Presentata la 'banca dati del partigianato lecchese': in rete oltre 2.000 schede
Le schede di oltre duemila partigiani lecchesi sono ora in rete, pubblicati sul sito dell’Istituto storico per la Resistenza “Pier Amato Perretta” di Como (www.isc-como.org) sul quale già erano presenti quelle dei circa quattromila comaschi. Una serie di documenti personali fino a oggi conservati alla sede dell’Anpi lecchese, comunque a disposizione degli studiosi e anche dei parenti, ma la possibilità d’accesso on line consentirà ora una più ampia possibilità di consultazione, quale punto di partenza per ulteriori ricerche.
Le schede contendono dati personali (generalità, nome di battaglia, luogo di nascita e residenza, studi, professione), esperienze militari (esercito italiano, truppe della Repubblica sociale o tedesche dopo l’8 settembre), partecipazione alla Resistenza (formazione di appartenenza, periodo di presenza, ruolo e compiti, prigionia o deportazione, decorazione e, per quanto concerne i Caduti, i dati relativi alla morte: come, dove e quando).
Un lavoro di documentazione comunque “aperto”, come ha spiegato Avagnina: si tratta di dati che potranno essere corretti e implementati in base al reperimento di nuove informazioni che proprio la pubblicazione delle schede potrà peraltro favorire. A questo proposito, inoltre, l’Anpi invita chiunque abbia documenti o informazioni utili a segnalarli scrivendo a segreteria@anpilecco.it.
La documentazione ha comunque un paio di limiti, ha rilevato De Battista. Da un lato l’esiguo numero di donne (solo il 6% delle schede è relativo a figure femminili) dovuto principalmente al fatto che il censimento privilegiava l’aspetto militare della Resistenza e quindi i combattenti veri e propri, trascurando tutto il resto della rete di sostegno alla lotta clandestina. Dall’altro l’assenza – per quanto contenuta in un paio di decine – di nomi anche di spicco della lotta resistenziale, basti pensare a quello di Angela Locatelli Guzzi. I motivi delle lacune sono diversi: la decisione del singolo che decise di non compilare la scheda del governo militare alleati o perché combatterono in altra provincia o in altra regione, come per esempio Pierino Vitali che, dopo la battaglia di Erna e la dispersione dei partigiani lecchesi, si trasferì nel Novarese e là trovò la morte.
Si tratta di limiti che si potranno almeno in arte superare quando, attraverso la pubblicazione on line, vi sarà completo accesso alle pratiche per il riconoscimento delle qualifiche partigiane della Lombardia ora conservate nella sezione “Ricompart” (Riconoscimento Partigiani) presso l’Archivio centrale di Stato.
Quest’attività – ha sottolineato Avagnina – si inserisce nel comunque più ampio e continuo lavoro dell’Anpi «ora che i protagonisti della Resistenza non ci sono più» e proprio per questo di rende ancora più necessario un impegno per mantenerne viva la memoria che è proprio compito dell’Anpi: E in tal modo rispondendo alle critiche che periodicamente colpiscono l’associazione partigiani e sul suo ruolo nella società, oggi che i partigiani appunto non ci sono più: «Occorre sostituire la testimonianza con il lavoro storico, così come è stato fatto in tutti questi anni con gli interventi nelle scuole».
L’iniziativa è stata presentata nel corso di una conferenza stampa tenutasi alla stessa sede dell’Anpi lecchese e alla quale sono intervenuti il presidente provinciale dell’Associazione partigiani Enrico Avagnina e il responsabile del progetto Angelo De Battista.
Angelo De Battista e Enrico Avagnina
Le schede contendono dati personali (generalità, nome di battaglia, luogo di nascita e residenza, studi, professione), esperienze militari (esercito italiano, truppe della Repubblica sociale o tedesche dopo l’8 settembre), partecipazione alla Resistenza (formazione di appartenenza, periodo di presenza, ruolo e compiti, prigionia o deportazione, decorazione e, per quanto concerne i Caduti, i dati relativi alla morte: come, dove e quando).
Un lavoro di documentazione comunque “aperto”, come ha spiegato Avagnina: si tratta di dati che potranno essere corretti e implementati in base al reperimento di nuove informazioni che proprio la pubblicazione delle schede potrà peraltro favorire. A questo proposito, inoltre, l’Anpi invita chiunque abbia documenti o informazioni utili a segnalarli scrivendo a segreteria@anpilecco.it.
La documentazione ha comunque un paio di limiti, ha rilevato De Battista. Da un lato l’esiguo numero di donne (solo il 6% delle schede è relativo a figure femminili) dovuto principalmente al fatto che il censimento privilegiava l’aspetto militare della Resistenza e quindi i combattenti veri e propri, trascurando tutto il resto della rete di sostegno alla lotta clandestina. Dall’altro l’assenza – per quanto contenuta in un paio di decine – di nomi anche di spicco della lotta resistenziale, basti pensare a quello di Angela Locatelli Guzzi. I motivi delle lacune sono diversi: la decisione del singolo che decise di non compilare la scheda del governo militare alleati o perché combatterono in altra provincia o in altra regione, come per esempio Pierino Vitali che, dopo la battaglia di Erna e la dispersione dei partigiani lecchesi, si trasferì nel Novarese e là trovò la morte.
Si tratta di limiti che si potranno almeno in arte superare quando, attraverso la pubblicazione on line, vi sarà completo accesso alle pratiche per il riconoscimento delle qualifiche partigiane della Lombardia ora conservate nella sezione “Ricompart” (Riconoscimento Partigiani) presso l’Archivio centrale di Stato.
Quest’attività – ha sottolineato Avagnina – si inserisce nel comunque più ampio e continuo lavoro dell’Anpi «ora che i protagonisti della Resistenza non ci sono più» e proprio per questo di rende ancora più necessario un impegno per mantenerne viva la memoria che è proprio compito dell’Anpi: E in tal modo rispondendo alle critiche che periodicamente colpiscono l’associazione partigiani e sul suo ruolo nella società, oggi che i partigiani appunto non ci sono più: «Occorre sostituire la testimonianza con il lavoro storico, così come è stato fatto in tutti questi anni con gli interventi nelle scuole».