In viaggio a tempo indeterminato/253: via dall'Iran
"Come si dice mi piace l'Iran in farsi?"
"No, no, io preferisco la Turchia!"
È iniziato tutto così, con Hussein che ci dà un passaggio dal confine, sul suo pickup che trasporta coperte e nel frattempo ci insegna qualche parola nella lingua del suo Paese.
Mi sembra ieri ma anche un'eternità fa.
Come se in Iran il tempo scorresse diversamente, le giornate fossero più intense e le emozioni più forti.
E, invece, guardo il calendario e sono passati più di due mesi.
Il nostro viaggio in Iran, per tre quarti del tempo, è stato scandito da gesti di accoglienza e generosità.
Non so voi, ma io non ho mai conosciuto nessuno che ospitasse a casa sua sconosciuti, che desse passaggi a viaggiatori incontrati per strada, che regalasse cibo, tè e biscotti a due che se ne stanno seduti su una panchina.
Forse sarò io che conosco le persone sbagliate.
Forse sarà che questi "rituali di gentilezza" non fanno più parte della nostra cultura.
Ma di quella iraniana sì. Sembrano esserne alla base e scandire la quotidianità a colpi di sguardi gentili e strette di mano emozionate.
Ed è per questo che per buona parte del nostro viaggio, ci siamo sentiti ospiti benvoluti e amici di vecchia data.
Ne abbiamo parlato più volte, lo so.
Nei video, negli scritti, nei post.
Abbiamo provato a raccontare questa terra e questo popolo che hanno profondamente cambiato il nostro concetto di fratellanza e rafforzato la nostra idea che siamo solo fortunati se non dobbiamo preoccuparci di morire se protestiamo.
I lettori più attenti, però, si saranno accorti che ho scritto che il nostro viaggio in Iran è andato oltre ogni più rosea aspettativa per 3/4 dei mesi trascorsi.
È arrivato il momento di parlare del rimanente 1/4.
Scherzando con Terence e Deborah, i ragazzi con cui abbiamo condiviso caldo e avventure in Iran, dicevamo: "Nel deserto del Lut, quando la nostra guida ha deciso di lanciarsi con il pickup da una duna altissima, dobbiamo essere entrati in uno spazio temporale diverso."
Le cose, da quel momento, hanno iniziato a girare diversamente.
Una serie di esperienze spiacevoli e direi "adrenaliniche", per usare un eufemismo.
E se ci ripenso ora, ora che il quadro è chiaro e la nostra esperienza in Iran terminata, ci vedo dei segnali in quelle situazioni.
Ci stavano indirizzando.
Guidavano il nostro percorso facendoci capire, forse in modo brusco, che era ora di andare via.
Ma in quel momento, devo essere sincera, il filo conduttore dietro tutte quelle "sfighe" non è che lo vedessi.
La storia comincia appunto dalle dune del deserto più caldo del mondo, tra l'altro il più bello che io abbia mai visto.
Dormire in una tenda nel silenzio più totale, svegliarsi guardando il sole che sorge da una duna, cosa ci può essere di più perfetto? Nulla, davvero nulla!
E, infatti, questo racconto inizia con una delle esperienze più spettacolari che io abbia mai fatto.
Ma un po' di pazienza e arrivo alla parte che so essere più succulenta.
Lasciato il deserto e ancora con la sabbia nella scarpe, ci mettiamo come di consuetudine a fare autostop in 4.
Siamo ormai una squadra collaudata.
Terence, il ragazzo con i tatuaggi che attirano l'attenzione e che parla farsi.
Paolo, quello che parla con tutti e chiede passaggi anche a quelli in bicicletta.
Deborah, sorriso gentile che convince e occhiali da sole che non lasciano trasparire i segni delle poche ore di sonno.
Io, che quando la situazione si fa disperata congiungo le mani in stile preghiera e gioco tutto sulla pietà.
Spesso le nostre tecniche combinate funzionano. Altre volte, invece, dobbiamo solo ringraziare di aver scelto un Paese dove la gentilezza viaggia su una vecchia Saipa Pride.
