Lecco: il Manzoni? Uno 'avanti' per il suo tempo. Ne parla Roberto Bizzocchi
Il Manzoni? Era già femminista con largo anticipo sulla storia. «Perché Lucia è legittimata a scegliere: “Don Rodrigo no, Renzo sì”, è legittimata ad avere dei propri pensieri per la testa. E così pure la monaca di Monza». E ancora, quando alla fine del romanzo, Renzo dice che tutti i suoi figli debbono studiare, «dice proprio tutti, i maschi e le femmine. A metà Ottocento!».
La copertina del volume
Roberto Bizzocchi, docente di storia moderna all’università di Pisa, ha presentato alla libreria lecchese “Parole nel tempo” il suo ultimo libro, “Romanzo popolare. Come i Promessi sposi hanno fatto l’Italia” (edizioni Laterza): «In realtà il titolo avrei voluto fosse un altro, ma l’editore ha deciso diversamente e anche il concetto del romanzo che ha fatto l’Italia in fondo è un falso e infatti sono riuscito ad aggiungere nell’ultima di copertina un inciso: “almeno nei suoi aspetti migliori”».Introdotto da Franco Minonzio, Bizzocchi ne ha discusso con Giulia Raboni, docente all’università di Parma e curatrice dell’edizione critica della prima bozza del romanzo manzoniano, quello che va comunemente sotto il nome di “Fermo e Lucia”, ma anche della seconda minuta (“Gli sposi promessi”).
Giulia Raboni e Roberto Bizzocchi
Bizzocchi è un docente di storia e ha riletto Manzoni con uno sguardo particolare, riprendendo in mano dopo cinquant’anni un’idea che risaliva addirittura alla quinta ginnasio, quando quindicenne doveva di volta in volta riassumere i vari capitoli del romanzo. Eppure, nonostante l’obbligo scolastico, quella lettura non gli dispiaceva come invece è capitato a molti studenti. Che è il motivo, quello dell’esser costretti a studiarlo ancora giovanissimi, spesso addotto per spiegare una certa svogliatezza. In realtà, «il problema fondamentale è quello del cattolicesimo – ha detto Bizzocchi - Ho molti amici antimanzoniani perché anticattolici e anticlericali, ma il cristianesimo del Manzoni è alto, generoso, liberale e rispettoso».Del resto accanto all’antimanzonismo degli anticlericali c’è stato anche un antimanzonismo cattolico: «Manzoni era decisamente contro il potere temporale della Chiesa», ma riteneva possibile conciliare il cristianesimo e l’illuminismo. Manzoni era un grande liberale europeo e quando rispose al calvinista Sismondi che accusava gli italiani d’essere un pessimo popolo perché cattolici che vivono in ginocchio davanti al Papa, faceva rilevare come qualsiasi cosa il Papa o un confessore dicessero, è l’individuo che decide per sé e ne risponde davanti alla propria coscienza. Manzoni non dimenticava d’essere un lettore di Voltaire, ne conosceva i testi a memoria e tanto valeva che monsignor Tosi gli sottraesse tutte le opere.
L’incontro alla libreria lecchese è dunque servito per sottolineare la modernità del Manzoni, il suo essere in quello scorcio dell’Ottocento molto avanti rispetto a tutti gli altri. E ciò ne determinava la condizione minoritaria. Della quale era probabilmente consapevole. Del resto, introducendo l’incontro, Minonzio aveva rilevato come Manzoni fosse tutt’altro che un moderato: «la sua concezione tragica della storia dimostra invece una radicalità». Non è un caso – è stato poi detto – che il romanzo non finisce con la nuova vita dei due fidanzati ormai sposi bensì con la “Storia della colonna infame” perché la storia vera è quella: non c’è lieto fine.
D.C.