettere che inizialmente un pochino di ansia me l'ha messa.
Ma poi mi sono anche resa conto di essere nel Paese più preparato del mondo ad affrontare questo tipo di calamità.
Per legge tutti gli edifici in Giappone devono rispettare standard antisismici e ogni famiglia deve avere in casa un kit che contenga una torcia, acqua e viveri necessari per sopravvivere in caso di disastro.
I centri di raccolta sono poi sparsi in modo capillare in tutto il Paese, così come i rifugi costruiti in alto dove ripararsi nel caso scatti l'allerta tsunami.
Sì perché, non l'ho ancora specificato, ma in alcuni casi i terremoti vanno a braccetto con i maremoti. Le onde alte provocate dallo spostamento delle placche, sono un rischio molto serio quando si vive su un'isola. Perché a volte lo si dimentica, ma il Giappone, anche se enorme, è pur sempre un insieme di isole dove un'altissima percentuale della popolazione vive sulle coste a pochi km dal mare.
Tsunami è il termine che viene utilizzato qui e che fa venire subito un brivido di terrore perché rievoca immagini drammatiche.
La prima volta che ho sentito questa parola, l'aveva pronunciata un giornalista al TG delle 20 quando raccontava delle altissime onde che si erano abbattute su Indonesia e Thaialndia nel Dicembre del 2004.
Avevano distrutto tutto, portando via con sé interi villaggi e lasciando scenari post apocalittici.
Qui in Giappone quella parola l'ho letta moltissime volte, accompagnata dal simbolo dell'onda alta e da frecce con la direzione da prendere in caso di allarme.
Vedere così spesso quel cartello in un certo senso ha ridotto il senso di paura che mi assaliva quando sentivo pronunciare quella parola. Come se lo rendesse qualcosa di non eccezionale ma "normale" e gestibile.
Lo so, un evento del genere di normale e gestibile ha ben poco perché l'uomo può cercare di mettere in atto tutte le misure di protezione possibili e immaginabili ma la padrona di casa resta pur sempre la natura che a volte è madre benovala e altre è forza inarrestabile.
Ne sono testimonianza i tragici eventi di inizio anno quando un terremoto e conseguente tsunami, hanno messo in ginocchio la costa nord ovest del Giappone.
Consapevole di tutto questo, devo ammettere che non l'ho vissuta proprio serenamente la scossa di magnitudo 6.6 che ci ha svegliato nella notte qualche giorno fa.
Erano le 23 e noi eravamo già belli addormentati nella nostra tenda posizionata sul morbido prato di un parco.
A un certo punto qualcosa mi sveglia, è una sensazione strana difficile da descrivere.
Poco dopo sento i corvi che iniziano a gracchiare e volare via dagli alberi attorno.
E quasi simultaneamente la terra sotto la tenda si mette a tremare.
Dura pochi secondi, giusto il tempo di svegliare anche Paolo.
Mentre la terra ancora sembra non essersi fermata, dagli altoparlanti parte una musica.
Non è una sirena d'allarme è più una canzoncina rilassante e tranquillizzante con registrata sopra una voce maschile che parla in tono calmo e pacato.
Guardo fuori dalla tenda per capire cosa fare.
Osservo gli altri campeggiatori per notare le loro mosse.
Nessuno reagisce.
Chi stava grigliando sul fuoco continua a girare lo spiedino.
Chi stava leggendo non alza nemmeno lo sguardo dal libro.
Qualcuno dorme e non ha nemmeno aperto la zip della tenda.
È come se per loro non fosse successo assolutamente nulla.
È vero, siamo in tenda, lontani da edifici e a km dal mare quindi decisamente al sicuro.
Ma quella scossa, non essendo abituati, ci ha scosso. (Lo so, pessimo gioco di parole)
Così, mentre tutti continuano imperterriti la loro serata in campeggio, noi ci mettiamo a consultare l'applicazione che abbiamo scaricato sul telefono e che aggiorna in tempo reale in caso di calamità.
Leggiamo la magnitudo della scossa, 6.6 ma nessun rischio tsunami. Per il momento le notizie non riportano danni a persone o cose.
E così ci richiudiamo nei nostri sacchi a pelo e proviamo a riprendere sonno.
"Io non so se riuscirei a vivere in un Paese così" dico a Paolo prima di chiudere occhio.
"Avrei troppe ansie, troppe incertezze. Terremoti, tsunami, alluvioni, tifoni, ragni velenosi, vespe giganti..."
"Guarda che queste cose ci sono ovunque e sono sempre più frequenti in molte parti del mondo. Qui almeno ne sono consapevoli e si sono preparati. Sinceramente io ho più paura a stare in quei luoghi dove pur sapendolo, non si fa nulla per prevenire".
Angela (e Paolo)