Si è presa cura del 'bello' di Lecco per 36 anni, in pensione Barbara Cattaneo. 'Che soddisfazione l'arte a Palazzo delle Paure'
Barbara Cattaneo
E' in pensione da questo mese, anche se per il momento continua a collaborare con l'amministrazione comunale, la direttrice della branca artistica di musei cittadini Barbara Cattaneo. Dopo 36 anni di un lavoro «che - dice - era il lavoro che volevo fare e che mi ha dato molte soddisfazioni».
Naturalmente, il pensionamento è occasione di un bilancio che non è soltanto il consuntivo di una vita professionale e pertanto personale e per certi versi privata, ma anche uno sguardo sulla città che in quasi quattro decenni ha indubbiamente cambiato aspetto.
Eccoci, dunque. Tiriamo le somme. Partendo dall'inizio.
«Prima di lavorare nei musei avevo insegnato al liceo scientifico di Erba. Finché mi sono trovata davanti a un bivio e ho fatto la scelta della mia vita. Nello stesso anno c'erano il concorso per ottenere l'abilitazione all'insegnamento di Italiano e Storia e quello per i musei lecchesi come assistente alle collezioni. Ho fatto gli scritti di entrambi e li ho passati. Ma poi ho deciso di puntare sui musei. Era il mio desiderio. Lo avevo capito nell'ultimo anno di università: alla Statale, Lettere con indirizzo di storia dell'arte, allora non c'era ancora la laurea in Beni culturali. E la tesi fu sull'archeologia industriale, sull'industria della seta. L'idea nacque da un incontro con un giovane Gianluigi Daccò, già direttore dei musei lecchesi: volevo che la mia tesi fosse legata al territorio e andai da lui a chiedere consigli. Mi parlò di cappellette votive e di altri argomenti; poi tirò fuori quell'idea lì: l'industria della seta, le filande che andavano ormai tutte in rovina... Il mio professore fu d'accordo, anzi di più. La mia fu una tesi sperimentale, fu la prima. Proprio allora l'archeologia industriale entrava in voga anche in Italia. E nei dieci anni successivi fu un fiorire di tesi sull'argomento. Dopo la laurea frequentai un corso di specializzazione in museologia al Politecnico. Insomma, era nelle stelle...»
Già, l'archeologia industriale. E quando lei entrava nei musei lecchesi - 1987 - erano anni cruciali. Quelli dello smantellamento di molte fabbriche. Anni di polemica accesa a proposito della necessità o meno di mantenere qualche elemento del tradizionale paesaggio lecchese. Un'occasione mancata per la città.
«Negli anni Novanta come musei effettuammo un censimento di beni di archeologia industriale ancora esistenti lungo il Gerenzone. Ce n'erano ancora molti. Oggi tutte le cose più importanti sono state demolite. Direi di sì, è stata un'occasione mancata. Ma c'è una speranza. C'è il laboratorio di "Officina Gerenzone" che sta facendo un lavoro immenso. Bisogna davvero ringraziare le giovani promotrici. Ci sono entrata anch'io. Stiamo lavorando per tentare di salvare quel che ancora rimane di significativo. Il sindaco Mauro Gattinoni sembra essere interessato al progetto. Insomma, possiamo essere ottimisti».
Dei suoi 36 anni di attività ai musei, qual è stato il momento più bello?
«Questo lavoro l'ho scelto perché lo volevo fare, perché credo nella tutela del patrimonio storico da parte dell'amministrazione pubblica, nella tutela come impegno civile. In un territorio come quello di Lecco che in effetti ha avuto ben poca attenzione nei confronti del suo patrimonio. Certo Lecco non è Firenze, ma proprio per questo avrebbe dovuto valorizzare al massimo quel poco che aveva. Premesso questo, un lavoro entusiasmante tra i tanti è stata l'apertura del museo di Palazzo delle paure. Abbiamo lavorato duramente con l'allora assessore Michele Tavola. E meriti li ha avuti anche Daccò che ha convinto il Comune. Quel palazzo era destinato a ospitare uffici e mi è venuta l'idea di portare lì l'arte contemporanea che a Villa Manzoni era sacrificata. Abbiamo così diviso le collezioni d'arte: quella moderna dal Seicento all'Ottocento è rimasta al Caleotto e quella del Novecento in piazza XX Settembre».
A proposito della valorizzazione al patrimonio storico e artistico lecchese, la situazione è cambiata in questi anni?
«In effetti adesso ci sono più attenzione e finanziamenti».
E i luoghi manzoniani? Non è che ci abbiamo perso dietro troppe energie. Anziché inseguire cose inesistenti, avremmo forse dovuto qualificare le cose autentiche. Come Pescarenico....
«Con una politica più mirata, Pescarenico avrebbe potuto diventare un gioiellino. E invece è sempre stato considerato un quartiere marginale... Credo che per i luoghi manzoniani si debba puntare su punti di richiamo forti: valorizzare al massimo Villa Manzoni e poi appunto Pescarenico. Il Comune potrebbe anche acquisire la casa di Lucia di Olate e prevedere un allestimento sul personaggio. Occorre che i luoghi siano riempiti di contenuti».
Anche sulla tanta decantata città manzoniana, molte occasioni mancate nel corso del tempo. Tra l'altro proprio sui luoghi reali del romanzo: il convento di fra' Cristoforo, la cappelletta dei Bravi....
«In effetti, la cappelletta fu spostata per allargare la strada, ma adesso ormai è lasciata a se stessa. In compenso, la parrocchia di Pescarenico è riuscito a valorizzare quel poco che si è recuperato del convento di Pescarenico. Ma andrebbe valorizzato anche il Ponte Vecchio».
Ora deturpato da terribili ringhiere....
«Volute dalla Soprintendenza. Probabilmente si potrebbe fare qualcosa di meglio...»
Palazzo delle paure, il momento tra i più entusiasmanti. E quello più deprimente? Quando magari si ha voglia di piantare baracca e burattini?
«Quando è andato in pensione Daccò. Che è stato il mio maestro, al quale devo tantissimo e con il quale c'era una collaborazione validissima. Il periodo di interregno, per scelte politiche, è stato un momento di grossa confusione...»
Momentaccio è stato anche la vicenda dei quadri di Ennio Morlotti restituiti a Sophia Loren. Nel 1983 per un contenzioso tra lo Stato e l'attrice, i quadri erano confiscati e assegnati a Villa Manzoni. Dopo una decina d'anni, Lecco ha dovuto restituirli.
«Sì, ricordo. E' arrivato a Villa Manzoni l'ufficiale giudiziario. Sophia Loren aveva vinto la causa dopo i ricorsi fino al più alto grado di giudizio. Erano una quarantina di quadri che sintetizzavano tutta l'evoluzione artistica di Morlotti. Una collezione importante che era stato il nucleo fondativo della galleria d'arte moderna della città. Quando sono arrivata ai musei c'era già. Indubbiamente, è stata una grande perdita».
E adesso chi prenderà il suo posto? Visto che il direttore Mauro Rossetto si occupa della parte storica. «Adorando il mio lavoro, mi sono messa a disposizione dell'amministrazione comunale per collaborare fino a quando non sarà indetto un concorso per conservatore storico-artistico».
Dario Cercek