O su un camion.
Perché la nostra missione di fare 700 km in autostop nel mezzo del nulla iraniano, inizia a bordo di un gigantesco camion che trasporta benzina.
In Iran ho capito che le cabine di guida dei camion sono così grandi perché devono contenere tutto l'enorme cuore di chi li guida (oltre che una quantità inverosimile di snack e un letto comodo).
La prima metà del viaggio, quindi, tutto bene.
Vi starete chiedendo, ma quindi? Quando sono successe tutte le sfortune. Mettetevi comodi perché è ancora lunga.
Il bello inizia quando scendiamo dal camion e iniziamo a rimpiangere le distese di nulla e dromedari che vedevamo fuori dal finestrino.
Decidiamo di entrare in un negozietto di alimentari vicino a una polverosa e alquanto malfamata pompa di benzina.
Al bancone vendono coltelli e tirapugni, accanto a mele e banane.
"Avete del pane?" chiede Paolo.
Il ragazzo alla cassa prende il suo telefono e con il traduttore google ci scrive "Non provate a cercare il pane qui..."
La situazione è quella che è, prendiamo due pacchetti di patatine per tamponare la fame, qualche sorriso e torniamo in strada.
Ci mettiamo a cercare un altro passaggio e iniziamo a sognare un altro bel camion comodo e lento.
A un tratto ci si avvicinano due pickup della polizia (non credo di aver mai scritto così tante volte la parola pickup come in questo articolo).
Scendono, selfie di rito, "dove andate?" "Ah ma in questa regione non potete fare autostop, è troppo pericoloso. Ci sono molti terroristi in questa zona. Dovete prendere un taxi!"
Siamo nel bel mezzo del nulla ma, guarda caso, in quel momento accosta una macchina ed è proprio un taxi che ci chiede l'equivalente di 50€ per portarci a destinazione.
Rifiutiamo e la polizia decide allora di fermare per noi due camion.
Ci fanno mettere in piedi a lato strada, scendono dai pickup, imbracciano i mitra e si piazzano tra noi e l'asfalto.
"Qui è pericoloso, vi facciamo da scorta."
Inutile dire che noi quattro ci siamo guardati increduli della situazione e anche un po' spaventati.
Inutile anche dire che, con la polizia che ti ferma i camion, l'autostop è una passeggiata e infatti dopo pochi minuti siamo ripartiti a bordo di due fiammanti camion.
Tutto qui?
No, questo in realtà era solo l'inizio.
Perché nella regione del Balochistan, la più a sud est dell'Iran, la situazione è andata via via degenerando.
Prima un signore che per nessun apparente motivo minaccia di tagliarci la testa. (Lo so che può sembrare impossibile ma credetemi che a ripensare al suo sguardo ho ancora i brividi).
Poi una nottata per terra in una classe dentro una scuola.
Poi una stanza dove speravamo di riposare ma non ci lasciano soli nemmeno per un istante.
Poi... poi un sacco di altre cose che sarebbero troppe da raccontare e ci abbiamo fatto un video sopra che spiega meglio e che mostra i paesaggi più unici mai visti in viaggio.
Io non lo so se tutte queste esperienze negative sono state solo un caso.
Non so se sarebbero successe in qualunque altro periodo.
Non lo so.
Ma so per certo che quando sono iniziate le proteste in Iran e abbiamo capito che la situazione stava diventando seria, arrivare da quel periodo stancante e preoccupante, ci ha dato una scossa.
È stata come una spinta arrivata nel momento giusto che ci ha fatto cambiare i piani e convinti a lasciare una terra che, altrimenti, non avremmo abbandonato così in fretta perché ci ha regalato tanto, troppo.
Non sappiamo se ci siamo meritati tutto l'amore e l'ospitalità che abbiamo ricevuto in Iran, ma sappiamo che saremo sempre legati a quel popolo che ora sta combattendo per la sua libertà.
Non ci vogliamo dimenticare della bellezza dell'Iran.
Forza Iran.
