9 novembre 1989: la notte che cambiò il mondo
Giorgio Motta
Il concetto di Rivoluzione pacifica suona un po’ paradossale in quanto una rivoluzione è di per sé un capovolgimento violento di un ordine politico-sociale costituito ed è sempre collegata a morte e spargimento di sangue. Ma ciò che successe nell’autunno 1989 in quella che allora era ancora la DDR (Deutsche Demokratische Republik) fu un avvenimento unico nella storia mondiale: un popolo si ribellò e riuscì a rovesciare un sistema in maniera pacifica, senza ricorrere alla violenza.
L’estate 1989 aveva visto migliaia di cittadini della DDR recarsi in Ungheria. Apparentemente per trascorrere le vacanze sul lago Balaton: in realtà per scappare nella Repubblica Federale Tedesca passando dall’Austria, visto che il governo ungherese aveva aperto i confini. Era cioè iniziata una nuova fuga di massa che riportava alla mente la situazione alla vigilia della costruzione del muro nell’agosto 1961.
Contemporaneamente si era creato un movimento civico di opposizione (Neues Forum) che, sulla spinta del processo riformatore di Gorbaciov in Unione Sovietica, sperava di poter avviare qualcosa di simile anche nella DDR. Il 4 settembre si svolse a Lipsia la prima di quelle dimostrazioni che verranno poi ricordate come le Montagsdemonstrationen (dimostrazioni del lunedì): poco più di un migliaio di persone vi aderirono. Ma già un mese più tardi 70.000 manifestanti sfilarono per la città al grido di Wir sind das Volk! (Noi siamo il popolo!), divenuto ormai lo slogan della rivoluzione pacifica. Insomma, si stava prospettando un autunno caldo, carico di tensione.
L’apice della protesta fu la manifestazione del 4 novembre quando a Alexanderplatz, la piazza centrale di Berlino Est, si ritrovarono più di mezzo milione di persone: dissidenti, intellettuali, rappresentanti della nuova opposizione, ma anche tanti cittadini comuni che chiedevano a gran voce riforme e un cambio di rotta.
La sera del 9 novembre si svolse a Berlino Est una conferenza stampa in cui Günter Schabowski, un funzionario di partito responsabile dei rapporti con i media, annunciò un nuovo decreto in materia di viaggi. Tale decreto prevedeva la possibilità per i cittadini della DDR di recarsi privatamente all’estero, e quindi anche a Berlino Ovest e nella Repubblica Federale. Occorreva richiedere un’autorizzazione, ma questa sarebbe stata concessa rapidamente.
Un giornalista chiese quando sarebbe entrata in vigore questa nuova disposizione. Schabowski, non informato sui dettagli, dopo un attimo di esitazione, rispose: “Subito, immediatamente”.
Nel giro di poche ore la situazione precipitò: a piedi o con le loro Trabi (le auto di produzione socialista) i cittadini di Berlino Est affluirono al valico di frontiera di Bornholmer Straβe rivendicando, come annunciato da Schabowski, la possibilità di recarsi all’Ovest. Ma le guardie di confine non avevano ricevuto alcuna comunicazione in merito: tutto quello che sapevano lo avevano appreso anche loro come tutti gli altri cittadini dalla conferenza stampa. L’ufficiale responsabile, Harald Jäger, contattò più volte i suoi superiori sul da farsi. Nessuno seppe dargli indicazioni precise. Alla fine, verso le 23,30, decise di propria iniziativa di alzare la sbarra e lasciar passare senza alcun controllo quelle migliaia di berlinesi dell’Est che ormai incalzavano e premevano impazienti. Un caso fortuito, imprevisto, che cambiò la storia. Un avvenimento che si potrebbe paragonare alla presa della Bastiglia o del Palazzo d’Inverno: un evento “rivoluzionario”, quindi, ma pacifico, senza spargimento di sangue.
La parola magica di quella notte tra il 9 e il 10 novembre fu Wahnsinn, cioè pazzia, follia. L’incredibile era diventato realtà: il muro, che per 28 anni aveva diviso la città, era improvvisamente divenuto permeabile, perdendo così la funzione per cui era stato costruito.
Ovunque regnava un’atmosfera di festa: i cittadini di Berlino Est vennero accolti calorosamente con scroscianti applausi e spumante: ci si abbracciava senza conoscersi, si piangeva di gioia. Infine ci si diede spontaneamente appuntamento alla Porta di Brandeburgo per poi salire sul muro, festeggiare insieme e prendere a picconate quello che era stato il simbolo della divisione della città, della Germania, dell’Europa, del mondo intero.
Era iniziato un processo non programmato e imprevedibile nei suoi sviluppi che avrebbe portato poi, in poco meno di dieci mesi, alla riunificazione.
Giorgio Motta, ex docente di Lingua e Civiltà Tedesca - Liceo Manzoni Lecco