Lecco: Peppino Impastato nei ricordi del fratello Giovanni. ''Voglio che questo coraggio non si fermi mai''

''Cosa pensavi nei tuoi ultimi istanti, fratello mio? Cosa hai pensato quando hai capito che sarebbero stati i tuoi ultimi istanti, e non ci saresti stato più tu a spiegarmi il perché?''. Con queste parole Giovanni ricorda il fratello Peppino Impastato, ucciso dalla mafia nella notte tra l'8 e il 9 maggio 1978 a Cinisi, Palermo. All'indomani della sua morte l'impegno dei famigliari, ed in particolare del fratello, scaturisce in gesti forti, importanti, simbolici: ne difendono in piazza la memoria, ricercano la verità, chiedono giustizia. La storia del giornalista ed attivista diventa forte ed assume importanza, più di quanto la giustizia sia stata in grado di riconoscerle nel tempo.

Giovanni Impastato

''Il dialogo con mio fratello è divenuto inteso dopo la sua morte. Quando guardo i giovani e vedo la loro emozione rivedo mio fratello. Voglio che questo coraggio non si fermi mai. Certamente la strada da percorrere è lunga per ottenere indagini vere, processi regolari e le vittorie di una giustizia che arriva tardi, ma arriva. Noi ci crediamo'' ha detto ringraziando gli organizzatori, l'Associazione italiana Italia Cuba, la sezione Pino Galbani e l'associazione Pio Galli, che nella serata di martedì nella sede del sindacato, in Via Besonda a Lecco, gli hanno permesso di raccontare la storia della sua famiglia.

Il libro intitolato ''Mio fratello'' racconta la storia di due uomini, due fratelli, che si sono trovati a scontrarsi in modo diverso con la realtà mafiosa palermitana degli anni '60. I due fratelli fino all'adolescenza vivono separati, Giovanni con i genitori, Peppino con lo zio Matteo. ''Mio zio ha avuto un ruolo educativo fondamentale nella crescita di mio fratello, gli ha trasmesso l'amore per la lettura e la ricerca, in sottofondo valori e idee di forte stampo social populista. Nel libro si ripercorrono questi passi, i tratti dell'infanzia che ne hanno influenzato gli ideali di cui si è fatto portavoce, e la formazione educativa''.

Alberto Bonacina, presidente associazione Libera contro le mafie

Quando Peppino torna a casa, le storie dei due fratelli, inizialmente forzatamente divise, tornano ad intrecciarsi, si ritrovano spalla a spalla contro la loro stessa famiglia che scoprono piano piano essere molto vicina alla mafia palermitana. Lo zio Cesare Manzella era infatti uno dei capomafia nella Cinisi del dopoguerra, con altri due colleghi contribuì negli anni '60 a traghettare la mafia palermitana dalle campagne alle città, impedendo lo sviluppo della realtà agricola fortemente voluto in fase di costituzione della nuova repubblica.

"In Sicilia le mafie non hanno permesso di avviare quel processo di rinnovamento vero e proprio. Per la prima volta dopo che è stata varata la Carta Costituzionale si vota in Sicilia e vincono le sinistre, il partito socialista, il partito comunista. Questo non poteva avvenire: il primo maggio 1947 in località Portella della Ginestra si compì la strage, il criminale Salvatore Giuliano sparò contro la folla di contadini riuniti per celebrare la festa del lavoro. Fu Salvatore a sparare, ma è la prima strage di stato, le istituzioni si sono rese complici di quell'eccidio. Lo testimonia la fase di repressione che si verificò in seguito in cui furono uccisi quasi cinquanta sindacalisti, segretari delle camere del lavoro, socialisti e comunisti" ha aggiunto per spiegare come furono proprio quegli anni a far cambiare il volto alla mafia, che assunse caratteri internazionali nel traffico di eroina, un ruolo centrale nel fenomeno dello sfruttamento della prostituzione e nella speculazione edilizia.

Dopo i racconti dell'infanzia la narrazione prosegue con episodi che convincono sempre più i due fratelli dell'equivalenza stretta e indissolubile tra mafia e violenza. A leggere alcuni passi del romanzo è l'attore Alberto Bonacina presidente dell'associazione Libera contro le mafie, tra i promotori della serata. ''D'improvviso, nel silenzio che segue la primissima luce, nel tempo di cui è padrone solo il canto degli uccelli, dal profondo del sonno siamo gettati nel giorno da un boato violentissimo, e dall'esplodere dei vetri delle finestre che si spargono in mille pezzi nella stanza. Il rumore è stato così forte che appena balziamo fuori dai letti ci pare ancora di sentirlo e abbiamo dentro una paura folle di risentirlo di nuovo, persino la terra ha tremato. Nessuno ci spiega nulla, ma capiamo da soli. Nessuna pistola e fucili per lo zio Cesare, per ucciderlo una bomba''.

Fu proprio la morte dello zio Cesare a suscitare nei due giovani la voglia di cambiamento, nella natura cupa e calpestata, quasi una piccola apocalisse, Peppino si gira verso Giovanni e dice: ''se questa è la mafia io mi batterò sempre contro". E così fece. Fu una lotta sfrenata fino al giorno della sua morte: attacchi diretti ai mafiosi, denunce sociali, manifesti e fotografie affissi in piazza, pubblicazioni e interventi in radio.

"I metodi della lotta portata avanti da mio fratello erano attuali e coraggiosi: agiva nel mezzo della cultura mafiosa. Parlava con le persone, promuoveva la lotta con l'impegno culturale, le battaglie ecologiche e l'ironia''. Una lotta che si fa largo tra la gente, che approfondisce ogni storia, che da voce alle classi subalterne in una realtà, quella mafiosa, che non conosce equità e giustizia. "Mio fratello tolse ai mafiosi ciò che era a loro più caro: la reputazione. Con creatività li derideva e li smascherava nella sua trasmissione radiofonica e nei suoi scritti" ha aggiunto, ringraziando i numerosi presenti in sala.

Ricordando poi la morte di Peppino tragicamente ucciso si è rivolto alle nuove generazioni: ''Siate coraggiosi. Come avviene con gli alberi con radici profonde, la tempesta li rafforza e li rende ostinati''.
Sa.A.
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