Forza Alessia, ti aspettiamo.
"No, no, io preferisco la Turchia!"
È iniziato tutto così, con Hussein che ci dà un passaggio dal confine, sul suo pickup che trasporta coperte e nel frattempo ci insegna qualche parola nella lingua del suo Paese.
Mi sembra ieri ma anche un'eternità fa.
Come se in Iran il tempo scorresse diversamente, le giornate fossero più intense e le emozioni più forti.
E, invece, guardo il calendario e sono passati più di due mesi.
Il nostro viaggio in Iran, per tre quarti del tempo, è stato scandito da gesti di accoglienza e generosità.
Non so voi, ma io non ho mai conosciuto nessuno che ospitasse a casa sua sconosciuti, che desse passaggi a viaggiatori incontrati per strada, che regalasse cibo, tè e biscotti a due che se ne stanno seduti su una panchina.
Forse sarò io che conosco le persone sbagliate.
Forse sarà che questi "rituali di gentilezza" non fanno più parte della nostra cultura.
Ma di quella iraniana sì. Sembrano esserne alla base e scandire la quotidianità a colpi di sguardi gentili e strette di mano emozionate.
Ed è per questo che per buona parte del nostro viaggio, ci siamo sentiti ospiti benvoluti e amici di vecchia data.
Ne abbiamo parlato più volte, lo so.
Nei video, negli scritti, nei post.
Abbiamo provato a raccontare questa terra e questo popolo che hanno profondamente cambiato il nostro concetto di fratellanza e rafforzato la nostra idea che siamo solo fortunati se non dobbiamo preoccuparci di morire se protestiamo.
I lettori più attenti, però, si saranno accorti che ho scritto che il nostro viaggio in Iran è andato oltre ogni più rosea aspettativa per 3/4 dei mesi trascorsi.
È arrivato il momento di parlare del rimanente 1/4.
Scherzando con Terence e Deborah, i ragazzi con cui abbiamo condiviso caldo e avventure in Iran, dicevamo: "Nel deserto del Lut, quando la nostra guida ha deciso di lanciarsi con il pickup da una duna altissima, dobbiamo essere entrati in uno spazio temporale diverso."
Le cose, da quel momento, hanno iniziato a girare diversamente.
Una serie di esperienze spiacevoli e direi "adrenaliniche", per usare un eufemismo.
E se ci ripenso ora, ora che il quadro è chiaro e la nostra esperienza in Iran terminata, ci vedo dei segnali in quelle situazioni.
Ci stavano indirizzando.
Guidavano il nostro percorso facendoci capire, forse in modo brusco, che era ora di andare via.
Ma in quel momento, devo essere sincera, il filo conduttore dietro tutte quelle "sfighe" non è che lo vedessi.
VIDEO:
La storia comincia appunto dalle dune del deserto più caldo del mondo, tra l'altro il più bello che io abbia mai visto.
Dormire in una tenda nel silenzio più totale, svegliarsi guardando il sole che sorge da una duna, cosa ci può essere di più perfetto? Nulla, davvero nulla!
E, infatti, questo racconto inizia con una delle esperienze più spettacolari che io abbia mai fatto.
Ma un po' di pazienza e arrivo alla parte che so essere più succulenta.
Lasciato il deserto e ancora con la sabbia nella scarpe, ci mettiamo come di consuetudine a fare autostop in 4.
Siamo ormai una squadra collaudata.
Terence, il ragazzo con i tatuaggi che attirano l'attenzione e che parla farsi.
Paolo, quello che parla con tutti e chiede passaggi anche a quelli in bicicletta.
Deborah, sorriso gentile che convince e occhiali da sole che non lasciano trasparire i segni delle poche ore di sonno.
Io, che quando la situazione si fa disperata congiungo le mani in stile preghiera e gioco tutto sulla pietà.
Spesso le nostre tecniche combinate funzionano. Altre volte, invece, dobbiamo solo ringraziare di aver scelto un Paese dove la gentilezza viaggia su una vecchia Saipa Pride.
O su un camion.
