Lecco: il torrente Bione è 'la grande sfida' dell'assessore Zuffi, tra l'oasi naturalistica e il cemento da rimuovere
Una vera e propria oasi naturalistica alla foce a fare da collegamento tra il torrente che scende dal Resegone e il nuovo lungolago che dalle Caviate arriverà proprio fin lì, dove il Bione si getta nel lago di Garlate in quel punto prende forma. E così, proprio il Bione finisce con l’essere la «grande sfida» come l’ha definita l’assessore all’ambiente Renata Zuffi nella terza giornata dedicata ai torrenti cittadini, nell’ambito del Festival della sostenibilità che si sta svolgendo in questi giorni in città.
Renata Zuffi
Dopo gli appuntamenti su Gerenzone e Caldone, attenzione rivolta anche al terzo dei tre corsi d’acqua attorno ai quali è cresciuta la nostra città «che è quello che vediamo di meno e che abbiamo perso di vista» per usare le parole della stessa Zuffi. Torrente un po’ periferico, in molti punti imbrigliato tra troppe costruzioni, che scorre in quella “terra di nessuno” che sono le aree sottostanti il cavalcavia dell’attraversamento viabilistico, che sfocia in un punto da sempre non molto considerato per quanto molto frequentato, il Bione ci appare in effetti come il meno nobile dei tre “fiumi” storici, di fronte a un Gerenzone che è stato spina dorsale dell’industrializzazione lecchese e di un Caldone che, visto o solo immaginato, attraversa pur sempre il centro cittadino.
Ieri, 16 maggio, è stata dunque la giornata del Bione, anche questa volta aperta da una passeggiata organizzata da Legambiente e che, sarà che fosse lunedì o sarà stato un incipiente temporale che ha poi sorpreso i partecipanti strada facendo, ha fatto registrare scarse adesioni. Più partecipato l’incontro finale tenutosi all’oratorio di Belledo e al quale – oltre all’assessore Zuffi – sono intervenuti l’ingegner Chiara Brebbia del Comune di Lecco, la professoressa Barbara Leoni dell’Università della Bicocca, gli architetti Martina Erba dello studio Land (al quale il Comune ha affidato la stesura dell’ormai celebre Masterplan strategico sullo sviluppo della città) e Alessio Tamiazzo dello studio Paola Viganò (vincitore del concorso di idee per il rinnovamento del lungolago).Durante l’incontro è stata rilevata la necessità di ripensare il rapporto con i fiumi, a volte troppo irregimentati. E allora, proprio a proposito di Bione se non si possono togliere gli argini di cemento che in molti punti lo costringono in un letto troppo stretto e innaturale «bisogna andare incontri a quel che il fiume vuole fare» come ha detto Leoni che ha aggiunto come ciò «che faremo qui dovrebbe anche essere di riferimento europeo».
Alessio Tamiazzo e Chiara Brebbia
Martina Erba e Barbara Leoni
Da parte sua, Erba ha indicato i tre punti chiave sui quali intervenire: la zona a monte, nella parte alta di Germanedo, dove il Bione scorre ancora in una cornice naturale che è punto di partenza per molte escursioni sui monti e quindi intervenendo per valorizzare l’area magari anche creando uno spazio giochi; la zona centrale che corrisponde alla parte urbanizzata e per la quale si dovrà, laddove possibile, rompere gli argini in cemento e lasciare che il torrente «torni a respirare» e infine la foce per la quale è stata appunto ipotizzata un’oasi naturalistica.Dell’oasi ha parlato Tamiazzo illustrando l’ultimo tratto di “lungolago” cittadino tra il piccolo parco dell’Addio Monti e appunto la foce, raccordandosi peraltro con il parco dell’Adda Nord. L’ipotesi prevede di proseguire con una pista ciclopedonale, ma anche di valorizzare l’area sotto gli svincoli del tunnel del monte Barro, area oggi decisamente poco accattivante e per la quale si vorrebbe realizzare una piattaforma per lo skateboard così da trasformarla in un punto molto frequentato e quindi “controllato”. Si continuerà poi nell’ultimo tratto che ora tra l’altro dovrà fare i conti con la nuova bretella del ponte Manzoni che richiederà qualche riflessione ulteriore. L’idea è comunque quella di «interventi il più possibile con la natura e non contro la natura»: il che significa pochi interventi artificiali e molti naturali e cioè un’organizzazione della vegetazione e della piantumazione che non avrà effetti immediati bensì a lungo termine e che però consentirà di avere poi a disposizione una zona di particolare pregio ecologico. La piattaforma dell’eliporto, per esempio, dovrà essere restituita alla fauna.
D.C.