In viaggio a tempo indeterminato/260: i selfie con gli indiani

"Madame, madame selfie?".
Mi fermo.
Un attimo per capire se quella frase è rivolta a me. Mi guardo intorno per vedere se ci sono altre straniere nella zona.
Aspetto un po' prima di voltarmi e cerco di capire da chi arrivi quella domanda.
"Magari questa riesco a evitarmela" penso tra me e me.
"Madame sorry, photo?".
Ormai non ho scampo. Mi volto.
Davanti un sorriso stampato. Uno sguardo curioso.
Un telefono pronto in mano, con lo schermo già sbloccato.
"Ok!". Dico inclinando la testa, un po' rassegnata. E mi avvicino.
Da quando siamo in India questa scena l'ho rivissuta decine e decine di volte.
Gli indiani hanno una vera passione per le foto, soprattutto se in compagnia di stranieri sconosciuti.
E così mi sono ritrovata infilata in foto di famiglia, messa in fila con 5 bambini dallo sguardo serio.
Oppure in selfie "annebbiati" perché la telecamera è sporca e nell'ansia del momento nessuno l'ha pulita.
Sono finita tra signore vestite con i saree tradizionali indiani e ragazze con jeans e occhiali da sole.
Mi hanno chiesto di fare foto accanto a signori anziani con il turbante o giovani ragazzi con il gel in testa.
E ogni volta, ogni singola volta, io mi chiedevo "ma cosa se ne faranno di una foto con una sconosciuta che hanno incontrato per caso e che non sanno nemmeno come si chiami?"
Perché nella fretta di accaparrarsi quello scatto, le domande classiche "Da dove vieni? Come ti chiami? Quanti figli hai?" passavano sempre in secondo piano. Qualcuno magari prima di congedarsi accennava un "where are you from?" a cui subito rispondevo con un "Itly" perché pronunciando "Italy" nessuno mi capiva.
Fare tutte queste foto all'inizio è molto divertente. Mi fa sorridere mettermi in posa in situazioni a tratti paradossali a tratti folli e inspiegabili.
Alla decima richiesta della giornata, però, devo ammettere che inizio a cedere. Il sorriso diventa più teso e sono un po' più impaziente.
Alla ventesima, lo confesso, nego la foto.
E ogni volta, in quel momento, capisco perché spesso i personaggi famosi hanno volti scocciati nei selfie con i fan.

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Ok, fare cosi tanti selfie è un po' una scocciatura, ma qualcosa di positivo c'è.
In alcuni casi, pochi purtroppo, si riesce a rompere una barriera e con la scusa della foto si scambia qualche parola e ci si conosce un po'.
L'altra mattina, ad esempio, stavo camminando in un tempio. Piedi nudi sul prato, il silenzio, il sole.
Poi mi accerchia un gruppo di 40 ragazzini tutti con maglietta mimetica.
"Selfie madame?" mi chiedono in coro.
Qualcuno guarda me invece della fotocamera. Qualcuno mi sfiora il braccio.
Qualcuno parlotta, mentre da lontano la macchina fotografica fa click.
Mi si avvicina il fotografo che scopro essere l'insegnante.
"Siamo un gruppo di karate. Oggi abbiamo una gara e prima siamo venuti al tempio."
"Come ti sembra questo posto?" mi chiede.
"Meraviglioso" rispondo io sempre circondata da sguardi curiosi.
"Da dove vieni?"
"Italia"
"Wow! Sono davvero molto orgoglioso di sapere che qualcuno è venuto fin dall'Italia per vedere questo tempio. Grazie mille!"
E io mi commuovo con tutti quegli occhioni puntati che pendono dalle mie labbra.



Continuo a camminare attorno al tempio, quando sento una voce profonda alle mie spalle che mi chiama "madame, selfie?"
Mi giro e davanti, inaspettatamente, mi ritrovo una ragazza vestita con un abito arancione.
Ha i lineamenti pronunciati e forti.
Quella voce profonda non mente.
È un Hijira. Il termine è usato In India per indicare genericamente il terzo sesso che include transgender, transessuali, eunuchi.
Gli Hijira in India sono riconosciuti da tempi lontani, tanto che se ne parla nell'antico testo del Kama Sutra. Spesso vivono ai margini della società, facendo l'elemosina o prostituendosi.
Ci è capitato spesso di vederle chiedere offerte sui treni. Battono forte le mani per attirare l'attenzione, e le persone gli danno qualche rupia perché si dice porti fortuna.
Questa ragazza però è diversa. È elegante nel suo abbigliamento arancione. È truccata e ha un profumo dolce e forte.
Ci scattiamo una foto, sia con il suo cellulare che con il mio.
"Sei qui sola?" mi chiede.
"No, mio marito è laggiù che fa foto. E tu?" le chiedo.
"Sono con il mio gruppo." mi dice indicando un gruppo di altre persone vestite di arancione.
"Ora vado. Grazie" mi dice con quella sua voce profonda. Ci scambiamo uno sguardo più lungo del previsto e ci sorridiamo.


Di tutti i selfie che faccio con le persone, a me ne rimane solo qualcuno. Pochi, quei due o tre che voglio portarmi con me e riguardare tra qualche anno per ricordare un momento speciale, un istante fissato nel tempo.
Ma perché in India le persone si vogliono fare così tanti selfie con una straniera?
L'ho chiesto a una ragazza con cui sono riuscita a parlare un po' mentre entrambe stavamo sedute a guardare il via vai di gente davanti a un palazzo.
"Ci sono vari motivi." mi spiega lei.
"Il primo è che è motivo di orgoglio e di vanto mostrare di aver incontrato qualcuno che viene da lontano.
Sono pochi gli indiani che possono viaggiare fuori dall'India, soprattutto chi vive nei villaggi difficilmente incontrerà uno straniero. Per questo farsi una foto è un po'  come viaggiare".
"Il secondo motivo è che noi indiani siamo fissati per le foto. Ne facciamo a centinaia, migliaia. Ci piace tanto. Hai mai notato che davanti ai monumenti famosi ci sono decine di fotografi che ti fanno mettere in posa? E le famiglie si fanno fare le foto, nonostante tutti abbiano in tasca uno smartphone. Ci piace così!"
"E il terzo motivo?" Chiedo io.
"Madame tu sei bella. Certo che vogliono farsi le foto con te. Qualcuno dirà che sei la sua fidanzata."
Ci mettiamo a ridere.
Amo l'India per questo. Perché va oltre ogni immaginario. Perché non la capirò mai fino in fondo. Perché sarà sempre quel mistero che non mi spiegherò ma che mi toccherà nel profondo.
Angela (e Paolo)
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