Lecco Film Fest/3: Verdone interviene solo in videocollegamento, tra resurrezione e necessità di tornare a fare 'bei film'

Il covid ha sgambettato anche Carlo Verdone, annunciato protagonista della terza giornata del Lecco Film Fest. Il regista non ha potuto essere presente fisicamente un città ma si è comunque collegato in video con il pubblico lecchese che non gli ha fatto mancare applausi calorosi. L'imprevisto non ha quindi rovinato il programma, anche se è stata necessaria una modifica nella scaletta che prevedeva un momento più "impegnato" e uno successivo più "leggero".

Una foto scattata al cinema

Si è cominciato con la proiezione, al cinema Nuovo Aquilone, del film "Ordet - La parola", pellicola del 1954 del regista danese Carl Theodor Dreyer, film scelto dallo stesso Verdone che ne era stato folgorato in gioventù e che definisce Dreyer il miglior regista della storia del cinema. Opera indubbiamente impegnativa su fede e morte e una vera resurrezione di una donna da parte di una figura che è un folle o un Cristo redivivo, opera molto da cinefili, «che ha riempito la sala - ha detto il prevosto don Davide Milani - ha fatto piangere qualcuno e ha raccolto applausi». Al netto di qualche spettatore non propriamente convinto, anzi proprio scettico. Nonostante Verdone che racconta di un pomeriggio di ormai cinquant'anni: «Ero andato al Film Studio per vedere "Metropolis" di Fritz Lang e che invece era stato sostituito con "Ordet". Sono entrato in sala proprio durante la scena della resurrezione che m'ha colpito e lasciato un po' interdetto. Però: deve essere un film interessante. Quando l'ho visto per intero, ho capito che avevo di fronte un grande regista. Poi ho visto tutti gli altri film di Dreyer: aveva una marcia in più. Aveva il grandissimo dono di ipnotizzare gli spettatori, un metodo di girare rigoroso, con la macchina fissa, panoramiche impercettibili, movimenti lenti dei personaggi dalle facce perfette che dicono sempre parole interessanti, pose lunghe. E poi, il rumore della natura come sottofondo»

Verdone in videocollegamento

Inoltre, a proposito della resurrezione «da regista, posso dire che nessuno è in grado di fare una scena del genere». Un film che, oltre alla lettura cinematografica, si presta anche a interpretazioni religiose «perché è un film sulla religione e vuole indubbiamente provocare nei credenti una riflessione sulla profondità della propria fede con una serie di richiami evangelici».

Ciro De Caro e don Davide Milani. Sotto Gianluca Arnone e Marina Sanna

Se ne è parlato, appunto dopo la proiezione, in piazza Garibaldi: sul palco il prevosto don Davide Milani,  il coordinatore editoriale della Fondazione ente dello spettacolo Giancarlo Arnone, la giornalista Marina Sanna e il regista Ciro De Caro. In video, dalla sua casa romana, appunto Verdone che si è scusato per aver mancato l'appuntamento dal vivo e promettendo l'arrivo a Lecco il prossimo anno, in occasione della quarta edizione del festival. Non solo "Ordet", però.

Il regista ha parlato anche di altro, non tralasciando gustosi aneddoti come - in tema di Dreyer e ressurezione - quello dell'anziana attrice che interpretava la psicanalista nel film "Ma che colpa abbiamo noi?", morta in scena per risorgere poco dopo all'ospedale e della bocciatura all'esame della scuola di cinema da parte di papà Mario Verdone, critico e docente universitario, al quale non sembrava decoroso promuovere il figlio... Ma si è parlato anche degli altri impegni, come la serie televisiva "Vita da Carlo" della quale è già previsto un secondo ciclo al via in ottobre e del libro "La carezza della memoria" uscito lo scorso anno da Bompiani e che Verdone ha cominciato a scrivere durante il primo lockdown, con storie personali anche molto private: «Devo vergognarmi forse di qualcosa? Sono una persona per bene, ho fatto errori, ma anche qualche cosa buona. E così mi sono voluto aprire» prendendo spunto da una serie di oggetti e vecchie foto saltati fuori da scatoloni rimasti per anni chiusi. Come la foto che gli scattò la prostituta con la quale visse un breve "puro" rapporto d'amore («Avevo 23 anni erano bei tempi, c'erano sentimenti puliti, non c'era tutto il disastro che è venuto dopo») o la foto proprio di Carl Theodor Dryer con tanto di dedica al padre Mario.

Con la foto di Carl Theodor Dryer

Infine, una riflessione sul cinema italiano di oggi che è stato un vero e proprio atto d'accusa: «E' vero le sale sono vuote. I giovani preferiscono guardare i film sul cellulare. E allora vanno molto le serie. Ma il problema è anche di noi registi. Dobbiamo tornare a fare dei bei film. E invece è una gara famelica a fare film con le sovvenzioni dello Stato. Non ho mai visto un momento in cui si fanno così tanti film che non vede nessuno. Se devi fare un film e cerchi qualche tecnico, non lo trovi: sono tutti impegnati, non c'è mai stato cos' tanto lavoro nel cinema. I film si scrivono in fretta, si girano in pochi giorni, via uno e avanti con un altro e i risultati si vedono. C'è molto pressapochismo. Sono stati deluso da molti colleghi. Siamo ancora fermi ai film che si facevano negli anni Novanta, ma il mondo è cambiato. Dobbiamo raccontare la realtà di oggi che è molto complessa. Insomma, dobbiamo fare buoni film».   

Per tutte le informazioni sul prosieguo della Festival: https://www.leccofilmfest.it
D.C.
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