In viaggio a tempo indeterminato/271: vita e morte a Varanasi
"Come si fa a restare in un posto così????? L'unico mio pensiero sarebbe quello di prendere il primo volo in partenza e fuggire nel posto diametralmente opposto del mondo!".
"Interessante è poco. Stupefacente è meglio. Incredibile insomma".
"Ragazzi scusatemi, non riesco ad amare l'India. È un Paese talmente strano che non riesco a comprenderlo".
Amore e odio.
Accoglienza e rifiuto.
Spiritualità e disgusto.
Traspare tutto questo e molto altro, leggendo i commenti al video che abbiamo girato a Varanasi.
Sinceramente, ci entusiasma molto quando un video non lascia indifferenti, nel bene o nel male.
Dopotutto non poteva essere altrimenti, dato che si parla di una delle città più iconiche dell'India, un Paese che già di per sé spacca in due le opinioni.
C'è chi non vede l'ora di andarci e chi, invece, un viaggio qui lo vede come una punizione.
C'è chi ci torna dopo anni, anche se si era ripromesso di non metterci mai più piede.
E c'è chi non vorrai mai più sentir parlare di masala, templi e clacson.
Ho raccontato spesso di come l'India sia l'unico Paese al mondo che abbia la capacità di farsi odiare profondamente e amare intensamente.
Ma credo stia proprio in questa attrazione/repulsione che risieda tutta la sua bellezza.
Non mi stupisce quindi, anzi mi esalta, leggere opinioni contrastanti su Varanasi. Perché se c'è un posto al mondo che riassume questa eterna lotta tra amore e odio, è sicuramente questa città.
Bisogna dotarsi di una buona dose di leggerezza per fare un viaggio in un luogo del genere.
La leggerezza indispensabile per non farsi tirare a fondo dal peso di ciò che si vedrà sulle rive del fiume più sacro del mondo, il Gange.
La leggerezza di uno sguardo che non giudica e mette da parte tutto ciò che conosce.
La leggerezza per apprezzare le piccole grandi meraviglie nascoste in mezzo a tutto quel caos.
E questa leggerezza, che nulla ha a che vedere con la superficialità, è difficilissima da raggiungere.
Come si può essere leggeri davanti a qualcosa di così gigantesco come la morte?
Ho sempre pensato che fosse impossibile, troppo doloroso, troppo.
Ma questa volta a Varanasi, credo sia scattato qualcosa in me.
Passare dieci giorni sulle scalinate che portano al Gange, seduta ad osservare la vita e la morte, mi ha obbligato a riflettere su argomenti che non volevo nemmeno avvicinare.
Per gli induisti, morire in questa città, significa interrompere il ciclo di reincarnazione dell'anima e raggiungere la pace eterna.
Sono moltissime le persone che si trasferiscono qui da tutta l'India per passare gli ultimi anni della loro vita, in attesa di lasciare il corpo e permettere all'anima di fare l'ultimo meraviglioso viaggio.
Le due scalinate dove avvengono le cremazioni dei corpi sono quindi in continuo fermento.
Un brulicare di vita tra le cataste di legno, le fiamme che ardono e il fiume che scorre incessantemente.
La morte non ferma nulla qui a Varanasi, anzi.
108 è il numero di corpi che vengono cremati ogni giorno.
Ed è impossibile non imbattersi in un corteo funebre mentre si cammina per le strade della città.
Portantine di bamboo trasportano le salme ricoperte da teli colorati tra i vicoletti stretti, con le mucche e le capre che osservano indifferenti tutto quel via vai.
Solo agli uomini è consentito partecipare alle cremazioni perché il pianto delle donne disturberebbe il viaggio dell'anima del defunto.
Ed è il figlio maschio, capo rasato e abito bianco, ad accendere il fuoco. Un fuoco che purifica, ripulisce, libera.
A Varanasi la morte non è vista come una fine, ma un inizio.
E io a questo non sono mai riuscita ad abituarmi. Al catechismo da bambina, credo mi abbiano insegnato la stessa cosa, ma parlarne poi è sempre stato un tabù.
Negli anni ho fatto finta che non esistesse, ho messo da parte il pensiero.
Ma in questa città non ho potuto nascondermi o voltarmi dall'altra parte.
Ho visto la morte essere messa sullo stesso piano della vita e in quell'istante, mentre un fumo denso riempiva l'aria, ho provato ancora più intensamente la voglia di godermi fino in fondo il viaggio su questa terra.
