Lecco: 'Fine pena ora', in scena lo spettacolo sulla giustizia restorativa
Il “vero” Salvatore riuscirà a incontrare il giudice Fassone, unico appiglio dei suoi anni di carcere? È l’augurio sincero che l’Innominato, il Tavolo lecchese per la Giustizia Restorativa, ha rivolto al temine dello spettacolo “Fine pena ora”, prodotto da Tedacà. Al cenacolo Francescano i posti a sedere erano esauriti nella serata di lunedì 21 novembre, quando si è dato avvio al primo dei tre appuntamenti organizzati sul territorio nell’ambito della Restorative Justice Week, che nel 2022 si realizza dal 20 al 26 novembre. L’iniziativa – a cui hanno presenziato anche gli istituti superiori Bertacchi e Fiocchi e i Giovani competenti – è stata promossa dall’Innominato, insieme ai Servizi Sociali dell'Ambito Distrettuale di Lecco, su finanziamento di Regione Lombardia, Cassa delle Ammende, Conferenza Episcopale Italiana e Fondazione comunitaria del lecchese.
Come ha ricordato Micaela Furiosi prima dell’avvio di serata, L’Innominato è un gruppo di cittadinanza attiva, a cui partecipano anche Istituzioni, enti del privato sociale e del non profit, che da dieci anni opera nella città e sul territorio di Lecco per sensibilizzare la comunità e diffondere la visione della Giustizia Restorativa, disseminandone i principi, i valori e le pratiche negli ambiti della convivenza civile, affinchè si liberi “il potenziale della giustizia ristorativa disponibile, accessibile e adattabile”.
La sala si è fatta poi buia: tra le corde che hanno composto la quinta scenica, simulando le sbarre del carcere – elemento attorno al quale è ruotata la rappresentazione – si intravedeva la figura indolenzita di Salvatore (interpretato da Salvatore D’Onofrio), in maglietta a mezze maniche scura e pantaloni azzurri, al risveglio all’interno della sua cella. Attorno a lui e alla sua vicenda si avvicendavano Giuseppe Nitti nel ruolo del giudice e componente del Consiglio superiore della magistratura Elvio Fassone, nonché Costanza Maria Flora, nel duplice "personaggio" dell’ombra e di Giusi, la fidanzata di Salvatore che per vent’anni, pur senza legami formali, è rimasta al suo fianco.
Lo spettacolo ha raccontato la reale corrispondenza, durata oltre tre decenni, tra l’ergastolano e il suo giudice, a cominciare dalle origini, ovvero da quando Salvatore è finito dietro le sbarre, con i primi pensieri del secondo di avvicinarsi – con scambi epistolari – a colui che aveva messo in galera, come si usa dire, “buttando le chiavi della cella”. Quest’amicizia inaspettata ha salvato la vita al detenuto, accompagnandolo tra i suoi demoni per fare spazio a speranze, anelate ma mai davvero raggiunte. Si tratta di due vite agli antipodi, anche socialmente – uno cresciuto a “pane e magia” e l’altro rappresentante del potere dello Stato – che, lettera dopo lettera, trovano un punto di incontro. Salvatore è sempre stato a un passo dalla semi libertà già dai 28 anni di carcere ma è sempre tornato indietro, per un serie di vicissitudini.
Lo spettacolo è un racconto di fatti, reati e punizioni ma anche di due coscienze che si incontrano. Il giudice oggi ha più di 80 anni, mentre Salvatore ha il secondo record di detenzione – battuto solo per pochi mesi – in Italia: si trova in carcere da 38 anni. L’obiettivo, oggi, è quello di consentire un incontro tra i due che hanno avuto un lungo rapporto epistolare: “Lo spettacolo è tratto dal libro che raccoglie una lunga intervista a Fassone, in cui lui racconta quanto accaduto negli ultimi otto anni – ha spiegato nel dibattito aperto al termine dello spettacolo il regista Simone Schinocca -. Il volume termina con il tentato suicidio di Salvatore. Loro si scrivono da 34 anni e non si sono mai incontrati perché il fatto di andare a trovare un detenuto potrebbe macchiare il magistrato: Fassone si rende conto che lui è l’unica cosa che lo tiene in vita, e lo ha messo nel testamento. Ora stiamo facendo il possibile perché il giudice incontri a Torino il vero Salvatore, nei giorni di permesso”.
Per la costruzione dello spettacolo, il regista si è a lungo interrogato e ha conosciuto il giudice stesso: “Salvatore ha commesso 12 omicidi. Fassone pensa che l’ergastolo sia una pena giusta perché in alcuni momenti c’è bisogno di qualcosa di esemplare, ma la giustizia non deve dimenticare la dimensione di speranza. La dignità, per lui, è questo. Non dimentichiamo la decisione: le figlie erano in casa la sera prima della sentenza, e mi hanno detto che il loro padre era distrutto. Sfiorare l’idea di entrare in contatto con il vero Salvatore è quello che mi ha cambiato. Il carcere è il tabù del nostro tempo. A Torino, da inizio anno, otto persone si sono suicidate. Questo spettacolo vuole portare un faro su un tema molto scomodo che dovrebbe far riflettere”.
Quest’opera commovente, adattata per la scena, unitamente al bel dibattito costruito insieme al regista e agli attori, ha fatto pensare il pubblico a come sia possibile conciliare la domanda di sicurezza sociale e la detenzione a vita con il dettato costituzionale del valore riabilitativo di ogni pena. Lo spettacolo e i fatti accaduti hanno dimostrato che anche mondi impossibili possono avere un punto di incontro. Ci si aspetta che avvenga anche nella realtà.
M.Mau.