Lecco: il limbo della (non) accoglienza in una serata al 'Libero'
Non soltanto l’inferno del viaggio che sia la traversata del Mediterraneo o la cosiddetta rotta balcanica. Che poi sarebbe un dramma evitabile se solo si consentissero arrivi legali dai Paesi d’origine. Non solo il viaggio, dunque. Ma anche una volta arrivati in Italia, l’incubo non finisce aprendosi le porte del limbo, di una sorta di sospensione, di una quotidianità fatta di incertezze: strutture d’accoglienza, regolamenti, leggi, direttive che cambiano in continuazione. E la macchina dello Stato che non è in grado non solo di fornire assistenza ma nemmeno di espletare quella burocrazia alla quale sarebbe tenuta.
Il nuovo appuntamento promosso nell’ambito del ciclo di iniziativa “Lungo le sponde del Gerenzone”, con appuntamento al circolo di “Libero pensiero” di Rancio, è stato dedicato proprio a illuminare questo limbo, questo mondo sommerso popolato di persone e famiglie senza permesso di soggiorno e che soltanto in casi estremi conquista la ribalta. Come, recentemente, per quanto verificatosi a Milano in via Cagni dove sono stati trasferiti gli uffici della questura preposti al rilascio dei permessi proprio per allontanare dal centro cittadino ed elegante una massa di persone costrette ad accamparsi all’aperto per sperare non ancora di ottenere un permesso bensì solo di avere la possibilità di presentarne richiesta.E proprio dalla situazione di via Cagni hanno preso spunto i due relatori della serata, Andrea Mancuso e Manuela Crippa, esponenti del “Naga”, l’associazione milanese con quattrocento volontari che si occupa di assicurare assistenza legale e sanitaria proprio alle persone senza permesso di soggiorno.
Chi arriva da Paesi africani o asiatici non ha possibilità di entrare regolarmente in Italia e allo stato attuale l’unica strada praticabile per tentare una regolarizzazione è la richiesta di asilo. Le norme prevedono che nel momento in cui il migrante in arrivo manifesti la volontà di richiedere asilo – solo una manifestazione di volontà, dunque e non già una richiesta che potrà essere presentata successivamente – dovrebbe rientrare nei canali ufficiali dell’accoglienza. La quale peraltro è stata smantellata con i decreti Salvini di due anni fa, ripristinata in parte dal ministro Luciana Lamorgese e ora nuovamente terremotata dalle decisioni del governo Meloni. Per diversi motivi, logistici ma non solo pesando naturalmente anche gli orientamenti politici dei governi ma anche dei funzionari, questa manifestazione di volontà tarda a essere registrata. Ed è a quel punto che si apre il limbo, che il migrante si trova in mezzo alla strada senza alcuna tutela. A questa parte di popolazione si aggiunge quella entrata invece legalmente, proveniente in particolare dall’America Latina con un visto turistico ormai scaduto e alla ricerca appunto di un permesso di soggiorno per potersi fermare regolarmente nel nostro Paese dove magari hanno già trovato un lavoro. E a proposito di lavoro, un’altra categoria di persone destinate al limbo è quella che perde per ragioni le più diverse il lavoro – e tanti casi si sono registrati durante i due anni di pandemia – e pertanto è impossibilitata a rinnovare i propri documenti.
Per tutti il pendolo della fortuna oscilla tra il riuscire a presentare domanda d’asilo e il rischio di essere trovati senza documenti e finire in un cosiddetto Centro di permanenza per il rimpatrio dove i senza permesso sono praticamente reclusi, dopo un passaggio sostanzialmente formale, dal magistrato. Reclusi in attesa di un rimpatrio che il più delle volte non avviene così che le persone vengono rilasciate per decorrenza dei termini, ma a quel punto si ritrovano praticamente abbandonati a loro stessi con l’unico obiettivo della mera sopravvivenza. Che il più delle volte significa finire in brutti in giro. Senza dimenticare che nei centri di permanenza, le condizioni di vita sono al limite del sopportabile. E del resto sono state tolte le porte ai bagni per evitare i suicidi e gli atti di autolesionismo sono frequenti sia per disperazione sia per essere “liberati” per motivi di salute. Senza poi poter sperare in un’assistenza sanitaria adeguata proprio per la mancanza di documenti.
Agli adulti, alle molte famiglie con bambini, si aggiungono i minori non accompagnati che rappresentano un mondo a sé e che sulla carta avrebbero diritto all’inserimento in un percorso di integrazione che ha volte non funziona. Per ragioni strutturali, ma senza dimenticare che gli stessi minori spesso fuggono dalle case d’accoglienza. Spalancandosi anche per loro, a quel punto, le porte dell’incognito.
D.C.