Paritarie: uno scontro inutile di cui rimane solo la protervia, dove sono finiti i 100 cattolici dell’appello?
Mauro Piazza
La comunità educante (sic) ha preso tutte le sembianze di un’autocrazia che con bella cera distribuisce l’arroganza di chi ha la verità in tasca anziché l’educazione che si costruisce nelle differenze: e così il confronto con le parti vive della società interessa poco, anzi infastidisce, fino al divieto più o meno esplicito di parlarsi, di partecipare ad una riunione, di esporre i fatti in una Commissione consigliare, di provare la strada del “capirsi” prima di decidere.
E il cattolico adulto che fa? Tace? Dimentica le promesse elettorali, le rassicurazioni? O peggio ancora tiene un po’ bordone, si fa guardia repubblicana con il compito di bacchettare chi dissente e chi argomenta?
Perché qui il piano non è quello dei soldi messi sul piatto (o sul piattino, per come la intende qualcuno) della convenzione con le scuole paritarie. Qui la domanda precede questo svilente mercato e riguarda il valore e la considerazione del servizio che questo pezzo di società svolge spontaneamente come risposta ad un bisogno della collettività. E lo fa meglio, e a minor costo, rispetto allo Stato, al punto che questo servizio, in città, è largamente garantito dal lavoro di queste associazioni. E lo fa in una storia che riguarda un pezzo del mondo bello, quello del volontariato, della gratuità, della carità, dell’attenzione al prossimo: cosine senza le quali verrebbe giù ogni cosa.
Qui la domanda riguarda la volontà, o meno, di venire incontro alle famiglie, e alle difficoltà economiche del rincaro prezzi che oggi le stanno colpendo, e che certo non gioverebbero di un aumento delle rette. Riguarda il rischio che questo servizio scompaia da alcuni rioni della città, quelli che a parole si valorizzano ma nei fatti si dimenticano sempre, perché è evidente che le scuole più piccole sono le più fragili e quelle più soggette all’eventualità di una chiusura. La domanda riguarda che idea si ha del comune capoluogo, e di che ruolo deve svolgere relativamente ad un servizio che è fondamentale per la conciliazione famiglia-lavoro, per le pari opportunità lavorative delle mamme, per il funzionamento del nostro sistema economico e di welfare. Lecchesità significa aprire, non chiudersi.
Insomma, le domande sono tante. E questa maggioranza ha risposto con un muro e con un approccio dirigista, che dalla comunità educante scarliga verso il soviet, volendo mettere becco su progetti scolastici, su ciò che è buono e giusto e persino su numeri e modi delle sezioni. Un gesto sordo e unilaterale, segno di una radicata sfiducia nella capacità del privato sociale di fare il meglio possibile, e che fa il paio con una radicata convinzione che lo Stato si debba occupare di tutto ciò che è pubblico. È il segno di un non detto che suona inconfessabilmente così: “come sarebbe bello se queste scuole materne potessimo farle tutte noi, e al diavolo la libera iniziativa della società”. Una follia.
Le domande sono tante, il dibattito è vivo e vero. Riguarda i fondamentali. L’idea che si ha del rapporto pubblico/privato e della comunità. Ci si aspetterebbe una parola da parte dei cattolici adulti, non un silenzio fanciullino. Ci si aspetterebbe che qualcuno ricordi al Sindaco da che cultura viene, e che le promesse elettorali sono un materiale che è meglio maneggiare onorando gli impegni. Dove siete, amici, che sembravate avere titoli di moralità assai superiori a quelli degli sventurati che votavano per il centrodestra? Passare da un appello a una scena muta non è un bello spettacolo.
Poco importa come finirà questa trattativa, chi l’avrà più o meno vinta (sempre che su temi come questi si possa parlare così), come la maggioranza camufferà il compromesso e le maggiori concessioni che pare saranno riconosciute all’ultimo minuto in un sussulto di dignità e realismo, probabilmente con il gioco napoletano delle tre carte, per far credere a tutti di avere la propria singola ragione. Ciò che conta è il lascito negativo di questa impostazione, quello di uno scontro inutile, di una prova di forza da parte del Comune di cui nessuno sentiva il bisogno, di un metodo protervo e impositivo che la dice lunga rispetto a chi predica la condivisione e razzola il comando. E rimane il triste silenzio di chi avrebbe dovuto dire qualcosa, forse più a Gattinoni che ad altri, avrebbe dovuto battere un colpo in onore alla propria storia e cultura. E invece ha preferito la consegna del silenzio.
A noi che preferiamo il confronto, non rimane che il compito di riaprire un dibattito culturale puntuale sul tema della sussidiarietà anche in campo educativo, un luogo dove magari si possano incontrare e parlare le associazioni e quei consiglieri comunali ai quali è stato vietato.
Mauro Piazza - Consigliere regionale