Perché la nostra missione di fare 700 km in autostop nel mezzo del nulla iraniano, inizia a bordo di un gigantesco camion che trasporta benzina.
In Iran ho capito che le cabine di guida dei camion sono così grandi perché devono contenere tutto l'enorme cuore di chi li guida (oltre che una quantità inverosimile di snack e un letto comodo).
La prima metà del viaggio, quindi, tutto bene.
Vi starete chiedendo, ma quindi? Quando sono successe tutte le sfortune. Mettetevi comodi perché è ancora lunga.
Il bello inizia quando scendiamo dal camion e iniziamo a rimpiangere le distese di nulla e dromedari che vedevamo fuori dal finestrino.
Decidiamo di entrare in un negozietto di alimentari vicino a una polverosa e alquanto malfamata pompa di benzina.
Al bancone vendono coltelli e tirapugni, accanto a mele e banane.
"Avete del pane?" chiede Paolo.
Il ragazzo alla cassa prende il suo telefono e con il traduttore google ci scrive "Non provate a cercare il pane qui..."
La situazione è quella che è, prendiamo due pacchetti di patatine per tamponare la fame, qualche sorriso e torniamo in strada.
Ci mettiamo a cercare un altro passaggio e iniziamo a sognare un altro bel camion comodo e lento.
A un tratto ci si avvicinano due pickup della polizia (non credo di aver mai scritto così tante volte la parola pickup come in questo articolo).
Scendono, selfie di rito, "dove andate?" "Ah ma in questa regione non potete fare autostop, è troppo pericoloso. Ci sono molti terroristi in questa zona. Dovete prendere un taxi!"
Siamo nel bel mezzo del nulla ma, guarda caso, in quel momento accosta una macchina ed è proprio un taxi che ci chiede l'equivalente di 50€ per portarci a destinazione.
Rifiutiamo e la polizia decide allora di fermare per noi due camion.
Ci fanno mettere in piedi a lato strada, scendono dai pickup, imbracciano i mitra e si piazzano tra noi e l'asfalto.
"Qui è pericoloso, vi facciamo da scorta."
Inutile dire che noi quattro ci siamo guardati increduli della situazione e anche un po' spaventati.
Inutile anche dire che, con la polizia che ti ferma i camion, l'autostop è una passeggiata e infatti dopo pochi minuti siamo ripartiti a bordo di due fiammanti camion.
Tutto qui?
No, questo in realtà era solo l'inizio.
Perché nella regione del Balochistan, la più a sud est dell'Iran, la situazione è andata via via degenerando.
Prima un signore che per nessun apparente motivo minaccia di tagliarci la testa. (Lo so che può sembrare impossibile ma credetemi che a ripensare al suo sguardo ho ancora i brividi).
Poi una nottata per terra in una classe dentro una scuola.
Poi una stanza dove speravamo di riposare ma non ci lasciano soli nemmeno per un istante.
Poi... poi un sacco di altre cose che sarebbero troppe da raccontare e ci abbiamo fatto un video sopra che spiega meglio e che mostra i paesaggi più unici mai visti in viaggio.
VIDEO:
Io non lo so se tutte queste esperienze negative sono state solo un caso.
Non so se sarebbero successe in qualunque altro periodo.
Non lo so.
Ma so per certo che quando sono iniziate le proteste in Iran e abbiamo capito che la situazione stava diventando seria, arrivare da quel periodo stancante e preoccupante, ci ha dato una scossa.
È stata come una spinta arrivata nel momento giusto che ci ha fatto cambiare i piani e convinti a lasciare una terra che, altrimenti, non avremmo abbandonato così in fretta perché ci ha regalato tanto, troppo.
Non sappiamo se ci siamo meritati tutto l'amore e l'ospitalità che abbiamo ricevuto in Iran, ma sappiamo che saremo sempre legati a quel popolo che ora sta combattendo per la sua libertà.
Non ci vogliamo dimenticare della bellezza dell'Iran.
Forza Iran.
Forza Alessia, ti aspettiamo.
Angela (e Paolo)