"Interessante è poco. Stupefacente è meglio. Incredibile insomma".
"Ragazzi scusatemi, non riesco ad amare l'India. È un Paese talmente strano che non riesco a comprenderlo".
Amore e odio.
Accoglienza e rifiuto.
Spiritualità e disgusto.
Traspare tutto questo e molto altro, leggendo i commenti al video che abbiamo girato a Varanasi.
Sinceramente, ci entusiasma molto quando un video non lascia indifferenti, nel bene o nel male.
Dopotutto non poteva essere altrimenti, dato che si parla di una delle città più iconiche dell'India, un Paese che già di per sé spacca in due le opinioni.
C'è chi non vede l'ora di andarci e chi, invece, un viaggio qui lo vede come una punizione.
C'è chi ci torna dopo anni, anche se si era ripromesso di non metterci mai più piede.
E c'è chi non vorrai mai più sentir parlare di masala, templi e clacson.
Ho raccontato spesso di come l'India sia l'unico Paese al mondo che abbia la capacità di farsi odiare profondamente e amare intensamente.
Ma credo stia proprio in questa attrazione/repulsione che risieda tutta la sua bellezza.
Non mi stupisce quindi, anzi mi esalta, leggere opinioni contrastanti su Varanasi. Perché se c'è un posto al mondo che riassume questa eterna lotta tra amore e odio, è sicuramente questa città.
VIDEO
Bisogna dotarsi di una buona dose di leggerezza per fare un viaggio in un luogo del genere.
La leggerezza indispensabile per non farsi tirare a fondo dal peso di ciò che si vedrà sulle rive del fiume più sacro del mondo, il Gange.
La leggerezza di uno sguardo che non giudica e mette da parte tutto ciò che conosce.
La leggerezza per apprezzare le piccole grandi meraviglie nascoste in mezzo a tutto quel caos.
E questa leggerezza, che nulla ha a che vedere con la superficialità, è difficilissima da raggiungere.
Come si può essere leggeri davanti a qualcosa di così gigantesco come la morte?
Ho sempre pensato che fosse impossibile, troppo doloroso, troppo.
Ma questa volta a Varanasi, credo sia scattato qualcosa in me.
Passare dieci giorni sulle scalinate che portano al Gange, seduta ad osservare la vita e la morte, mi ha obbligato a riflettere su argomenti che non volevo nemmeno avvicinare.
Per gli induisti, morire in questa città, significa interrompere il ciclo di reincarnazione dell'anima e raggiungere la pace eterna.
Sono moltissime le persone che si trasferiscono qui da tutta l'India per passare gli ultimi anni della loro vita, in attesa di lasciare il corpo e permettere all'anima di fare l'ultimo meraviglioso viaggio.
Le due scalinate dove avvengono le cremazioni dei corpi sono quindi in continuo fermento.
Un brulicare di vita tra le cataste di legno, le fiamme che ardono e il fiume che scorre incessantemente.
La morte non ferma nulla qui a Varanasi, anzi.
108 è il numero di corpi che vengono cremati ogni giorno.
Ed è impossibile non imbattersi in un corteo funebre mentre si cammina per le strade della città.
Portantine di bamboo trasportano le salme ricoperte da teli colorati tra i vicoletti stretti, con le mucche e le capre che osservano indifferenti tutto quel via vai.
Solo agli uomini è consentito partecipare alle cremazioni perché il pianto delle donne disturberebbe il viaggio dell'anima del defunto.
Ed è il figlio maschio, capo rasato e abito bianco, ad accendere il fuoco. Un fuoco che purifica, ripulisce, libera.
A Varanasi la morte non è vista come una fine, ma un inizio.
E io a questo non sono mai riuscita ad abituarmi. Al catechismo da bambina, credo mi abbiano insegnato la stessa cosa, ma parlarne poi è sempre stato un tabù.
Negli anni ho fatto finta che non esistesse, ho messo da parte il pensiero.
Ma in questa città non ho potuto nascondermi o voltarmi dall'altra parte.
Ho visto la morte essere messa sullo stesso piano della vita e in quell'istante, mentre un fumo denso riempiva l'aria, ho provato ancora più intensamente la voglia di godermi fino in fondo il viaggio su questa terra.
Angela (e Paolo)